RILEGGERE GOBETTI, PER SALVARE IN ITALIA L’IDEA DI DEMOCRAZIA da IL FATTO
DA il fatto
Rileggere Gobetti, per salvare in Italia l’idea di democrazia
Il libro del giurista Pallante – Tornare al proporzionale. A forza di effimeri vincitori che vogliono governare, anzi comandare (sino al “premierato”), a perdere è stata infine la rappresentanza
Tomaso Montanari 21 Ottobre 2024
“Il futuro ha un cuore antico”, diceva Carlo Levi. Così, la devastata democrazia italiana può avere un futuro se è capace di guardare indietro, recuperando nella sua travagliata storia politica la sola cosa che potrebbe ridarle vita: “Se non tutto ancora è perduto e permane una qualche speranza di salvezza, la via d’uscita rimane quella indicata da Gobetti e dai collaboratori de ‘La Rivoluzione liberale’: tornare alla proporzionale. Non, ovviamente, perché una legge elettorale che – con le parole di Francesco Ruffini – dia a ciascuno il suo sia di per sé salvifica, ma perché salvifica è la visione delle relazioni politiche e sociali che potrebbe portare con sé. Una visione che Piero Gobetti aveva provato a mettere a fuoco sin dall’inizio degli anni Venti del Novecento e che noi, dopo averla brevemente praticata tanti anni fa, non riusciamo più a far nostra”.
Sono parole di uno dei nostri più lucidi costituzionalisti, Francesco Pallante; parole che chiudono la sua bellissima e dolente introduzione a un libro appena pubblicato nella collana del Centro Studi Piero Gobetti (Piero Gobetti e i suoi collaboratori, Difesa della proporzionale. Il dibattito ne “La Rivoluzione liberale”, 1922-25, a cura di F. Pallante, Aras Edizioni 2024). Vi si raccolgono 24 contributi (di Luigi Sturzo, Gaetano Salvemini, Giovanni Ansaldo, Augusto Monti e altri) usciti sulla rivista di Gobetti nei mesi intorno alla prima ‘riforma istituzionale’ del fascismo: l’approvazione della Legge Acerbo, che nel 1923 abbatté la proporzionale, sferrando l’attacco mortale al Parlamento, e dunque alla democrazia, preparando la strada alla dittatura. Le parole, altissime e profetiche, di Gobetti (morto in seguito alle percosse fasciste a soli 26 anni: uno dei danni intellettuali più gravi inflitti all’Italia dal regime) risuonano oggi in modo sinistro: “Questo popolo, che si vanta vincitore e modernissimo, che sogna primati industriali e guerrieri, non è stato capace di reggersi col regime dei partiti, con lo strumento della proporzionale. Non è all’altezza delle democrazie moderne, per cui la proporzionale è, e deve essere, quello che l’uso della tastiera è per la dattilografa.
L’abbandono della proporzionale è una bocciatura bell’e buona del popolo italiano. E la proporzionale resta là, all’orizzonte della nostra vita politica, come un esame che non abbiamo superato e che dovremo ancora affrontare”. Eccoci, infatti, un secolo dopo. Nell’introduzione, Pallante spiega perché, con parole a loro volta profondamente gobettiane. La perdurante infatuazione dell’Italia attuale per il maggioritario, l’elezione diretta di sindaci e ‘governatori’, la riduzione dei parlamentari: tutta questa ubriacatura riposa sulla «convinzione per cui, di fronte alle pluralità conflittuali della vita reale, anziché prenderne realisticamente atto e affrontarle, con atteggiamento politicamente maturo, al fine di (quantomeno provare a) ricomporle, la via maestra sia quella di ignorarle, negarle, accantonarle: facendo finta che il conflitto sociale non esista o che, se esiste, vada anestetizzato e reso inoffensivo». La convinzione che la democrazia sia solo ‘decisione’ e ‘governo’ e non anche (e anzi soprattutto) discussione, confronto, mediazione: ecco ciò che avvelena il dibattito pubblico e la vita politica, e che infine induce all’astensione di massa un popolo, che non si sente più rappresentato perché in effetti non lo è.
E ci si dovrebbe anche chiedere se la generale inclinazione per la guerra oscenamente esibita dalle classi dirigenti europee non abbia a che fare con questa degenerazione dell’idea stessa della politica, divenuta di fatto così simile a una guerra, con vincitori e vinti: “La democrazia come trattativa – spiega ancora Pallante – non esclude affatto il conflitto politico, anzi se ne alimenta: c’è bisogno di un conflitto permanente perché sempre si possa trattare. È, al contrario, la democrazia come guerra che, mirando a sancire un vincitore, annulla il conflitto politico, sterilizzandolo sino alle elezioni successive (sicché, la dinamica politica, anziché dispiegarsi conflittualmente di giorno in giorno, procede, a balzi: di battaglia elettorale in battaglia elettorale). Di qui, la centralità del Parlamento, nel primo caso; del Governo, nel secondo”. Nel deserto di pensatori politici che affligge il nostro tempo è davvero preziosa la capacità di far parlare quelli che, morti nel corpo da gran tempo, sono assai più vivi dei presunti vivi di oggi nelle idee, nella lucidità, nella capacità generativa sul piano intellettuale. A forza di effimeri vincitori che vogliono governare, anzi comandare (fino alla prospettiva mostruosa del ‘premierato’: partorita dagli eredi dei creatori della Legge Acerbo), a perdere è stata la democrazia: al punto che oggi fatichiamo anche solo a capire come venire fuori da una crisi che pare un precipizio. Ecco perché un piccolo libro come questo appare così prezioso.
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