“MALSVILUPPO”: AUMENTO DELLE DISUGUAGLIANZE E DELL’ODIO SOCIALE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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“MALSVILUPPO”: AUMENTO DELLE DISUGUAGLIANZE E DELL’ODIO SOCIALE da IL MANIFESTO

Una campagna su autonomie regionali e legge elettorale

RIFORME. È stato introdotto con subdola demagogia – e sublimato dalla narrazione berlusconian-renziana – per giustificare il sistema elettorale dei nominati e dei voti obbligatoriamente spalmati sulle liste congiunte indipendentemente dalla […]

Enzo Paolini  29/11/2022

È stato introdotto con subdola demagogia – e sublimato dalla narrazione berlusconian-renziana – per giustificare il sistema elettorale dei nominati e dei voti obbligatoriamente spalmati sulle liste congiunte indipendentemente dalla volontà degli elettori, per poi suddividere impunemente premi di maggioranza, espliciti o nascosti, per poter esibire il ritornello dei vincitori la sera delle elezioni. Viceversa le elezioni sono fatte per fotografare il paese e tradurre la rappresentanza nelle aule parlamentari. Per organizzare la traduzione del consenso in leggi parlamentari la Costituzione prevede altri organismi: i partiti.

Se i parlamentari non sono eletti in base al consenso ma alla indicazione dei capi allora i partiti non hanno più motivo di esistere. E infatti sono morti. Il nostro sistema non è più fondato sul consenso, sul legame sociale tra elettore ed eletto quanto piuttosto sul rapporto fiduciario tra nominante e nominato. Si restringe il campo del dialogo sociale e si crea di fatto una oligarchia. Che provoca il fenomeno dell’astensionismo.
E’ quello che avviene oggi nel nostro Paese. Dove una classe dirigente che tutti definiscono inadeguata, ma che sarebbe più rispettoso definire semplicemente non legittimata, propone la più sgangherata ed autoritaria delle riforme, quella della autonomia differenziata.

Come una responsabilità del genere possa essere consentita ed anzi affidata ad un sedicente legislatore che ha devastato il Paese con una legge elettorale che ci ha condotto sin qui e che nonostante i ripetuti moniti della Corte Costituzionale (e gli inutili gargarismi di tutti i politici a parole contro ma nei fatti a favore) non si riesce ad estirpare, è un fatto che appare incredibile ma ha una sua logica.
La semina dell’odio sociale nasce da lontano, è stata sopita e dominata per tanto tempo dalle grandi scuole politiche del dopoguerra, per esplodere nel momento in cui le forze illiberali del mercatismo e dell’iperliberismo hanno preso il sopravvento: prima con il programma “Rinascita” di Gelli e poi con quello scritto da J.P Morgan ed interpretato da Renzi.

Ambedue apparentemente sconfitti, è vero, l’uno dalla magistratura l’altro dal popolo referendario, ma presenti ed infettanti, eccome, grazie al cavallo di Troia della legge elettorale, l’arma che ha spezzato ogni tipo di connessione politica e sociale tra il paese reale ed il paese legale, che ha creato il Parlamento che conosciamo, dimezzato ed irrilevante sul piano della rappresentanza, rilevantissimo su quello del potere obbediente. Che non è un ossimoro ma la triste realtà.

Per questo, ora più che mai occorre aderire a due progetti di Legge di iniziativa popolare (promossi da Massimo Villone sull’autonomia differenziata e da Felice Besostri sulla legge elettorale). Nel tentativo di invertire la direzione che hanno preso le cose nel nostro Paese, portandoli alla discussione dell’aula sostenuti da un movimento d’opinione.

Viesti: «Il taglio del reddito di cittadinanza è iniquo e pericoloso»

INTERVISTA. Gianfranco Viesti (Università di Bari): «Il rapporto Svimez 2022 sostiene che con la nuova crisi ci saranno 760 mila poveri in più. In queste condizioni tagliare il reddito non è iniquo e pericoloso. E attenzione a dire che “il lavoro libera l’uomo” quando ci sono lavori precari senza salario minimo. Sull’autonomia differenziata la Lega ha sfondato grazie all’azione dei politici del Pd come il presidente Pd dell’Emilia Romagna Bonaccini che pensavamo “giocassero nell’altra squadra”.

Roberto Ciccarelli  29/11/2022

Gianfranco Viesti, economista all’università di Bari, perché ritiene “iniquo e pericoloso” togliere il “reddito di cittadinanza” a 660 mila persone ritenute “occupabili”?
È pericoloso perché, con la crisi energetica, siamo in un momento in cui potrebbero cadere in povertà altre 750 mila persone in aggiunta a quelle che già ci sono. Lo dice il rapporto Svimez. Le spese di riscaldamento e per l’alimentazione sono incomprimibili e l’inflazione colpisce i più poveri. Il taglio del “reddito” è iniquo perché colpisce persone che, a mio avviso, hanno acquisito il diritto all’assistenza. Assistenza non è una parolaccia, è un segno di civiltà, di solidarietà sociale e di una cittadinanza più coesa. Garantire un minimo vitale a persone che ne hanno maggiore bisogno è giusto, oltre che necessario.

Campania e Sicilia hanno la quota maggiore di beneficiari del “reddito”. Per le destre preferiscono il “divano”, nozione coniata a suo tempo dal Movimento 5 Stelle. Ma è proprio così?
Fossero solo le destre a dirlo. Lo dice anche un ex segretario del Pd come Renzi che ha annunciato un referendum per abolire il “reddito”. Non c’è una preferenza per il divano. In primo luogo, come ha mostrato la Commissione Saraceno nell’ottobre 2021, ci sono difetti di costruzione della misura che non favoriscono la transizione al lavoro, oltre ad escludere molte persone dai benefici.

Il governo Meloni si è dato tempo fino ad agosto 2023 per riformare le politiche attive e trovare lavoro e formazione a chi perderà il reddito. Ci riuscirà?
A me pare che serva un tempo molto più lungo perché i numeri sono grandi, la domanda di lavoro è scarsa, specie nei territori più difficili, e i servizi per l’impiego vanno potenziati. Inoltre, bisogna fare attenzione a dire che “il lavoro libera l’uomo” quando sappiamo che, in assenza di un salario minimo, ci sono lavori sottopagati e precari. A Sud un dipendente su 4 è precario, dice Svimez. Tra gli “occupabili” a cui si vuole togliere il “reddito” ci sono anche lavoratori poveri. Va bene cercare una transizione verso un degno reddito da lavoro, ma senza lasciarli in mezzo a una strada.

Svimez sostiene che, nonostante il Pnrr, nel 2024 il Sud avrà un pil inferiore dell’8% rispetto a quello che aveva prima della crisi del 2007. Cosa significa questo per lei che ne ha studiato l’impatto?
La crisi in cui stiamo entrando, con tante incognite, è molto cattiva perché colpisce i più deboli, che sono di più al Sud. La strada maestra è potenziare i posti di lavoro in attività industriali e terziarie al Sud. Ma qui c’è la pecca più grossa del Pnrr. Fa bene sulle ferrovie; per le imprese fa molto ma male. Destina quasi 40 miliardi in incentivi alle imprese ma rinuncia a orientare gli investimenti: non solo dal punto di vista della creazione di occupazione e della parità di genere, ma anche territorialmente. Sostiene le imprese dove sono ma non favorisce il loro sviluppo dove non ci sono.

Molti esperti sono preoccupati per i tempi previsti (luglio 2026) per la conclusione di tutte le opere e la capacità di spendere le risorse del Pnrr. Cosa ne pensa?
Il ministro Fitto ieri ha detto cose sensate. Certo, nell’ultimo anno c’è stato una imprevedibile impennata dell’inflazione, il costo delle opere è aumentato. Non è colpa di Draghi che, anzi, ha stanziato risorse aggiuntive per coprire i costi. Ma Draghi ha sottovalutato la necessità di potenziare le amministrazioni. In questo, il Pnrr è ideologico: presume che con semplificazioni e digitalizzazioni le amministrazioni diventino molto più efficaci. Invece servono risorse umane giovani e di qualità. Il Pnrr non si pone il problema; forse perché le assunzioni nel pubblico non piacevano ai consiglieri dell’allora presidente del Consiglio. Sa che il 97% dei dipendenti del Comune di Catania ha più di 50 anni? Questo lo sapevano tutti quando hanno scritto il testo. Provo inutilmente ad attirare l’attenzione su questo da un anno e mezzo.

E il governo Meloni cosa vuole fare?
Vedremo. Loro sono entrati nella stanza dei bottoni, e li hanno trovati; ma sono stati tutti già premuti. Le decisioni le ha prese Draghi. A loro è rimasto il compito difficile di mettere in atto operativamente il Piano.

Taglio dello Stato sociale e iniquità fiscali con la flat tax ora, domani l’autonomia differenziata contro la quale lei ha steso con altri una proposta di riforma costituzionale di iniziativa popolare per rivedere gli articoli 116 e 117 della Costituzione. Perché hanno deciso di fare a pezzi questo paese?
Idee che vengono dal passato. La storia incredibile di come un’impostazione estrema dell’articolo 116 sia invece entrata nel dibattito politico, invece di essere subito rimandata al mittente. La Lega l’ha spinta, ma chi ha spianato la strada sono stati prima il governo Gentiloni a fine febbraio 2018, con l’allora sottosegretario Gianclaudio Brescia, e poi c’è stato il presidente dell’Emilia Bonaccini che – pur con richieste un po’ diverse – ha dato copertura politica a Zaia, Maroni e Fontana. La lega ha sfondato grazie all’azione di politici che pensavamo “giocassero nell’altra squadra”.

Perché nel dibattito politico a Nord lei ritiene che non si parli di autonomia differenziata?
Mi dispiace moltissimo perché sembra che sia una lite tra presidenti di regioni. È una visione pericolosa. Non si tratta solo di un conflitto tra Nord e Sud sulle risorse. Qui si vuole disegnare un paese completamente diverso, a coriandoli. Ed è tutto da dimostrare che i cittadini lombardi avrebbero vantaggi dall’autonomia differenziata. I politici regionali farebbero tombola, i cittadini non necessariamente.

I have a dream: la leggenda del Pnrr

COMMENTI. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza doveva risolvere i problemi della scuola italiana, dare una svolta alla transizione ecologica, risollevare le sorti del sud. E tanto altro. Non è andata così

Enzo Scandurra  29/11/2022

Quando le prime volte sentii in TV e annunciato dai quotidiani, che all’Italia erano stati assegnati dall’Europa oltre 200 miliardi, che poi andarono a formare il famoso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pensai ingenuamente che finalmente sarebbero stati affrontati, se non proprio risolti, gli annosi problemi della sanità, della scuola e dell’università e chissà quanti altri ancora. Immaginai subito il sollievo di ex colleghi d’università che avrebbero finalmente visto l’ingresso di nuovi e giovani ricercatori fino ad allora precari e anche l’arrivo di preziose risorse per la ricerca. Pensai ancora che, accanto agli ospedali che versano nelle condizioni drammatiche che ben conosciamo, sarebbero sorti presidi territoriali sanitari di prima accoglienza e sarebbe finito l’incubo di ore e ore di attesa nei pronto soccorso dei nosocomi.

Credei che i problemi della scuola italiana sarebbero finiti con nuovi ingressi di docenti, con la manutenzione dei vecchi e fatiscenti edifici, che ci sarebbero stati molti più docenti per consentire agli studenti di rimanere a scuola fino al pomeriggio, che si sarebbero costruite nuove e più moderne scuole, che sarebbe finita la questione delle “classi pollaio”; se no che ripresa era?

Pensai che si sarebbero realizzati moltissimi impianti eolici e fotovoltaici in modo da abbandonare la dipendenza dai fossili e avviarsi verso quella che era stata già denominata riconversione ecologica, per la quale era stato chiamato un famoso tecnico che avrebbe dichiarato guerra all’uso dei fossili. Insomma i territori, nel mio immaginario, sarebbero divenuti i luoghi dove produrre energia pulita, disseminati di presidi socio- sanitari e scolastici e comunità energetiche. Presidi della difesa degli istessi territori – basta vedere la tragedia di Ischia di questi giorni alla cui origine c’è la devastazione ambientale incrementata dall’abusivismo perlopiù condonato.

Pensai ancora al sud che con tutti quei soldi del PNRR avrebbe potuto risalire la china del malsviluppo per avviarsi a diventare un’area strategica del Mediterraneo in Europa, un ponte verso le aree dell’Africa settentrionale.

Giunsi fino a fare, nella mia mente, qualche conto grezzo: si trattava di oltre 200 miliardi quando, fino ad allora, le manovre economiche che si potevano al massimo sognare erano dell’ordine di 5-6 miliardi e comportavano lunghi dibattiti parlamentari.

Ci ho messo un po’ di tempo a capire che le cose non sarebbero andate così, che tutti quei soldi non avrebbero cambiato di una virgola la situazione italiana e che soprattutto per sanità, scuola e università le cose sarebbero andate anche peggio. Immaginate la delusione, per esempio, che ho provato nel sapere che tra le grandi opere da finanziare, probabilmente inutili, ci sarebbe stata anche quella del famigerato Ponte sullo Stretto, diventata quasi leggendaria.

Mah! Mi dicevo all’inizio, pazienza, magari si farà con i soldi avanzati da quei famosi 200 e oltre miliardi.

Qualcosa non va, mi sono detto ad un certo punto. Ho letto della proroga per le trivellazioni per estrarre ulteriore fossile dai nostri mari, del nucleare che credevo scomparso dal futuro (ci sono stati ben due referendum per tentare di cancellarlo), degli inceneritori che, se non sbaglio, devono essere alimentati anche essi con combustibili fossili, di quella strana tecnologia che serve per catturare la CO2 prodotta per poi seppellirla sotto la crosta terrestre (cosa che in passato aveva fatto sapientemente la natura formando i depositi naturali di fossili), poi ancora delle auto elettriche le cui batterie richiedono consumi di metalli rari, presenti solo in certi paesi, poi dei gassificatori e ancora l’idrogeno, prodotto anch’esso coi combustibili fossili.

Un giorno sono passato nella la mia facoltà universitaria, l’ho trovata vuota. Una volta c’erano lotte furiose per accaparrarsi una stanza, ora sembrano luoghi abbandonati per qualche nuova, misteriosa epidemia. Negli ospedali il clima non è diverso, anche lì sale d’attesa strapiene per essere visitati velocemente da qualche medico, spesso davvero eroe, che non ha ancora abbandonato il luogo pubblico per un assai più proficuo stipendio nel privato.

Infine la scuola del Merito, quasi don Milani non fosse mai esistito, dove ancora si svolgono doppi e tripli turni e di tanto in tanto cedimenti strutturali mettono a rischio la vita degli studenti. Le città sommerse di rifiuti e il traffico privato fa perdere ore e ore di tempo per raggiungere il dentista o una banca per la quale è tassativamente necessario richiedere un appuntamento. E nei territori: fabbriche che chiudono i battenti per trasferirsi altrove, operai licenziati, povertà che aumenta, disuguaglianze che crescono, intelligenze costrette ad emigrare.

Ma quei soldi, dirà l’uomo di strada imbottigliato nel traffico o in attesa in qualche corridoio del pronto soccorso, non dovevano servire, almeno un po’, a questo?

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