L’EUROPA SCONFITTA CERCA L’UNITÀ NELLA GUERRA da ATTAC ITALIA
L’Europa sconfitta cerca l’unità nella guerra
Piero Bevilacqua (storico e saggista) 5 Marzo 2024
L’Unione Europea deve fronteggiare, in questo momento, le due più gravi sconfitte storiche subite da quando esiste. Due disfatte in parte intrecciate e che si condizionano a vicenda.
La prima è in conseguenza dello scacco inflitto dalla Russia alla Nato in Ucraina, la seconda si racchiude nel bilancio fallimentare delle politiche economiche ordoliberistiche su cui l’Unione è nata, che continuano a ispirare la condotta degli Stati membri.
Negli ultimi due anni quasi tutti i governi europei si sono messi a servizio degli USA e della Nato per sostenere la cosiddetta resistenza ucraina contro l’invasione russa. Hanno inviato armi e sostegni di vario genere, imposto sanzioni con cui danneggiavano anche le proprie economie, e sottratto risorse economiche alle proprie attività produttive e al welfare.
L’Europa, poi, ha continuato e addirittura rafforzato il proprio impegno a favore delle operazioni della Nato, anche quando la vera ragione di quella guerra è apparsa pienamente manifesta: sconfiggere la Russia, disgregare il corpo composito della Federazione, con i suoi 24 Stati e circa 200 etnie, effettuare un cambio di regime, poter controllare quell’immenso Paese senza dover rischiare un conflitto atomico, per poi aprire la partita definitiva con la Cina.
Ora l’esito di due anni di guerra – da cui la Russia emerge militarmente vittoriosa, rafforzata sotto il profilo economico, rinsaldata sia nel suo gruppo dirigente sia nel collante nazionalistico che rende coesa la popolazione (vistasi minacciare di invasione da tutto l’Occidente) – mette a nudo l’errore strategico compiuto dai Paesi UE al carro della Nato e conferma, in modo drammatico, la pochezza della politica estera dell’Unione Europa.
Sul piano economico il gigante UE, arrivato a 28 Stati prima della Brexit, che aspirava a risultati straordinari di sviluppo, oggi mostra un non diverso bilancio fallimentare. Anche solo utilizzando il parzialissimo indicatore del Prodotto interno lordo (PIL) vediamo che la sua crescita è stata volatile e modesta, non oltre il 3% a partire dal 2000, con fasi di forte ristagno dal 2008 al 2012, e con marcati squilibri al suo interno. Se la Germania con la sua sleale politica commerciale si è notevolmente rafforzata, l’Italia, com’è noto, è stata trascinata in un conclamato declino. Naturalmente l’economia non si esaurisce nel solo andamento numerico di un indicatore astratto, essa è metafisica senza la società. E, dovremmo aggiungere, senza l’ambiente e il calcolo dei danni a esso inflitto. Qui, però, non c’è spazio per affrontare il tema.
La società europea ha assistito, negli ultimi 30 anni, a fenomeni devastanti: il declassamento del ceto medio, base storica della sua stabilità sociale; la crescita lacerante delle disuguaglianze a livello di ceti sociali e di territori; l’esplosione del precariato e la ricomparsa del lavoro povero, come agli inizi della rivoluzione industriale. Nelle campagne è rinato il lavoro schiavile o semi schiavile. Un esercito di dannati, immigrati dai più diversi Paesi, che consente i prezzi relativamente bassi dei generi alimentari e i profitti dei giganti dell’agrobusiness e delle catene di distribuzione. Le temperature in costante ascesa e il caos climatico accrescono poi, di anno in anno, i danni agli habitat del territorio continentale (incendi, alluvioni, eccetera).
Queste due evidenti sconfitte, la seconda manifesta ormai da tempo, hanno un evidente impatto di impopolarità sulle élites dirigenti che hanno governato sin qui il vecchio Continente.
E i partiti da essi rappresentati (la CDU tedesca, il PD, il PPE spagnolo, i vari partiti francesi, dal 2017 con En Marche di Macron, eccetera) hanno visto rafforzata la loro politica moderata anche con il convergere sulle loro posizioni di gran parte dei partiti socialisti e sedicenti di sinistra (su tutti la SPD tedesca).
Grazie alla crescente evanescenza politico-ideologica dei socialisti negli ultimi anni, il Parlamento UE ha trovato delle forme davvero sinistre di unità. Quando ad esempio ha ratificato, con aperta disonestà intellettuale, l’equiparazione del comunismo al nazismo; allorché ha votato l’appoggio militare all’Ucraina e quando si è opposto al cessate il fuoco a Gaza. Una indistinzione di posizioni che fa di queste élites un corpo unico su cui, assai facilmente, si sta sollevando da tempo un vasto fronte oppositivo tanto della società civile che delle forze politiche, che a ragione lo individuano come il responsabile unico dei fallimenti di cui ragioniamo.
Quali sono queste forze, qual è la loro cultura, qual è il loro indirizzo politico, quali le loro prospettive? Non è facile in un breve articolo (ammesso che ne possieda la competenza) dare un’idea, sia pure sommaria. Quel che si può dire con una certa sicurezza è che, in altre condizioni storiche, una élite che ha così clamorosamente fallito su tutti i piani presi in considerazione sarebbe stata tolta rapidamente di scena, forse anche in forme violente.
Quel che sta accadendo mostra i segni di un altro scenario: l’avanzata a tutto campo delle formazioni di destra e di estrema destra. Formazioni con cui, molto probabilmente, i partiti responsabili di 25 anni di politica UE si accorderanno per una strategia dagli esiti ancora incerti. Esiti sicuramente nefasti per le condizioni sociali dell’Europa e per i suoi progetti progressisti: in primis le politiche dell’immigrazione e i programmi ambientalisti del Green New Deal. La drammatica frantumazione dei partiti e partitini della sinistra, ancora impegnati a lacerarsi, incapaci di comprendere che una qualunque forma compromissoria di unità varrebbe mille volte più di qualunque intransigente purezza programmatica, mostra in largo anticipo che la più grave crisi dell’Europa dalla Seconda guerra mondiale non avrà, al momento, uno sbocco progressista e di avanzamento della democrazia.
E’ necessario, perciò, interrogarsi, nella ristretta economia di queste note, su quali possono essere le linee di azione delle forze politiche che vorranno contrastare lo scenario emergente dalle elezioni europee del 6 giugno 2024. Ricordiamo che la sconfitta in Ucraina diventa il pretesto per una politica di riarmo generale del vecchio Continente. Il 10 febbraio 2024 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno approvato il nuovo Patto di stabilità che prevede l’aumento delle spese militari di tutti gli Stati membri, come programma obbligatorio soggetto a sanzioni. La Germania, il Paese origine e agente di due guerre mondiali, progetta un riarmo atomico. La SPD, capeggiata da Olaf Scholz, un nano politico che si è fatto umiliare dagli USA, e ha trascinato la Germania nella più grave crisi economica degli ultimi decenni, fa ritornare il suo partito ai fasti dei crediti di guerra del 1914, varati per finanziare l’esercito destinato al massacro del primo conflitto mondiale.
Credo – anche se i governi sono divisi su questa strategia – che la conversione al bellicismo nasconda intenzioni e finalità non dette. Intanto, è una forma propagandistica di riscatto di fronte all’umiliazione anche tecnologico militare subita in Ucraina. È probabilmente un avvio – camuffato, per non impensierire troppo le amministrazioni USA – di una politica di difesa europea indipendente dalla Nato. L’incombenza della ipotetica rielezione di Donald Trump alla presidenza degli USA, del resto pare renderlo necessario. Tuttavia, come già osserviamo, queste élites – sinora divise, incapaci di una politica estera comune, assolutamente prive di senso morale e mancanti di visione generale – cercheranno la loro unità e il consenso presso l’opinione pubblica continentale trasformando l’immaginario collettivo con una campagna informativa, senza precedenti, di retoriche belliciste. In Italia si sta facendo già nella pubblicità televisiva, nelle scuole, nel confronto politico corrente, eccetera.
Credo che questa nuovo atteggiamento militaresco, nefasto e pericoloso offra, tuttavia, una grandissima occasione di ricomposizione nel Continente del fronte progressista. Una sinistra popolare, liberata dai settarismi novecenteschi, può ovviamente trovare largo consenso di massa denunciando l’assurdo di una crescente spesa per la guerra a fronte del disinvestimento nella sanità, nella scuola, eccetera. Tutto l’arcipelago dei movimenti ambientalisti può essere coinvolto in un ampio fronte pacifista, al fine di denunciare i governi che costruiscono mezzi di annientamento degli uomini e di distruzione della natura, sottraendo risorse agli impegni per fronteggiare gli squilibri ambientali e il riscaldamento climatico.
Infine, ricordiamo un’altra potenzialità politica che la drammatica virata militarista dell’UE offre. È noto che si tenterà di costruire non solo una difesa europea, che sarebbe accettabile, ma anche un esercito europeo. Ebbene, una volta tanto, anche la sinistra potrà mettere in campo, nel discorso pubblico, l’arma potente della paura. Potrà denunciare che alle nuove generazioni, a cui è stata tolta la stabilità del lavoro, a cui viene messa in forse la speranza di poter vivere in un pianeta abitabile, viene ora prospettata la minaccia dell’arruolamento militare, l’avvenire fosco di una nuova guerra in territorio europeo. Noi possiamo dunque urlare alle famiglie del Continente che le attuali élites della UE preparano ai propri figli, dopo tante promesse di magnifiche e progressive sorti, un avvenire di morte in trincea.
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