MEMORIE, libertà, LIBERAZIONE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Resistenza, la «festa» a Roma da oggi al 25
INCONTRI. Una festa, promossa e sostenuta dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale, che vedrà alternarsi – in vari spazi del V e VII Municipio, tra i luoghi simbolo della Resistenza romana – gli interventi di storici, studiosi, giornalisti, artisti
Checchino Antonini 23/04/2024
Nei «quartieri popolari, da Trastevere all’Esquilino, in cui sono evidenti i segni della vitalità clandestina fin sulle mura sparse di scritte antinaziste; e infine la Roma assurda delle borgate, della miseria tragica e senza speranza in cui fermenta uno spirito di ribellione…». In uno dei primissimi libri sulla lotta partigiana c’è uno spunto fondamentale su Roma, sui «271 giorni (8 settembre 1943 – 4 giugno 1944) in cui contrastò l’occupazione di un nemico sanguinario e oppressore con sofferenze durissime», come si legge nelle motivazioni del conferimento alla città della Medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza. Si tratta della «Storia della Resistenza italiana» che nel ’53 valse il Premio Viareggio a Roberto Battaglia, partigiano a sua volta e storico dell’arte.
SEGUIRE LE TRACCE di quei 271 giorni, ricostruirne la memoria e promuoverne i valori è l’intento della seconda Festa della Resistenza, 80 eventi gratuiti, lezioni, incontri, spettacoli, concerti, proiezioni e mostre da oggi al 25 aprile nell’ottantesimo della cacciata di nazisti e fascisti dalla Capitale, in contesto segnato dai venti di riarmo che soffiano in Europa, dal genocidio in corso a Gaza e dalle pressioni revisioniste del primo governo italiano a guida post-fascista.Una festa, promossa e sostenuta dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale, che vedrà alternarsi – in vari spazi del V e VII Municipio, tra i luoghi simbolo della Resistenza romana – gli interventi di storici, studiosi, giornalisti, artisti che racconteranno al pubblico uno dei momenti più alti della storia d’Italia mentre la città sarà punteggiata anche da decine di altre iniziative di movimento dedicate all’antifascismo.
IL PROGRAMMA è stato ideato insieme agli studiosi Davide Conti e Michela Ponzani che si sono confrontati con le principali associazioni impegnate sul terreno della storia e dell’antifascismo, con la collaborazione dell’Istituzione Biblioteche di Roma, delle Associazioni della Casa della Memoria e della Storia, dell’Archivio Flamigni, dell’Associazione Cittadini del Mondo e delle reti di Associazioni culturali e territoriali Q44 e Ottava Zona – Memoria Est. Tra gli ospiti, solo per dare un’idea dello spessore dell’iniziativa, Alessandro Portelli, Corrado Augias, Alessandro Barbero, Lucia Ceci, gli stessi Conti e Ponzani, Giovanni De Luna, Stefania Ficacci, Mimmo Franzinelli, Umberto Gentiloni, Isabella Insolvibile, Marco Mondini, Riccardo Sansone, Anthony Santilli, Benedetta Tobagi, Ascanio Celestini e Liliana Cavani.
Il programma completo è disponibile QUI
Memorie, libertà, Liberazione
IN UNA PAROLA. La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
Alberto Leiss 23/04/2024
Un vecchio amico ha scritto e pubblicato da poco un bel libro – del quale riparlerò – su una storia familiare nella storia della città di Trieste. Breve ma molto denso nella rievocazione di un passato ricco di conflitti e tragedie politiche e identitarie.
Mi ha colpito una considerazione finale: «Ne deriva, cari amici, che dobbiamo coltivare gelosamente le nostre memorie. A ognuno le sue…Non c’è nulla da condividere, e spiace veramente di far torto alle ragioni di chi si è inventato questa benedetta idea della “memoria condivisa”. Domani certo sarà un altro giorno. Ma domani qui da noi non è ancora arrivato». (Roberto Weber, L’uomo che parlava alle statue, Bottega Errante Edizioni, 2023).
Quel «qui da noi» riferito alla vicenda triestina lo leggo in modo assai più largo, sia pure per motivi in parte diversi. Largo quanto questa intera penisola, che puntualmente litiga e si divide in occasione della più fondativa delle sue ricorrenze nazionali, l’ormai vicinissimo 25 aprile.
Non tornerò sulle scandalose vicende della censura a Scurati, con l’offensivo messaggio della presidente del Consiglio, o delle querele governative a personaggi come Luciano Canfora. Ma va discussa seriamente la questione legata all’uso o alla rimozione della parola «antifascismo».
Le destre, nella migliore delle ipotesi, respingono il termine ribattezzando la scadenza come festa «della libertà». Nel mio moderatismo sono per non lasciar cadere questa asserita propensione liberale, se non libertaria, di chi resta attaccato nei fatti a una tradizione politica essenzialmente antidemocratica e violenta. Ma la parola libertà è molto difficile. Non ha un significato univoco. Quale libertà? Non solo per interrogarsi se liberi di o liberi da. Ma anche per vedere chi è davvero libero di fare e che cosa.
È fin troppo evidente che si scappa in una definizione così generica della libertà per non fare davvero i conti con l’evento storico della “liberazione” che è la sostanza del 25 aprile del ’45. Lo sostiene un altro libro piccolo e denso appena uscito per il Mulino: 25 aprile. La storia politica e civile di un giorno lungo ottant’anni. Lo storico Luca Baldissera ripercorre passo dopo passo le trasformazioni del modo di vivere questa ricorrenza dal dopoguerra agli anni del centrismo, alla recente vicenda della fine della cosiddetta “prima repubblica” e dell’avvento di un bipolarismo quantomeno assai incerto e mutevole.
Testo istruttivo per non dimenticare che non solo le destre di matrice fascista – «sdoganate» mentre si dissolveva il vecchio sistema politico dopo il crollo del muro e poi per la tempesta di tangentopoli – si sono impegnate di fatto per rimuovere il contenuto “antifascista” del 25 aprile.
Basta ricordare posizioni espresse dal socialista Bettino Craxi e da intellettuali come Lucio Colletti e Renzo De Felice, per esempio sull’anacronismo delle norme sul divieto di ricostituzione del partito fascista.
Eppure, cito ancora Baldissera, «si può forse dire che l’antifascismo costituzionale è stato per l’Italia qualcosa di analogo al repubblicanesimo per i francesi, una risorsa politica che ha garantito la tenuta dell’assetto democratico del paese».
Giusto dunque, come sollecita anche questo giornale, rilanciare per l’oggi la verità storica del 25 aprile. Credo che si debba anche ragionare sulla ricchezza plurale delle interpretazioni della ricorrenza anche all’interno di questa identità condivisa.
E soprattutto sulla necessità di aggiornare le culture e le pratiche politiche che hanno radici in una storia segnata da grandi ideali di giustizia e di libertà, ma anche dal tragico fallimento dei tentativi di affermarli.
La rivoluzione gentile della Costituzione
SCIAGURA PROSSIMA – La legge fondamentale trae tuttora la sua forza dai cosiddetti contrappesi che la abitano. Ma ora, se dovesse ridursi il potere del capo dello Stato, verrebbe meno una di queste architravi
LUCA SOMMI 23 APRILE 2024
Lo dicono i più insigni costituzionalisti, lo può dire ogni cittadino che, leggendo la Carta, non riesce a trovarne corrispondenza nella sua vita di tutti i giorni: l’attuazione della Costituzione non si è mai compiuta.
Uno dei più illustri giuristi del XX secolo, Costantino Mortati, disse che “la forza di rottura, potenzialmente contenuta nel testo costituzionale, non ha trovato energie sufficienti per metterla in opera”. Come dire che gli ideali di rinnovamento che avevano dato vita alle lotte della Resistenza non riuscirono a mantenere la loro intensità “e con essa l’unità delle forze che si erano raccolte intorno”. Eppure lo abbiamo visto più volte il popolo italiano far quadrato attorno alla Costituzione, impegnarsi con l’unico strumento diretto – il referendum – a cancellare tutti i tentativi di attacco alla Carta. Un popolo, quello italiano, che sembra mostrare ancora una fede nella forza propulsiva di quei principi fondamentali, ma non solo. Lo diceva una grande costituzionalista come Lorenza Carlassare: “Una fede fondata se oggi tanti si impegnano nella ‘lotta per la Costituzione’, associata alla deriva presidenzialista”. Eh sì, perché il problema è proprio qui, nel desiderio mai celato di certa classe politica di avere “pieni poteri”, di ricondurre tutto a un capo. La Costituzione, nella sua interezza, trae ancora la sua forza dai cosiddetti contrappesi che la abitano, e se dovesse perdere forza l’istituzione del Presidente della Repubblica verrebbe meno uno di questi architravi – cosa inevitabile con l’elezione diretta del presidente del Consiglio, anche se chi vuole questa riforma dice il contrario. E tra la sparizione della forza dei cosiddetti corpi intermedi – associazioni, sindacati, partiti, etc – e il desiderio di avocare il potere in mano a un solo “condottiero”, allora sì che la forza ancora inesplosa della nostra Costituzione potrebbe trovare il suo capolinea definitivo. Parlare di attuazione e non di revisione significherebbe parlare a un nuovo umanesimo, scevro di vecchie impronte ideologiche e capace di ridare forza – quella forza a cui si alludeva prima – a quella indignazione che da sola può ribaltare lo status quo.[…] Demandare tutto al “sindaco d’Italia”, come dice qualcuno, significa andare nella direzione opposta a quell’umanesimo auspicato dalla carta fondamentale. E che ancora non si è visto, che è ancora oggi nella sua infanzia – in attesa della tanto agognata maturità. Il nuovo umanesimo dovrebbe essere accompagnato da una ritrovata vitalità dei corpi intermedi, fondamentali per la vita democratica, e uno spirito attivo che parta dalla cittadinanza. Come dice il filosofo Stefano Bonaga: “Non chiediamoci cosa può fare la politica per noi, ma cosa possiamo fare noi per il bene comune, di cui facciamo parte”. Cittadinanza attiva e partiti politici attivi, non meri destinatari di richieste o, peggio, ciò che profetizzava Enrico Berlinguer nella sua riflessione sulla questione morale: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela; scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un ‘boss’ e dei ‘sotto-boss’”. Non sono più organizzazioni del popolo, e per di più di un popolo che oggi vive il disincanto nel vedere l’impotenza della politica. Che nell’ultimo trentennio è stata oscurata da un’ideologia fondata sul “liberismo”, e sulla “deregolazione finanziaria”, allontanandosi sempre più dai principi costituzionali. Come il diritto alla salute ribadito dall’art. 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Cure gratuite, ma è davvero così? Sì, fortunatamente, però se poi devo aspettare mesi per essere operato, al pronto soccorso rimango su una lettiga in corridoio o ci vuole un anno per fare un’analisi, significa che qualcosa non funziona. Non sarà che è stata presa un’altra strada? Quella della privatizzazione della sanità? I diritti svenduti al mercato, anche quelli che ieri mai avremmo pensato alienabili, per ridirla alla Marx.
Una subalternità culturale che andrebbe abbandonata per riscoprire la bellezza della convivenza, fondata sul soggetto e non sull’oggetto. È ora di riprendere quel cammino tracciato dalla nostra Costituzione, fatto di dignità, legalità, onestà, giustizia, altruismo, solidarietà.
L’emancipazione della persona e non il suo assoggettamento al mercato, cittadini e non più clienti.
Riprogettare la vita, i suoi vecchi paradigmi, ripensarli e non avere paura di cambiarli. Non serve l’ennesima prova di forza per “entrare nella Storia” cambiando radicalmente la Costituzione. Serve la prova di forza di cambiare questo mondo storto, fatto ancora di gas, petrolio, guerre, sopruso su animali e ambiente, cinismo, arrivismo, pandemie. Non serve un capo, serve una coscienza collettiva consapevole di andare verso il bene, che è tutto già prescritto nella nostra Costituzione.
Non serve più lo scontro, l’attacco, la rabbia.
Servirebbe una vera rivoluzione, una rivoluzione gentile. Quella che ha fatto la nostra Costituzione. La più bella del mondo.
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