LIBERIAMO L’ITALIA DAL VIRUS DEL FASCISMO da IL MANIFESTO
Un presidio della democrazia che chiama i lavoratori al conflitto
Roma. In piazza ieri la «stessa consapevolezza del 2002 al Circo Massimo», ricordava Cofferati. Dopo l’assalto fascista alla Cgil, «Mai più» ora vuol dire protagonismo della classe operaia
Tommaso Di Francesco 17.10.2021
Una grande, combattiva e solare manifestazione di volontà ha ieri presidiato Roma perché mai più tornino gli spettri del fascismo. Promossa da Cgil, Cisl e Uil – che non hanno ascoltato le sirene del «silenzio elettorale» -, è stata la prima risposta di massa alla grave aggressione squadrista fascista che si è consumata il 9 ottobre – una data da non dimenticare – che ha attaccato e devastato la sede nazionale della Cgil, il più grande sindacato della storia italiana. Nella piazza era evidente il forte legame di solidarietà e insieme un nuovo protagonismo, non solo d’appartenenza, perché stavolta il vulnus è stato a tutta la democrazia italiana e alla Costituzione nata dalla Resistenza antifascista.
Una «manifestazione di tutti» e «per estendere la democrazia» ha detto un elegante Landini pe la prima volta in vita sua con una cravatta, rigorosamente rossa. Ora unitariamente, i sindacati aspettano Draghi alla prova dell’antifascismo: il governo deve mettere fuorilegge le formazioni squadriste come Forza Nuova.
Ma la convinzione, sospesa e diffusa, che abbiamo raccolto è che la difesa a questo punto non basta e che sarebbe ora di uscire dall’assedio e dalla condizione di divisione che la classe operaia tutta, nella sua nuova e vecchia composizione, vive ora. Perché il corpo sociale dei lavoratori esce dalla pandemia – ma ne siamo davvero fuori? – più colpito e frantumato di prima.
Mentre il fronte padronale, compatto dietro la Confindustria, è attivo nella ricomposizione delle condizioni di sfruttamento eguali e superiori al periodo precedente.
DIMENTICO che i nodi della sicurezza per il Covid sul posto di lavoro sono stati sollevati nei mesi più bui della pandemia a inizio 2020 con una stagione di scioperi al nord dagli stessi lavoratori che, anche nel periodo più duro della diffusione del contagio, sono andati a lavorare in milioni mentre venivano disattese dai padroni le più elementari norme di distanziamento, tutto subordinando alla logica del profitto, al «verbo» della crescita e alla gestione tutta padronale delle novità del lavoro digitalizzato a distanza. Una Confindustria «militante» che rilancia e ottiene lo scellerato sblocco dei licenziamenti. Deve tornare la stessa normalità, quella capitalistica e l’unica misura deil’umanità, il Pil – mentre navighiamo al ritmo criminale di 4 morti al giorno sul lavoro. A proposito di navigare: come non chiamare fascismo la cacciata razzista dei migranti da destinare alle fosse comuni del Mediterraneo?
È UNA CLASSE OPERAIA nell’angolo, divisa in mille rivoli ma «con la stessa consapevolezza del 2002 al Circo Massimo», ricordava Cofferati al manifesto. Il messaggio è partito. «Mai più» deve voler dire ora protagonismo dei lavoratori: solo il conflitto garantisce la democrazia e la cosiddetta «ripresa economica»: sulla sanità pubblica, dove torna l’arrembaggio; sull’uso delle nuove tecnologie; sulla finalità del lavoro stesso per una produzione che risponda non più solo al mercato ma a bisogni collettivi azzerati anche dalla pandemia; sulla garanzia di un salario di base che entri come istituto nel welfare – non abolizione del reddito di cittadinanza ma sua estensione e miglioramento di fronte alla nuova miseria e alle diseguaglianze che avanzano; sulla scuola abbandonata a se stessa; sulla nuova fiscalità che per essere eguale deve essere patrimoniale; sull’ambiente ai limiti della sopravvivenza del pianeta, che vede una litania di vertici internazionali sempre eguali e proteste dei verdi, ma che pretenderebbe la scesa in campo dell’unico soggetto che, riproducendo ogni giorno la vita materiale e pagando sulla propria pelle la distruzione ambientale che inizia dai luoghi di lavoro, deve cominciare a dire No, a partire dalla cosiddetta «transizione ecologica» governativa che riconsegna l’apparato produttivo agli stessi devastatori – mentre Draghi annuncia addirittura un «riarmo» del Paese.
CHE FINE HANNO FATTO le rappresentanze dirette dei lavoratori per il controllo dell’erogazione di lavoro in fabbrica e degli investimenti mastodontici di denaro in arrivo nell’apparato produttivo con Pnrr e bilancio governativo?
MA L’IDEA CHE FA CAPOLINO da più parti, utile agli equilibrismi dell’onnivoro governo di tutti, è quella di un «patto sociale» amministrato dall’avvento di un presunto governo tecnico. Eppure Draghi non è un governo tecnico, è l’ingegnere che, approfittando dell’oggettivo dirigismo sanitario da pandemia – che amministra a volte giustamente come necessario a volte come puro esercizio di autorità -, lavora a ripristinare l’intero sistema, appoggiato dalle standing ovation confindustriali, vale a dire di chi ha il comando sul lavoro e il potere finanziario.
E NON BASTA CERTO che Draghi sia corso da Landini a portare la sua solidarietà tra le macerie interne della sede sindacale, preoccupato che non gli sfugga un interlocutore ancora decisivo. La centralità anomala di questo governo, la verticalizzazione del potere che rappresenta, con un parlamento ridotto a feticcio – in una Europa sempre più debole – , rischia di portare la crisi italiana in un’altra direzione: alla corporativizzazione della società. E allora sì che possono materializzarsi i paragoni con gli anni Venti del secolo passato. Con le immagini della sede Cgil distrutta che hanno richiamato a tutti quelle delle Camere del lavoro incendiate dai manipoli di Mussolini. Ma attenzione, la storia non si ripete mai nello stesso modo, se la prima volta è tragedia la seconda è farsa, ricordava Marx. Se non vogliamo che quei fantasmi «mai più» si ripresentino, è un vasto movimento di lotte e di iniziativa dei lavoratori che va costruito, capace di richiamare a sé, ad unità sociale e politica, la protesta diffusa e la rabbia che ovunque si manifesta in modalità ormai troppo spesso pericolosamente irrazionali.
La sfida vinta di Landini: «Siamo l’Italia che vuole cambiare»
Un Buon Lavoro. Il segretario punta ad aprire una nuova fase con governo e politica. L’unità con Cisl e Uil si rafforza. «La Costituzione sia la stella polare della ricostruzione del paese: il governo e tutte le forze politiche sciolgano le organizzazioni neofasciste. Questa piazza chiede atti concreti, non chiacchiere»
A undici anni dal suo primo comizio a piazza San Giovanni contro il ricatto di Marchionne a Pomigliano, Maurizio Landini si presenta per la prima volta in giacca scura e cravatta rossa. L’assalto squadrista alla sede della Cgil di una settimana fa è uno spartiacque che grazie a una risposta storica di partecipazione – 200mila persone con le vie limitrofe piene di persone – porta Landini a tentare di aprire una fase nuova di protagonismo sindacale.
«QUESTA BELLISSIMA PIAZZA parla a tutto il paese – esordisce nel suo comizio conclusivo tra le urla «Maurizio, Maurizio» – questa di oggi non è solo una risposta allo squadrismo fascista perché questa piazza rappresenta l’Italia che vuole cambiare. Essere antifascisti non vuol dire essere contro qualcuno, significa che si è per la Costituzione nata dalla Resistenza».
Arriva quindi subito la richiesta al governo: «Con Cisl e Uil chiediamo che accolga la nostra sfida. L’assalto non è stato solo contro la Cgil ma contro il sindacato e il mondo del lavoro. Noi vogliamo che l’occasione irripetibile del Pnrr porti all’obiettivo di piena e buona occupazione. Ci hanno attaccato per questo. Questa piazza tranquilla è forte è la sconfitta di chi pensava che con un atto di violenza si potesse tornare indietro. Ora la Costituzione sia la stella polare della ricostruzione del paese: il governo e tutte le forze politiche sciolgano le organizzazioni neofasciste. Questa piazza chiede atti concreti, non chiacchiere», attacca Landini. Vedremo mercoledì in senato, quando il parlamento discuterà le mozioni in proposito, il segretario Cgil sarà ascoltato.
La riflessione su cos’è stato il fascismo – «violenza e regime di massa, con idee che diventano idea del capo che tutti devono seguire» – porta Landini a dire che «l’antifascismo oggi non può che essere estendere la conoscenza e la partecipazione». Senza dimenticare Giulio Regeni – «vogliamo verità» – e citando la solidarietà avuta da mezzo mondo, Landini propone: «costruiamo una moderna rete antifascista che parta dall’idea che la democrazia non si esporta con la guerra ma con lavoro e diritti».
«MAI PIÙ FASCISMI» HA PERÒ una «piattaforma propositiva» che guarda all’oggi del lavoro in Italia. «L’80% dei nuovi 500 mila posti che sono precari», «la nuova Alitalia che usa soldi pubblici per tagliare i salari e togliere il contratto nazionale», «le tante delocalizzazioni da Gkn, Gianetti, Whirlpool su cui il governo deve intervenire subito», che lo portano a chiedere di «non passare dalla pandemia del vaccino alla pandemia salariale»: «serve rinnovare i contratti e riformare il fisco per aumentare il netto in busta paga e nelle pensioni».
LA CHIUSURA INASPETTATA del comizio di Landini – «Dedichiamo questa giornata ai giovani perché vivano in un paese migliore, senza guerre e senza fascismo» è legata a un aneddoto personale. «Ieri ero a Pescara a parlare con gli studenti del premio Federico Caffè, una ragazza mi ha chiesto: “Tu parli dell’esigenza che le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare non siano messe le une contro le altre ma a noi insegnano tutti i giorni il contrario, a competere”. Sul momento le ho risposto rilanciando l’idea di solidarietà ma riflettendoci meglio ho capito quanto sia stato nocivo far passare l’idea che la società non esiste, esistono solo gli individui. Così come l’idea di proprietà, quella usata dai maschi che considerano così le donne e fanno loro violenza».
A COMINCIARE INUSUALMENTE in perfetto orario – le 14 – la manifestazione era stato il segretario Cisl Luigi Sbarra, esordiente a San Giovanni, che alla destra critica sulla scelta del sabato pre-elettorale per la manifestazione aveva ricordato come «il sindacato scese in piazza il giorno del sequestro di Aldo Moro» e stigmatizzato come «sia grave che divisioni nella maggioranza non abbiano ancora portato allo scioglimento delle formazioni neofasciste». La Cisl ribadisce poi come l’obiettivo del sindacato confederale rimanga lo stesso chiesto da mesi: «Il vaccino deve diventare dovere legale» mentre rimane immutata, come da tradizione cislina, l’invito al governo «per una nuova prospettiva di incontro sulla governance del Pnrr». «Non fermiamoci, senza paura», ha concluso Sbarra.
L’onore del palco è poi toccato a Silvia, giovane infermiera al Pronto soccorso dell’ospedale Umberto I a Roma e delegata Fp Cgil presente durante il secondo raid di sabato scorso dei No Vax. «Noi siamo la prima linea che ha affrontato il Covid – esordisce emozionata – , ci chiamavano eroi e poi ci hanno dimenticato. La notte del 9 ottobre siamo stati costretti a barricarci dietro una porta taglia fuoco per difendere i nostri pazienti. Una violenza senza precedenti, vergognatevi!», urla tra gli applausi. Il suo appello alla vaccinazione è il modo migliore per chiudere le falsità su Cgil, Cisl e Uil vicine alle posizioni No Vax.
CONCETTO RIBADITO subito dopo dal leader Uil Pierpaolo Bombardieri, anche lui al primo comizio nella storica piazza del sindacato e della sinistra. «Siete in mala fede: sostenevamo i vaccini già all’inizio della pandemia e chiediamo che siano tolti i brevetti». Molto efficace la risposta a Calenda che ieri non è venuto in piazza perché nella piattaforma della manifestazione si citava anche l’abbassamento dell’età pensionabile. «Ho letto di qualcuno che ci ha accusato di non parlare solo di fascismo. Allora non avete capito: questa è la piazza del sindacalismo unitario! Non riuscirete a intimorirci». Al governo l’affondo più forte è sulle crisi aziendali: «Dov’è finito il decreto contro le delocalizzazioni? Si è perso in un sottoscala del Mise? Tiratelo fuori subito», ha tuonato Bombardieri. Per concludere con un monito impegnativo: «Da oggi parte la nuova resistenza».
Dopo un’altra delegata, Maria Cristina, lavoratrice di quella Carrefour che vuole licenziare 700 addetti nonostante i guadagni durante la pandemia, prima di Landini ha parlato Luca Visentini, segretario della confederazione dei sindacati europei, la Ces. «Dobbiamo chiamare le cose con il loro nome, quello di sabato è stato un attacco fascista e squadrista. La crisi economica ha portato i populisti al governo, in parecchi paesi europei hanno dimostrato di essere dei neoliberisti autoritari al servizio delle grandi imprese con taglio di welfare, salari e diritti. Queste destre sono i fascisti del nuovo millennio. Noi come sindacati abbiamo la possibilità di comprendere i bisogni delle persone e proporre all’Ue soluzioni credibili», ha chiuso Visentini.
NON CI POTEVA ESSERE chiusura più bella di “Bella Ciao” cantata a squarciagola con Landini che vuole al suo fianco Sbarra e Bombardieri. L’Italia del lavoro ha dato un segnale: «Mai più fascismi». Tocca alla politica raccoglierlo.
San Giovanni è di nuovo piena. «Duecentomila antifascisti»
Un buon lavoro. Sindacati, sinistre e cittadini reagiscono all’assalto alla Cgil. Il debutto in piazza del M5S
Basta un rapido giro agli stand dei sindacati per scoprire che il gadget più richiesto, e già a metà pomeriggio ormai introvabile, è il cappellino rosso con la scritta «Make Italia Antifascista Again» con il quale quelli dello Spi fanno il verso allo slogan del loro coetaneo statunitense Donald Trump. «È andato a ruba», dicono con una certa soddisfazione i militanti mentre osservano piazza San Giovanni riempirsi e poi tracimare fino alle vie d’accesso. Il che consente loro di annunciare che in piazza si sono ritrovate duecentomila persone. Non un record assoluto, ovviamente, ma probabilmente un risultato insperato se si considera che la grande manifestazione di ieri è stata convocata meno di una settimana fa. E che era da quasi due anni, causa pandemia, che la macchina organizzativa sindacale non si rimetteva in moto per allestire un evento di queste dimensioni.
ALLA CHIAMATA di Cgil, Cisl e Uil («Ci abbiamo messo meno di tre minuti a decidere di scendere in piazza», racconta Maurizio Landini) hanno risposto in tanti e tante. In molti da tutt’Italia si sono presentati direttamente in piazza, ai piedi del grande palco con le insegne confederali, ma almeno altrettanti si sono mossi in corteo da piazza Santa Maria Maggiore. La manifestazione si muove fitta verso San Giovanni per almeno due ore, da qui si vedono sfilare le parti che la compongono. Il sindacato fa ovviamente la parte del leone e la Cgil è naturalmente la sigla più rappresentata. Molti i pensionati, si diceva. Ci sono anche numerosi esponenti dei metalmeccanici, in mezzo ai quali si riconosce lo striscione «Insorgiamo» degli operai della Gkn di Campi Bisenzio, ormai da settimane vertenza-simbolo della resistenza operaia possibile. Quelli della Funzione pubblica per un giorno cambiano la loro ragione sociale: si sono ribattezzati «Funzione partigiana» e indossano una pettorina che esorta all’«antifascismo militante». In mezzo al fiume di bandiere rosso-Cgil gli studenti dell’Udu, i giovani di Rifondazione e quelli di Sinistra italiana, l’Associazione per il rinnovamento della sinistra e alcuni collettivi di studenti delle scuole romane. Ci sono i volontari di Nonna Roma, organizzazione di mutuo soccorso che distribuisce aiuti alimentari in diversi quartieri della capitale. Poi lo striscione di Emergency e le bandiere di Libera, che ha annullato le sue manifestazioni in occasione delle giornate contro la povertà per aderire all’appello dei sindacati. «La violenza dei fascismi, dei razzismi e dei sovranismi – afferma don Luigi Ciotti – nasce dal veleno di una società disgregata e da una democrazia pallida dove troppi diritti sono parole dette o scritte sulla carta ma non si traducono in concreto». Relativamente pochi i migranti, anche se si nota la presenza di lavoratori di origine africana in alcune delegazioni Cisl, quella proveniente da Foggia e quella del comparto dei trasporti e della logistica. Si aggira, festeggiato da tutti col calore e la confidenza di quando si rivede uno di famiglia, Adelmo Cervi, terzogenito di Aldo, uno dei sette fratelli fucilati dai fascisti a Reggio Emilia nel 1943.
QUANDO IL CORTEO si mescola alla gente in piazza Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl, ha appena cominciato a parlare. Bisogna stringersi oppure disporsi verso le mura aureliane, in fondo alla piazza. Qui sono appesi gli striscioni delle diverse sigle con falce e martello. Curiosamente, davanti a questa galassia comunistitaliana che rivendica almeno un pezzo di quella storia, si piazza Massimo D’Alema, che viene strattonato da diverse signore in cerca di un selfie. «Sarebbe stata ragionevole una risposta unanime», dice D’Alema. Tanto più che l’attacco continua in altre forme, visto che dal sindacato denunciano un attacco hacker «al sistema della comunicazione della Cgil, in particolare al sito Collettiva.it». Gli esponenti del centrodestra hanno ritenuto di non dover partecipare alla manifestazione. C’erano invece Enrico Letta, molti del Partito democratico, i ministri Andrea Orlando e Roberto Speranza. C’erano gli esponenti di Articolo 1. C’era il candidato a sindaco di Roma Roberto Gualtieri, che il giorno prima dal palco di piazza del Popolo aveva annunciato la sua presenza «con bandiera tricolore e Costituzione». C’erano, e questa è un debutto di rilevanza politica, gli esponenti del Movimento 5 Stelle in delegazione, con Giuseppe Conte che ha dialogato con Gualtieri. Ma c’erano anche i grillini che un tempo faticavano a rivendicare l’antifascismo come Luigi Di Maio, Paola Taverna, Dino Giarrusso, Carlo Sibilia.
INFINE, C’ERA Elio Vito, deputato berlusconiano che in questa legislatura diverse volte ha preso posizioni in controtendenza rispetto alla sua parte politica. Sua una delle battute più riuscite della giornata: «Non ero l’unico di destra – dice Vito – C’era pure Italia Viva».
No Comments