L’ESSENZA REAZIONARIA DEL SIONISMO da 18BRUMAIO BLOG e OSSERVATORIO INTERNAZIONALE DIRITTI
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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L’ESSENZA REAZIONARIA DEL SIONISMO da 18BRUMAIO BLOG e OSSERVATORIO INTERNAZIONALE DIRITTI

L’essenza reazionaria del sionismo

 

 Olympe de Gouges   25 ottobre 2023

 La rinuncia al terrorismo, questo viene insistentemente chiesto ai palestinesi. Sarebbe lungo e forse inutile, data la situazione e l’introiezione di certe semantiche, discutere su che cosa sia il “terrorismo”. Come scrivevo in un post recente, nella narrazione che si vuole debba sostituire la memoria storica non succede mai niente se non l’interminabile scontro tra buoni e cattivi, tra il Bene e il Male.

L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) accettò di riconoscere Israele e di rinunciare al terrorismo quando firmò, nella persona di Arafat, gli accordi di Oslo nel 1993. Ciò avvenne sui prati della Casa Bianca, presente la controparte israeliana nella persona di Yitzhak Rabin. Ricordo bene quel momento, e anche ciò che pensai allora.

Gli accordi avrebbero dovuto inaugurare uno staterello palestinese con capitale ad Abu Dis, un sobborgo di Gerusalemme Est, la cosiddetta soluzione dei due Stati. L’OLP avrebbe assunto il ruolo di Israele nel controllo delle masse palestinesi in uno stato binario, composto da una specie di “bantustan” non contigui, separati ma contenuti da Israele, sul modello Sudafricano. Ciò precludeva ogni possibilità di una vera autodeterminazione e di democrazia per i palestinesi (*).

Non si tratta di giustificare, bensì di capire ciò che sta accadendo: è nell’immensa sofferenza di chi vive ghettizzato, discriminato e senza via d’uscita, situazione di cui non sembra si voglia prendere atto, che ha portato a ciò che è accaduto il 7-9 ottobre. Che poi vi sia chi, da parte araba, iraniana e altro, sfrutta la situazione palestinese per altri scopi politici e geopolitici, si può discutere, e dunque possiamo evocare e deprecare con raccapriccio quanto ha messo in atto Hamas, ma tutto ciò non può essere avulso dal contesto storico e contingente.

È la rivolta di un popolo oppresso, consapevole che va incontro a un massacro di massa, portato alla disperazione e deciso a fuggire dal campo di concentramento in cui Israele, con l’appoggio di tutte le maggiori potenze, lo ha rinchiuso.

Quanto alla democratica Israele, con la continua repressione dei palestinesi ha dimostrato di essere incapace di sviluppare una società autenticamente democratica. Stato presidio dell’imperialismo statunitense, ripetutamente in conflitto con i suoi vicini mediorientali (salvo stabilire lucrosi accordi economici con alcuni di essi) e in perenne guerra con i palestinesi, persegue una politica espansionistica del “Grande Israele”, appoggiandosi sempre più sui coloni nei territori occupati e sulle sovvenzioni militari statunitensi per compensare l’impatto destabilizzante di livelli di disuguaglianza sociale tra i maggiori del mondo.

La guerra di Israele contro Gaza è la dimostrazione definitiva dell’essenza reazionaria del sionismo. Un’ideologia che proclamava di voler fornire un rifugio sicuro agli ebrei ha invece prodotto decenni di morte, pulizia etnica, apartheid ed espropriazione dei palestinesi, mettendo gli ebrei israeliani, sotto la guida di governi di criminali fascisti (Netanyahu e i suoi tentativi di assumere poteri dittatoriali è l’esempio più recente ed evidente), in conflitto permanente con i loro vicini, e costretti a vivere armati e nella costante paura.

Quando parlo dell’essenza reazionaria del sionismo, intendo questo: lo Stato sionista rispetto alla popolazione palestinese può comportarsi soltanto da Stato sionista, cioè secondo un criterio etnico e religioso, poiché proprio tale criterio discriminatorio permette la distinzione e l’isolamento del non ebreo in generale e del palestinese in particolare.

Nel sionismo, per dottrina, non c’è spazio per l’uguaglianza. E dove non c’è uguaglianza come pretendere altri diritti effettivi? Vorrei ricordare, tra gli altri alle scimmiette televisive, che i diritti umani sono diritti politici.

Il modo di formulare un problema contiene già la sua soluzione: l’unica prospettiva praticabile non è una mitica “soluzione a due Stati”. La distinzione tra ebrei e arabi dovrebbe cessare riconoscendo come loro autentica aspirazione il superamento del proprio pregiudizio etnico (il travestimento etnico) e confinando la propria religione nel diritto privato, in modo che tutti i cittadini possano entrare tra loro in rapporti universalmente umani. Ciò non è possibile se non ponendosi l’obiettivo del superamento dell’ordine economico attuale da cui promana l’asservimento generale: l’interesse privato è l’essenza della distinzione e della separazione, del bellum omnium contra omnes.

(*) Gli ultranazionalisti israeliani e i loro rappresentanti politici nel Likud e in altri partiti religiosi e di estrema destra respinsero anche questa presa in giro di uno Stato palestinese. Due anni dopo, nell’ottobre del 1995, i nazionalisti religiosi di destra, istigati dai leader dell’opposizione guerrafondai Ariel Sharon e Benjamin Netanyahu, denunciarono Rabin come traditore durante una manifestazione rabbiosa a Gerusalemme. Un mese dopo, un fanatico religioso assassinò Rabin.

Israele ha utilizzato gli accordi di Oslo per espandere gli insediamenti in Cisgiordania, prendere il controllo dell’acqua e di altre risorse, costruire strade e installare più di 600 posti di blocco, interrompendo il libero movimento in tutta la regione e distruggendo la sua economia. Gli insediamenti, che ora ospitano almeno 500.000 israeliani, ovvero quasi il 20% della popolazione, controllano una percentuale molto maggiore della terra, comprese quelle più fertili e produttive.

Quello descritto è uno stato di fatto, non invenzione. L’annessione di Gerusalemme Est, ossia di ciò che non era stato ancora occupato della città da parte israeliana, quindi di parte della Cisgiordania, la costruzione di circa 200.000 case di coloni, il tutto in violazione del diritto internazionale. Lo sfratto delle famiglie palestinesi dai quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan per volere di gruppi religiosi e di estrema destra guidati da Ben-Gvir, hanno portato ripetuti scontri tra palestinesi e polizia.

Sulla base di queste premesse, vi fu la seconda Intifada nel settembre 2000, dopo la provocatoria marcia di Ariel Sharon attraverso il complesso della moschea di Al Aqsa sotto scorta militare per affermare il controllo di Israele sul luogo santo dell’Islam. L’Intifada fu allo stesso tempo una rivolta contro la leadership dell’OLP che aveva sancito i disastrosi accordi di Oslo.

Il numero dei palestinesi ora supera ancora il numero degli ebrei all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti di Israele e dei Territori occupati. Da ciò il tentativo di contrastare quella che i sionisti chiamano la “bomba a orologeria demografica”, la richiesta di “trasferimenti di popolazione” e misure volte a effettuare la pulizia etnica.

Sharon ordinò la costruzione della famigerata barriera di separazione che sequestrò un ulteriore 10% della terra palestinese per separare Israele dai palestinesi e tagliarne fuori migliaia dalle loro famiglie e dai posti di lavoro. Nel 2005, Sharon chiuse 14 insediamenti israeliani e ritirò l’esercito dalla Striscia di Gaza, pur mantenendo il controllo degli ingressi via terra, mare e aria. Gaza divenne di fatto in un ghetto impoverito, con la vita devastata dei suoi residenti.

Che cosa dovrebbe fare milioni di persone ristrette in un simile recinto? Come dovrebbe reagire la gioventù palestinese, in una situazione di alta densità urbana, dove viene fornito solo il minimo indispensabile dei servizi essenziali come acqua ed elettricità? Alla rivolta degli oppressi palestinesi, Israele ha risposto distruggendo gran parte delle infrastrutture pubbliche di Gaza, molti edifici residenziali, ospedali, scuole e moschee e attacchi omicidi.

Operazioni definite come “falciare l’erba”. Queste includono l’Operazione Piombo Fuso (2008-2009), l’Operazione Pilastro di Difesa (novembre 2012) e l’Operazione Margine Protettivo (2014), eccetera. Il bilancio complessivo delle vittime palestinesi in più di sette grandi attacchi contro Gaza da parte della più potente forza aerea del Medio Oriente è stato di almeno 4.164 morti, con la perdita di 102 vite israeliane.

La situazione economica di Gaza era disastrosa ben prima dell’attuale attacco. Circa tre quarti delle famiglie di Gaza dipendono da qualche forma di aiuto da parte delle Nazioni Unite e di altre agenzie, aiuti che secondo l’Unione Europea sono ora “sotto revisione”. Sono tali i livelli di povertà e disoccupazione che bande criminali rivali hanno preso il controllo delle città e dei villaggi arabi, provocando più di 180 omicidi dall’inizio dell’anno.

MITI DEL SIONISMO
Ronnie Kasril


Lo Stato di Israele si fonda su un insieme di miti che bisogna esaminare e smontare, non senza coraggio, perché ogni critica espone il suo autore al rischio di essere accusato di antisemitismo. Tentare di analizzare questi miti può al contrario aprire un dibattito che farà bene a tutti, soprattutto a chi ha fede, ai credenti il cui senso morale viene corroso dal modo razzista in cui lo Stato di Israele tratta i Palestinesi. Aprire questo dibattito non può che onorare la memoria di quelli che sono morti nell’Olocausto, piuttosto che sfruttare la loro terribile sofferenza  per giustificare le ingiustizie inflitte ai Palestinesi.
Uno dei miti più intollerabili del sionismo è quello di pretendere che ogni critica rivolta contro Israele equivalga ad una manifestazione di antisemitismo. Questa manipolazione intollerante e bigotta della parola riemerge continuamente e mira ad intimidire sia gli ebrei che i non ebrei.
L’essenza del sionismo riposa sul mito biblico del diritto divino assegnato al popolo giudeo sulla terra di Canaan, sua proprietà eterna. Secondo l’antico testamento si tratterebbe della terra che Dio ha promesso ad Abramo per i suoi discendenti. Il diritto divino del popolo ebreo su questo territorio ha giustificazioni essenzialmente religiose, trova la sua fonte nella Bibbia come libro sacro, il cui contenuto, trasmesso per tradizione orale, costituisce alla fine il lavoro degli scribi umani.
Un regno giudeo è certamente esistito in questa regione nei tempi antichi, come tanti altri regni. Una quantità di popoli ha scelto questa regione per insediarsi: Cananeensi, Samaritani, Filistei, Ebrei ed altri. Le ricerche storiche ed archeologiche hanno confermato l’esistenza in Palestina della civiltà di Canaan più di 3500 anni prima di Cristo. Ma il vero problema sorge quando un gruppo rivendica un diritto su questo territorio tanti secoli dopo, sulla sola base dell’interpretazione dei libri sacri e senza curarsi del fatto che anche altri popoli abbiano potuto viverci per lungo tempo. Come ha detto l’eminente pensatore ebreo Erich Fromm: “Se tutte le nazioni dovessero reclamare i territori sui quali i loro antenati hanno vissuto 2000 anni prima, questo mondo sarebbe una gabbia di matti”.


FERVENTI ARCHEOLOGHI

I sionisti sono diventati ferventi archeologhi e da più di un secolo hanno rivoltato la Palestina per dimostrare l’esistenza del Regno unito di Davide e Salomone dal 1000 al 992 a. C., che costituisce il fondamento della loro rivendicazione. Fino ad oggi le prove raccolte sono insufficienti. Ciò che piuttosto le ricerche storiche hanno dimostrato è che 2000 anni fa, sotto l’occupazione romana, esistevano nella regione tre diverse componenti geografiche e politiche: la Samaria, la Galilea e la Giudea, in guerra le une contro le altre.
Un secondo mito perpetua l’idea che i popoli ebrei vissuti in terra araba abbiano sopportato un clima di odio nei loro confronti. In realtà le comunità giudee hanno prosperato e goduto di lunghi periodi di coesistenza pacifica, soprattutto se si paragona la situazione a quello che succedeva in Europa. Documenti storici d’altronde dimostrano che c’è stata una simbiosi tra gli arabi e gli ebrei che ha dato vita a quella che potrebbe definirsi una tradizione islamico-giudea.
La scoperta al Cairo del tesoro di Geniza – un insieme di documenti ritrovati in una sinagoga dell’XI secolo – ha rivelato che le comunità giudee erano parte integrante della cultura islamica.
I sionisti affermano anche che circa un milione di ebrei sarebbero stati vittima di pulizia etnica nei paesi arabi durante il XX secolo. In realtà nei primi decenni del secolo furono gli agenti sionisti ed i comandi inglesi a cercare di spostare gli ebrei residenti nei paesi arabi verso la Terra Santa, come elemento di una strategia diretta ad accrescere il numero di ebrei presenti in Palestina. Più tardi gli inglesi pianificarono lo scambio tra gli ebrei residenti in Iraq e i Palestinesi espulsi da Israele. Una serie di bombe esplosero nelle zone ebraiche irachene nell’aprile 1950 – 51, quando divenne evidente che gli ebrei non volevano lasciare il paese. Dietro questa campagna di attentati c’erano però il Mossad e le reti sioniste.
L’affermazione sionista secondo cui Israele sarebbe “una terra senza popolo per un popolo senza terra” è un altro mito largamente diffuso. Il dramma palestinese è cominciato proprio quando fu creato lo Stato di Israele. Ben Gurion ha utilizzato molto questo mito, sostenendo che queste terre erano rimaste abbandonate per 2000 anni. Tutto ciò ricorda da vicino la tesi secondo cui l’Africa del Sud era disabitata quando Van Riebeck vi è sbarcato nel 1652!



PULIZIA ETNICA

Gli archivi storici dimostrano che una prospera comunità araba viveva in Palestina prima della creazione dello Stato di Israele. All’epoca della dichiarazione di Lord Balfour, nel 1917, vivevano in Palestina approssimativamente 65.000 ebrei. Balfour ha ammesso che gli arabi occupavano la regione quando ha detto: “Il sionismo è qualche cosa di molto più importante di quanto possano esserlo i desideri dei 700.000 arabi che abitano questo paese”. Il secondo congresso sionista nel 1898 aveva da parte sua riconosciuto che 650.000 arabi vivevano nella regione e lo scrittore ebreo Ahad Ha-Am ha confermato, dopo una visita di tre mesi nel 1891, che “era difficile trovare dei campi che non fossero coltivati da arabi”.
Paragonare l’istallazione dei coloni ebrei ad una guerra nazionale contro il colonialismo è un altro mito sionista. In realtà è successo esattamente il contrario: si è trattato di una colonizzazione ebraica che si è accompagnata ad una pulizia etnica che ha ricevuto l’appoggio delle potenze imperialiste.
Il piano di spartizione dell’ONU del 1947, che fu largamente condizionato dai rapporti di forza del dopoguerra e dall’emozione suscitata dalla tragedia dell’Olocausto, offriva al popolo giudeo il 56% delle terre palestinesi, quando all’epoca non ne possedeva che il 6,5%. Il 43% restante fu assegnato ai Palestinesi, mentre Gerusalemme doveva restare territorio internazionalizzato. Il fatto che i Palestinesi abbiano ulteriormente accettato una riduzione delle loro terre del 22% rispetto alla Palestina storica ha rappresentato una concessione eccezionale da parte dei loro rappresentanti, tra cui Yasser Arafat – anche se è evidente che ciò fu dovuto soprattutto ai rapporti di forza.
La pretesa “offerta generosa” di Ehud Barak a Camp David, nel gennaio 2001, riguardava in verità solo una parte del territorio oggetto del precedente accordo. Inoltre l’offerta si accompagnava a tante di quelle restrizioni sulla sovranità palestinese, che Arafat non poteva accettarla. Quello che Barak aveva proposto assomigliava infatti ad una specie di  Bantoustan nello stile del Boputhatswana sud africano (dell’epoca della colonizzazione razzista dei bianchi, ndt), il cui territorio avrebbe dovuto essere per soprammercato spezzettato, riservando alla sola Israele il controllo assoluto del mare, del cielo e delle frontiere terrestri. E’ significativo notare fino a quale punto la “magnanimità” di Barak sia stata immediatamente mitizzata dalla propaganda sionista.
Il sionismo ha contribuito a consolidare la dominazione coloniale inglese sul mondo arabo all’inizio del XX secolo. Il primo ministro Lloyd Gorge ha chiarito in che modo il sionismo fosse uno strumento di rafforzamento degli interessi inglesi. Gorge aveva capito che l’avvenire dell’impero britannico, in quanto potenza marittima, dipendeva dalla creazione di uno Stato cuscinetto in Palestina. Gli interessi inglesi si concentravano all’epoca nella protezione della viabilità ferroviaria e dell’oleodotto petrolifero da Kirkuk, in Iraq, fino al porto palestinese di Haifa. Nella geopolitica attuale questa analisi è ancora più vera.


DUE PESI E DUE MISURE

Quando gli Stati Uniti hanno compreso che Israele poteva essere utile a proteggere l’approvvigionamento petrolifero dell’occidente, le hanno concesso un aiuto politico e militare più consistente che a qualunque altro paese. E’ questo ruolo di Israele di atout strategico per gli interessi occidentali nella regione che alimenta la collera del mondo mussulmano. Il fatto che Israele sia il solo Stato in Medio Oriente cui gli occidentali abbiano permesso di dotarsi di un arsenale nucleare è percepito come tipico esempio della politica dei “due pesi e due misure” praticato dall’occidente. Tanto peggio per il mito del povero piccolo Israele, novello Davide in lotta contro il Golia arabo.
Un altro mito molto diffuso è quello secondo cui l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) e gli Stati arabi non avrebbero mai accettato il diritto di Israele ad esistere. Ora, il Consiglio nazionale palestinese ha accettato, nel 1988, il principio di coesistenza tra due Stati, fondato sulla risoluzione 181 dell’ONU del 1947 relativa alla divisione della Palestina. E non sono stati gli arabi a muovere attacchi per distruggere Israele, ma è stata piuttosto Israele, dal 1948, a muovere guerre nella regione. Tutto ciò è stato ampiamente provato e documentato da storici israeliani accusati nel loro paese di revisionismo: Ilan Pappe e Benny Moris. Quest’ultimo, che pure continua ad essere un ardente difensore della politica di sicurezza di Iraele, ha smantellato con forza questo mito.
Questi storici hanno anche denunciato la falsità del mito del giovane Stato di Israele costretto a battersi nel 1948 contro orde innumerevoli di eserciti arabi.
All’appello della Lega araba per inviare truppe in Palestina, risposero solo cinque Stati arabi. La loro missione era soltanto di mettere in sicurezza le zone della Palestina cedute agli arabi dal piano di spartizione dell’ONU. Questi eserciti regolari erano inoltre molto male equipaggiati e sprovvisti di un comando unificato in grado di coordinarne l’azione, ed erano meno numerosi dei militari israeliani. Le ricerche di Morris dimostrano anche che le forze israeliane perpetrarono dei massacri per suscitare il panico nella comunità palestinese. Quelli che non fuggirono terrorizzati, furono caricati su dei camion o costretti all’esilio a piedi, sotto scorta armata. Le loro proprietà e le loro case furono subito confiscate.


STATO ESPANSIONISTA

Con l’eccezione della guerra di Yom kippur nel 1973, quando l’Egitto riuscì a recuperare le sue terre occupate nel 1967 da Israele, ogni episodio di conflitto si è sempre concluso con l’annessione di nuovi territori da parte dello Stato ebraico. Malgrado ciò, la Lega araba ha fatto sue la totalità delle proposte formulate dall’Arabia Saudita per giungere alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche e commerciali con lo Stato di Israele. Proposte che, da parte sua, Israele ha sempre ignorato – cosa che può apparire sorprendente da parte di chi insiste che il suo unico desiderio è quello di vedere riconosciuto il suo diritto ad esistere.
Tutto ciò invece dimostra chiaramente che l’obiettivo di Israele in quanto stato sionista è stato, fin dal primo giorno, quello di creare uno stato espansionista, a dispetto della coesistenza pacifica coi palestinesi e gli altri vicini.
Oggi il preteso “muro di difesa” non è che una manovra che mira ad annettere altre parti della Cisgiordania e di Gaza, ridotte oramai a non più del 10% della Palestina delle origini. Una situazione che non può essere considerata come la base accettabile per la creazione di due Stati.
Per comprendere gli obiettivi attuali, bisogna dunque sgombrare il campo dalla mitologia che si fonda sulla propaganda, le distorsioni, la falsificazione. Chi fosse interessato al dibattito dovrà leggere “I miti del sionismo” del docente inglese John Rose (Pluto Press, 2004, GB). Rose è molto colpito dalle lunghe fasi di coesistenza tra arabi ed ebrei e crede che la soluzione per l’avvenire dovrà fondarsi su questa riscoperta esistenziale. Crede che solo uno Stato unico potrà costituire una soluzione durevole e suscettibile di sviluppo.
L’esempio dell’Africa del Sud, fissata nella Carta delle libertà (dove tutte le comunità coabitano) può offrire un esempio per questo dibattito, soprattutto se si pensa all’impasse in cui si trovano oggi, per colpa di Israele, l’opzione dei due Stati e la Road Map che pure hanno ricevuto l’appoggio della comunità internazionale.
Se è necessario riconoscere che la storia del popolo ebraico ha conosciuto periodi di indicibili sofferenze e discriminazioni, è tuttavia suo interesse, ovunque si trovi, comprendere i danni che il sionismo arreca ai valori del giudaismo. Denunciare la mitologia sionista non vuole dire abbandonare o prendersela col popolo ebraico, ma contribuire a risolvere un conflitto nell’interesse di tutti gli israeliani e Palestinesi, siano ebrei o arabi.


RONNIE KASRIL – vice ministro della Difesa nel primo governo post-apartheid, ministro dell’Intelligence (servizi segreti) nel governo attuale ed autore di un’autobiografia “Armed and dangerous; my undercover struggle against apartheid”, pubblicata nel 1993 da Heinemann, Londra.
Figura carismatica della lotta contro l’apartheid, Ronnie Kasril fa parte della comunità ebraica dell’Africa del Sud, da cui sono usciti numerosi altri militanti che hanno combattuto il regime razzista. Nel 2005, dopo un viaggio in Palestina, Kasril aveva paragonato la situazione nei territori occupati a quella dell’Africa del Sud durante l’apartheid. E chiesto che la comunità internazionale decretasse sanzioni contro Israele.

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