LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI AFFETTIVI da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI AFFETTIVI da IL MANIFESTO e IL FATTO

La cassetta degli attrezzi affettivi

HABEMUS CORPUS. L’educazione affettiva si impara da piccoli, da molto piccoli. Si impara ad accarezzare se ti accarezzano, a guardare se ti guardano, a parlare se ti parlano, a sorridere se ti sorridono, ad ascoltare se ti ascoltano.

Mariangela Mianiti  22/11/2023

L’educazione affettiva si impara da piccoli, da molto piccoli. Si impara ad accarezzare se ti accarezzano, a guardare se ti guardano, a parlare se ti parlano, a sorridere se ti sorridono, ad ascoltare se ti ascoltano. E’ come acquisire per imitazione ed esperienza una scatola degli attrezzi affettivi. Crescendo, quegli attrezzi saranno usati per dare una forma alle relazioni con amici, parenti, compagni di scuola, adulti, genitori. Crescendo ancora si imparerà che esistono altri attrezzi per vivere il rapporto con il proprio corpo e il corpo degli altri, il sesso, l’amore.

IN CERTI CASI, se la scatola degli attrezzi è sguarnita, alcuni imparano a completarla strada facendo perché si accorgono che manca qualcosa, scatta un bisogno, ma è una ricerca lunga, non sempre facile e nemmeno scontata. In tutto ciò fa una differenza abissale il contesto in cui si vive perché la vita di tutti noi è fatta di incontri, e tutti noi assorbiamo l’aria che respiriamo. Se respiriamo veleno, rancori, silenzi, violenza, una certa mentalità piuttosto che un’altra, sarà molto più facile restare intossicati.
Quando si parla di cultura patriarcale parliamo dell’humus sociale e familiare in cui bambini crescono. Non è necessario che assistano a fatti violenti eclatanti per assorbire una certa mentalità, bastano piccole frasi, commenti, un atteggiamento abituale per avvelenare l’aria dove si cresce. Bastano commenti negativi o sminuenti detti da un padre verso una madre, una frase giudicante su come vanno vestite le donne che se la cercano, basta sentire gli amici che dividono le ragazze fra sante e puttane, perché ancora succede questa cosa tremenda, nel 2023, e l’aria che respiri si intorbidisce e tu, adolescente, che magari hai una scatola degli attrezzi un po’ traballante, per farti accettare dal gruppo decidi che al gruppo devi assomigliare. Nei casi migliori fai qualche stupidaggine, nei casi peggiori diventi assalitore fra gli assalitori.

DENTRO a questo gigantesco marasma che è il mestiere di crescere, a un certo punto entrano il sesso, le tempeste ormonali, gli innamoramenti, il corpo che cambia, la percezione che hai di te, il giudizio degli altri, i primi approcci, non sai come si fa, nessuno te lo ha spiegato, tu non hai il coraggio di chiedere, non sai a chi chiedere. In sostanza, sei solo e non a caso ho scelto il sostantivo maschile perché sono proprio i maschi i meno abituati a parlare, a chiedere aiuto. Basterebbe un dato a spiegare quanto lavoro debbano ancora fare i maschi per costruire confidenza con il proprio corpo, che non vuol dire fare sport o andare in palestra, ma proprio sapere come si è fatti e si funziona anche lì, dalle parti del sesso.
Anni fa, scrivendo «La vita Viagra», un’inchiesta su come era cambiata, se era cambiata, la sessualità maschile con l’arrivo del Viagra, parlai con molti urologi. Tutti mi dissero che gli uomini andavano da loro solo quando e se avevano problemi «Da quelle parti». Alcuni erano così poco avvezzi a quel tipo di visita che si sdraiavano sul lettino e tenevano su le mutande, come se l’urologo fosse un Superman con la Supervista.
Noi, le donne, abbiamo le madri che ci accompagnano del ginecologo alla prima mestruazione. Il numero della ginecologa è nella nostra agenda, spesso diventiamo loro amiche. Sessant’anni fa non era così. Abbiamo imparato. Perché non imparano anche i maschi? Quando diventerà normale che un padre accompagni il figlio quattordicenne dall’urologo? Forse aspettiamo che sia la famosa ora di educazione sessuale a scuola a spiegarci che così si dovrebbe fare. Auguri.

Piazze e aule: un’onda di rumore per Giulia

IN TUTTA ITALIA – Dal Veneto a Torino e Roma: migliaia di studenti manifestano spontaneamente. Il coro: “Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”

LEONARDO BISON E TOMMASO RODANO  22 NOVEMBRE 2023

Dopo la morte di Giulia Cecchettin, le proteste studentesche e non sono esplose come esondazioni di rabbia in tutta Italia, a partire da quel Veneto teatro dell’omicidio, che da sabato si è trovato in piazza a difesa della vittima e della sorella Elena, attaccata da giornali e politici per le sue prese di posizione. A Padova, vero cuore di questa storia (l’omicidio è avvenuto in provincia di Venezia, ma i due si erano conosciuti lì e frequentavano l’Università patavina), la rabbia pulsa in particolare nei corridoi universitari, con gli studenti e le studentesse che pretendono di più dalle istituzioni. È stata uccisa una di loro, e lo sanno.

Lunedì pomeriggio il minuto di silenzio previsto dall’Ateneo si è trasformato in un fragoroso e arrabbiato minuto, e più, di rumore e rivendicazioni. Le assemblee nelle scuole si moltiplicano. La manifestazione che partiva in serata, organizzata da due collettivi queer universitari, originariamente per il giorno in ricordo delle vittime di violenza transgender (è il 20 novembre) era colma di persone più di ogni aspettativa: dopo l’omicidio, e la partecipazione di Elena Cecchettin, è diventata un enorme fiume di rabbia. Quindicimila partecipanti, secondo gli organizzatori, almeno 5mila per la questura. Piazza piena anche a Pordenone, lunedì sera, in un presidio organizzato da Voce Donna. Ieri a Mestre un altro corteo, più di 3mila persone, stavolta chiamato da un collettivo universitario, il laboratorio climatico Pandora, e dal Coordinamento Studenti Medi. Piazze organizzate da gruppi diversi tra loro, più studentesca quella padovana, più civiche le altre, e colme di persone che spesso non conoscono neppure gli organizzatori, ma che scelgono di esserci in questo momento in cui la rabbia e la testimonianza appaiono più forti d’ogni altra cosa. Persone di tutte le età, ma i più adulti sembrano capire che sono i giovani a guidare questo movimento spontaneo. Non chiedono protezione, ma azioni. “Voi giornalisti non avete capito un cazzo” urlava a Padova una studentessa in un intervento applauditissimo. “Io quando esco di casa mi sento una preda: solo perché sono nata donna” urla un’altra. “Siamo il grido, altissimo e feroce, di tutte quelle donne che più non hanno voce” è il coro che batte da Mestre a Roma, verso un 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere, che rischia di creare più di un problema a questo governo. La manifestazione sarà nazionale a Roma, ma altri cortei sono in preparazione in diverse città. “Un assassino non è malato, è il figlio sano del patriarcato” intonano da giorni a migliaia.

Già ieri sit-in e proteste sono state organizzati da Firenze a Cagliari. Anche a Torino 500 persone hanno partecipato al corteo di “Non una di meno” partito dal campus universitario Einaudi dietro questo striscione: “Difenditi, infuria, manifesta: ci vogliamo vive”. Sabato Roma sarà il punto di approdo di un movimento che sta crescendo in tutto il Paese, con numeri probabilmente maggiori rispetto a quelli che la politica si aspettava. Anche negli istituti della Capitale i minuti di silenzio promossi dal ministero dell’Istruzione sono stati trasformati in una manifestazione protesta. Da lunedì è occupato anche il liceo Machiavelli: dalla succursale di via dei Sabelli sventola un lungo striscione che dà appuntamento alla manifestazione di sabato. “Avevamo in mente di occupare la scuola in vista del 25 novembre anche prima dell’omicidio di Giulia – spiega Nina, rappresentante d’istituto, davanti al portone chiuso della scuola – ma quello che è successo ci ha scossi e motivati ancora di più”. A cosa serve occupare un liceo? “Abbiamo bisogno di spazi di confronto che all’interno della scuola sono difficili da trovare. Gli insegnanti faticano a parlarne: alcuni hanno paura che siano temi troppo delicati, altri sono inadeguati a farlo. Negli ultimi due anni in altre scuole di Roma, come Plinio, Cavour e Righi, ci sono stati episodi gravi di maschilismo dei docenti nei confronti delle ragazze; nemmeno le scuole sono un posto al 100% sicuro”. Con lei c’è Davide, un altro studente del Machiavelli: “Ci stiamo accorgendo che il maschilismo è ovunque, anche in cose piccole e apparentemente stupide. Io ne ho avuto esperienza in modo eclatante questa estate, mentre lavoravo da bagnino: avevo una collega con cui molti si permettevano comportamenti irrispettosi che con me non si sognavano. Forse non saranno le occupazioni a cambiare la società italiana, ma la cultura si migliora un pezzetto alla volta, con il tempo, la pazienza e l’educazione”.

Tra i movimenti che promuovono le proteste nelle scuole romane c’è l’Unione degli Studenti. Bianca Chiesa è la coordinatrice nazionale. “Noi subiamo forme di violenza patriarcale in ogni aspetto delle nostre vite quotidiane – dice –: le discriminazioni a scuola sull’abbigliamento, il fatto di essere svalutate dai professori e ascoltate meno dei compagni maschi, la paura di uscire in strada quando cala il sole, il fatto di non poterci permettere di vestire come vogliamo. Questa cultura va combattuta a partire dalle scuole e dai luoghi della formazione”. Bianca e le compagne di Uds, Martina Lembo Fazio e Alice Beccari, hanno organizzato la protesta nelle scuole romane durante i minuti di silenzio. “La partecipazione – sostiene Alice – è stata straordinaria da parte di tutta la popolazione studentesca, senza alcuna differenza di genere. È il risultato di un lungo percorso che è stato promosso in ogni assemblea scolastica e che due anni fa è culminato negli Stati generali della scuola pubblica. Ora vogliamo essere ascoltati”.

Chi protesta in questi giorni è consapevole dei tradimenti politici: molti ragazzi puntano il dito contro Lega e Fratelli d’Italia, che si sono astenute nel voto al Parlamento europeo sulla Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere. E il progetto per “educare alle relazione” che oggi sarà presentato dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, è visto come fumo negli occhi. “A settembre il ministro ci aveva mandato le linee guida – spiega Bianca – e noi avevamo risposto con le nostre osservazioni in un documento che gli abbiamo inviato e che lui ha ignorato. Il piano di Valditara non parla di educazione sessuale. È vago, non si occupa dei problemi che la nostra generazione vive, si rifà a un modello di scuola gerarchico, repressivo, gentiliano”. Conclude Martina: “Il cambiamento deve partire dai luoghi del sapere. È qui che si possono liberare i corpi e le menti, per costruire l’alternativa di una società che non si basi sulla cultura della violenza e dello stupro”.

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