“QUESTA TELA LACERATA….. da il MANIFESTO
«Questa tela lacerata che siamo diventati»
Incontri cruciali con il secolo scorso. All’inizio degli anni ’80 Rossana parla attraverso i suoi libri. Per raccontare in forma letteraria, nuove urgenze politiche e di vita. E diventa centrale l’interrogazione dell’io. La nuova scrittura che ne nasceva, sul finire degli anni settanta, era partorita dall’incontro con il movimento delle donne
«Il 1977 è lo spartiacque», dice Lucio Magri. Rossana Rossanda è meno esplicita, ma le sue iniziative, i suoi interlocutori e i suoi libri parlano per lei: Le altre, Anche per me. Donna, persona, memoria dal 1973 al 1986, La vita breve, La perdita, Questo corpo che mi abita. Libri in cui una lucida coscienza si coniuga con la passione, il discorso autobiografico con le problematiche politiche e l’esigenza di teoria. Testimoni di una continua interrogazione, del mondo, di se stessa e della vita, capace di trovare sempre nuove voci, parole e forme di scrittura per arrivare agli altri. E alle altre.
Non che fosse venuta meno la passione politica, la responsabilità di contribuire a cambiare il mondo. Ma, sofferta, la perdita apriva lo spazio a nuovi incontri. E anche all’emersione di un io – o alla percezione di un io – soffocato dalla dimensione collettiva di un impegno totalizzante, come lei stessa non esiterà a esplicitare. Altre problematiche venivano alla luce, più esistenziali queste: il senso della finitudine, il corpo, la perdita che costella la nostra vita. Nascevano, quella prima persona singolare e quella singolare scrittura, dalla perdita di una prima persona plurale, quella del ‘collettivo’ del Manifesto, dopo quella del Partito con cui aveva condiviso glorie e miserie fin dalla giovinezza e che l’aveva ripudiata.
Nascevano dal senso sofferto di una sconfitta storica e personale. Come avrebbe esplicitato nel chiudere le sue memorie di Ragazza del secolo scorso (2005) con il racconto della radiazione: «Per smuovere un paese occorreva un grande partito. Non era, o non era più, il Pci. Almeno Aldo ed io non ci illudemmo mai che ne avremmo messo in piedi un altro». E però, «non eravamo più dei loro, dei nostri». Poi, laconica: «Speravamo di essere il ponte fra quelle idee giovani e la saggezza della vecchia sinistra, che aveva avuto le sue ore di gloria. Non funzionò».
E come aveva dichiarato con accenti ancora più drammatici in un incontro organizzato dal centro Virginia Woolf di Roma nel marzo 1992: «Io ho cercato di cambiare qualcosa nella società in cui vivevo. Non ci sono riuscita. E sento molto pesantemente la sconfitta. Sono comunista e lo resto. Non formalmente, lo sono davvero: sono persuasa delle ragioni per esserlo. Ma ho visto andare in pezzi non solo un sistema, quello dell’Est. Del quale da almeno venticinque anni penso che non fosse comunista. No, insieme a quel sistema, ho visto andare in pezzi l’idea che si possa cambiare il mondo, che si possa avere una società diversa da quella capitalistica» (tratto da Se la felicità. Per una critica al capitalismo a partire dall’essere donna, 2021).
Ma è solo avanti negli anni, sulla soglia degli Ottanta, che la perdita sarebbe stata tematizzata: nella conversazione con un’amica femminista e psicoanalista, Manuela Fraire intorno al tema «Perdere cosa? Perdere cosa?». È innanzitutto quella perdita impensabile che è la propria fine, ma anche quel «sedimentare delle perdite» che «pesa come un macigno», la perdita della politica come perdita di senso, la perdita che aveva travolto Lucio e lei lo aveva aiutato a morire, e ancora. (Accolta dalla «Rivista di psicologia analitica» (2004), Lea Melandri ne avrebbe poi curato la pubblicazione in volume per Bollati Boringhieri con il titolo La perdita, accompagnandola con un suo testo in postfazione).
Avrebbe anche permesso, questa perdita, di rivisitare criticamente e raccontare in forma letteraria, in una prospettiva esistenziale autoironica, momenti chiave del passato politico. Come in Un viaggio inutile (1981), che racconta come l’impatto con la realtà, durante una missione in Spagna nel ’62, avesse messo in crisi le speranze sue e della sinistra italiana sulla fuoriuscita dal franchismo. A venti anni di distanza, questa esperienza è riletta non solo come un processo di conoscenza ma come un’educazione sentimentale alla politica. Avrebbe permesso, quella perdita, il grande racconto autobiografico La ragazza del secolo scorso, che ripercorre lucidamente una scelta di vita dalla parte dei comunisti e nel partito comunista; e di questa scelta rende tutta la complessità, fra adesione convinta e dolorose scoperte.
La nuova scrittura che ne nasceva, sul finire degli anni Settanta, era partorita dall’incontro con il movimento delle donne e il nuovo femminismo, un incontro «tra i più decisivi», che le insegnava a sentirsi donna oltre che individuo, a pensarsi nella concretezza irriducibile del singolo. Un incontro «problematico», un confronto difficile e appassionato. Condotto nella consapevolezza dichiarata di riconoscersi nella ricerca delle donne e di non condividerne percorsi ed esiti, ostinato nel desiderio di analizzare l’intreccio fra contraddizioni di classe e contraddizione tra maschile e femminile.
L’occasione fu offerta dalle conversazioni radiofoniche sui rapporti tra donne e politica (novembre ’78-febbraio ‘79) e dalla successiva elaborazione, in pagine sorprendenti che ne introducono la raccolta nel libro Le altre: «La mia storia politica è lo sforzo di mettere me stessa da parte, per paura che, se no, non riuscirei ad ascoltare le voci degli altri» – constata Rossanda in una trasmissione, replicando alla rivendicazione del diritto ad essere diverse e sempre tutte intere. Ma è dopo le trasmissioni, dopo aver ascoltato le voci delle altre, dopo aver cercato di capire le ragioni del femminismo che Rossana rivolge pubblicamente lo sguardo su se stessa, recuperando la sua diversità, che è ‘scarto’ rispetto al nome pubblico, e storia singolare. L’io narrato – con toni autocritici, autoironici, talvolta duri – è quello della militante politica: è come tale che Rossanda si riconosce il limite e la responsabilità di non aver mai incontrato la donna. Insieme irrompe, nelle pagine di presentazione, una prima persona singolare che introduce un atto diverso, di natura autobiografica.
Così come il taglio del racconto, che – già qui, prima che nelle Memorie – tende a spiegare un itinerario interiore alla luce di un cambiamento, «una conversione» potremmo dire con Agostino. Pur assumendo l’identificazione con il personaggio che «fa politica da sempre», Rossanda fa passare nel discorso il proprio vissuto, anche quello relativo all’atto di scrittura: il pudore e il desiderio di dire, di scoprirsi, una certa ansia legata alla singolarità della propria esperienza criticamente ripensata e al tempo stesso rivendicata. E mette in campo il corpo, il proprio. Lo spazio percorso dal testo è segnato da due immagini: le ossa che cominciano a dolere, il ventre squarciato in una corsia di ospedale.
Approdo, su un piano figurale, di un percorso storico e soggettivo in una piaga profonda dove le cellule impazzite minacciano di morte. L’effetto di crescendo tra l’una e l’altra immagine dice drammaticamente la minaccia all’integrità della persona nel lacerarsi della tela in cui siamo presi e che abbiamo tessuto. La metafora è ancora di Rossanda – «Non ci salveremo se non ricuciremo tutti i fili di questa tela lacerata che siamo diventati» – in uno dei passi in cui il tono si fa più emotivo, misurandosi con tutte le sconfitte personali e storiche.
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Il testo è uno stralcio della relazione. «La ricerca di un’altra sinistra. L’eredità di Rossana Rossanda nel primo anniversario della scomparsa», tenuta al convegno, ieri a Firenze, promosso dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea e dalla Fondazione Stensen, che sarà visibile sul canale youtube dell’Istituto.
http://www.youtube.com/user/Storiaememoria900videos. L’intera relazione è pubblicata sull’e-book di Sbilanciamoci.
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ROSSANA, UN EBOOK. DIECI ANNI DI ARTICOLI SU SBILANCIAMOCI!
A un anno dalla scomparsa di Rossana Rossanda, Sbilanciamoci! ha raccolto in un ebook dieci anni di suoi articoli, quelli che ha pubblicato su Sbilanciamoci.info tra il 2011 e il 2019. Sono 50 interventi sulla politica italiana e internazionale, sull’Europa travolta dalla crisi economica e istituzionale, sul lavoro, sulla sinistra, sulle possibilità di cambiamento. Articoli che partono dall’attualità, dall’urgenza di capire e convincere. L’ebook è completato da una ricostruzione – di Guglielmo Ragozzino e Mario Pianta – della collaborazione di Rossana con Sbilanciamoci!; due articoli, di Peter Kammerer e Sandra Teroni, ne disegnano la traiettoria politica – dal Pci al Manifesto, all’impegno successivo. C’è il resoconto di Guglielmo Ragozzino, scritto per «il manifesto», su Rossana che racconta di sé in un programma televisivo. Luciana Castellina ne ricorda le grandi passioni, Doriana Ricci ci descrive una donna da non dimenticare. L’ebook è scaricabile gratis sul sito Sbilanciamoci.info.
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MONDO DEGLI ARCHIVI. LE PREZIOSE CARTE DEL SECOLO SCORSO
A un anno dalla sua morte, il Mondo degli Archivi pubblica gli interventi di Maria Fancelli, Sabina Magrini, Rosalia Manno, Sveva Pacifico, Doriana Ricci e Andrea Tanturli presentati in occasione della Notte degli Archivi 2021: tema l’acquisizione del suo archivio da parte dell’Archivio di Stato di Firenze, al quale la giornalista lo ha destinato nelle sue ultime volontà. Contestualmente, del fondo viene pubblicato sul sito web dell’Archivio fiorentino l’elenco di consistenza, curato da Sveva Pacifico. Lo strumento permetterà agli studiosi di orientarsi tra le carte, sedimentate in fascicoli già formati dalla stessa Rossanda, di cui sono conservate le originarie denominazioni, raccolti in 46 faldoni e disposti in ordine cronologico.
Qui il link
Video
Elenco di consistenza
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ISTITUTO DELLA RESISTENZA VENEZIANO. IL 6 OTTOBRE CON CASTELLINA, CACCIARI E ISNEGHI
Il 6 ottobre, dalle ore 17 alle 19, a un anno dalla scomparsa di Rossana Rossanda l’Istituto storico della Resistenza veneziano Iveser la ricorderà con un incontro di riflessione in occasione della donazione all’Istituto della sua biblioteca e altri oggetti della sua vita. L’incontro avrà luogo presso Villa Hériot, Giudecca/Zitelle 54 P. Fra gli ospiti che interverranno, ci saranno Massimo Cacciari, Luciana Castellina, Mario Isnenghi, con il coordinamento di Giulia Albanese, presidente dell’Iveser.
Prenotazione obbligatoria (apertura delle iscrizioni su questo sito dal 24 settembre), accesso in loco con esibizione del Green pass. L’evento si potrà seguire anche da remoto, con una diretta Facebook sulla pagina dell’Istituto.
Una rivoluzione sociale e personale
2020 -2021, un anno dopo. «Le altre» dopo 40 anni. Torna ora per la manifestolibri il volume-raccolta delle trasmissioni di Radio 3 che Enzo Forcella, il suo grande direttore di allora – il 1978 – aveva affidato a Rossana Rossanda per illustrare attraverso 10 parole essenziali il rapporto donne/politica. In questa edizione l’aggiunta di una preziosa prefazione di Lidia Campagnano che allora aveva collaborato con lei in radio
«Ci vuole una vita per capire cosa significa essere donna». «È tutto un lavoro, una prescrizione, un dubbio. Ti avvertono, te lo comandano». Sono frasi della Ragazza del secolo scorso, la ben conosciuta autobiografia di Rossana Rossanda.
In Le altre, il libro pubblicato più di 40 anni fa come raccolta delle trasmissioni di Radio 3 che Enzo Forcella, il suo grande direttore di allora – il 1978 – le aveva affidato per illustrare attraverso 10 parole essenziali il rapporto donne/politica non si disegna solo un quadro del dibattito che coinvolge il neonato movimento femminista italiano, si racconta, meglio di ogni altro scritto, il percorso compiuto da Rossana per capirsi come donna. Percorso politico e umano, perché per ogni donna la politica non può esser disgiunta dalla riflessione su sé stessa, è necessario ci metta il corpo; e l’anima.
Le altre torna ora con la manifestolibri – e proprio oggi, anniversario della scomparsa di Rossana – con l’aggiunta di una preziosa prefazione di Lidia Campagnano che allora aveva collaborato con lei alle trasmissioni di Rai3. Una buona iniziativa perché ci aiuta molto a conoscere un suo pezzo di vita, via via diventato sempre più importante e tuttavia per molti della stessa area Manifesto-Pdup, poco conosciuto: il percorso attraverso il quale approda al femminismo.
Mi piacerebbe avere il modo di parlarne più in dettaglio, perché come lei stessa ricorda in queste pagine, molti dei momenti più difficili affrontati in quel viaggio accidentato li abbiamo vissuti assieme: tutte e due, per generazione, educate all’«emancipazione», vale a dire all’idea che fosse necessario assomigliare il più possibile al maschio per liberarsi dell’«handicap» cui il nostro sesso ci aveva condannato e così poter accedere alla cerchia di quelli cui era dato il diritto e il potere di occuparsi delle sorti del mondo. Io un po’ più disponibile verso il nuovo femminismo, perché per ragioni in gran parte fortuite nei tanti anni di milizia Pci ero finita a lavorare negli aborriti settori separati destinati alle donne – prima la sezione femminile diretta da Nilde Iotti, poi all’Udi – mentre Rossana era rimasta una delle pochissime donne ad esser esentata da questa «umiliazione».
La sua naturale autorevolezza l’aveva esonerata, ma certamente la privò – e spesso mi ha poi detto quanto se ne rammaricasse – di una presenza diretta nel travaglio che accompagnò la scoperta del femminismo che investì in pieno la storica Udi, le cui dirigenti ebbero il coraggio, negli anni ’80, di procedere al suo scioglimento nel movimento.
Anche da noi l’incontro non fu affatto indolore, sebbene il Manifesto sia stata la prima rivista di sinistra a pubblicare già nei suoi primi numeri uno scritto femminista (firmato Cigarini, Pellegrini, Rasi) e poi il solo gruppo della nuova sinistra ad appoggiare pienamente le loro prime manifestazioni, fino anche a cedere loro a Roma una delle nostre sedi, poi divenuta famosa: via Pomponazzi. Ciononostante, le femministe cominciarono ad andarsene dal Partito.
Nel ’76 sul giornale viene pubblicata una pagina intera scritta dal collettivo di Bologna, titolo Le femministe se ne vanno: annuncia che non restituiscono la tessera del partito perché «il Pdup è un buon partito e sembrerebbe un gesto polemico», ma non la rinnoveranno perché sono giunte alla convinzione che «la nostra pratica politica non è conciliabile con la vostra». Risponde Rossana scrivendo sulla stessa pagina: «Penso abbiate torto. Il rischio è che l’Italia diventi come il resto del mondo cancellando l’esistenza di un grande movimento di massa di donne che è stata l’esperienza italiana e che restino solo sussulti di coscienza separati dal movimento di classe».
In un seminario a Bellaria era previsto che uno dei gruppi di lavoro in cui avrebbe dovuto articolarsi fosse dedicato al femminismo. Avrei dovuto coordinarlo io, le donne presenti nel partito erano ancora molte. Ma all’appuntamento ci ritrovammo in 4: io e 3 uomini! Le femministe non si presentarono. Un modo per farci intendere che non erano interessate a discutere con noi «maschi», ma a capire sé stesse. E infatti i gruppi di autocoscienza in cui le compagne si riversarono si moltiplicarono, diventando un necessario momento di autoinchiesta.
Rossana, originariamente la più diffidente, ebbe l’intelligenza – e la curiosità – di impegnarsi a capirle e da allora lesse, scrisse, diede vita a non poche pubblicazioni di preziosa riflessione, con un femminismo che nel frattempo si era andato articolando in molteplici correnti. Lo ha fatto mettendosi in gioco, sottoponendosi lei stessa all’autocoscienza, che vuol dire scoperta del proprio corpo, del proprio sesso, di cosa significa. Senza mai perdere un suo costante punto di vista, quello che è rimasto fondante in tutta la sua elaborazione politica: la centralità della classe operaia, il suo ruolo anche in questo campo, anche se oggi così diversa a quella che era stata.
Perché Rossana ha continuato a porre il problema della ricomposizione di un’identità nuova ma comune, che implica ricostruire anche quella del maschio e le donne devono imparare a pensarlo, perché non possono imporgli la propria visione del mondo. Per cui ci vuole una rivoluzione comune, non due separate, quella che mette in discussione la struttura sociale, che non è secondaria per le donne, e quella che investe la persona.
Che però è molto più difficile: il «privato – ammette Rossana – non è così immediatamente politico, deve fare i conti con un potere invisibile e millenario che ha reso la donna proiezione del maschio, pensata solo attraverso la sua griglia»; e per questo nessuna rivoluzione, neppure quella più radicale dell’Ottobre ’17, ha smosso il potere dell’uomo sulla donna. Perché nella donna il personale ha una dimensione infinitamente più ampia e se non si investe questo campo il rapporto fra i sessi non può modificarsi, «non si può sciogliere – scrive Rossana nel suo meraviglioso linguaggio – il groviglio di vipere che è stato annodato dalla nostra civiltà».
Sarebbe bello poterne discutere ancora con Rossana. Potremmo comunque almeno riflettere insieme fra noi sulle tante, ricchissime sue considerazioni su un femminismo che continua a cambiare e ogni giorno ripropone interrogativi. Io vorrei prevalesse finalmente la convinzione che fondamentale è contestare l’imbroglio dell’uguaglianza dei diritti, tutti ancorati a un soggetto neutro che non esiste, e che però, sia pure con tutti i distinguo, continua a imperare.
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