“J’ACCUSE”. UN SOFFIO DI RAGIONE INVECE DELLE ARMI da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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“J’ACCUSE”. UN SOFFIO DI RAGIONE INVECE DELLE ARMI da IL MANIFESTO

Un soffio di ragione invece delle armi. Una anticipazione

TRA LE ROVINE DI GAZA. È questa settimana il libreria “J’Accuse”, un libro di Francesca Albanese – relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati – in conversazione con Christian Elia

Roberta De Monticelli  01/12/2023

Gaza non c’è più – è solo un ammasso di dolore e rovina. Un’apocalisse è in corso, in tutti i sensi della parola. Una rivelazione, soprattutto. Non solo degli estremi di cui siamo capaci quando i vincoli del diritto e della civiltà sono violati. Ma anche dell’altra faccia della splendida luna di Israele, la faccia che era nell’ombra: la Palestina.

Ora l’altra faccia della luna, tremenda, è nella luce della nostra coscienza, a dispetto del taglio totale di elettricità e connessioni imposto – come se solo la tenebra potesse essere testimone di un sacrificio umano così senza limiti e senza senso. E invece mai così visibile, mai così scoperchiata in tutta la sua tragedia, è oggi la storia intera della nascita e della crescita di Israele nella terra che fu la Palestina storica, delle vie che la costruzione di quello stato ha imboccato e sempre più sistematicamente perseguito, del dolore che queste scelte, non inevitabili, hanno causato: dal lato oscuro della luna soprattutto, ma anche dal lato lucente, in uno stillicidio di veleno e morte. Un dolore che oggi giunge al suo insopportabile zenit.

Dice un grande scrittore che un libro deve essere «un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi» (Franz Kafka). Questo J’accuse dovrebbe essere un’ascia del genere per ciascuno di noi. Che sia almeno uno scalpello sottile, un cesello addirittura, che con la lama del diritto incida nella profondità della memoria, perché possiamo imparare che terribile cosa sia stata la nostra indifferenza fino ad oggi, e come ogni giorno del nostro ignorare la faccia oscura della luna, ogni ora del nostro silenzio, abbia portato un po’ di energia alla bomba atomica del male che ora sta distruggendo la nostra umanità, insieme ai corpi degli innocenti.

Lo scritto che avete in mano discende direttamente dall’ufficio di un «funzionario dell’umanità»: perché tale, nella sua indipendenza che lo solleva al di sopra dei funzionari stipendiati, è una relatrice speciale delle Nazioni Unite, e ben si adatta al suo ruolo questo appellativo che Edmund Husserl riservava agli eredi di Socrate.

Questo J’Accuse è scritto in nome degli ideali e delle corrispondenti norme e istituzioni che la comunità internazionale si era data per prevenire e spegnere le guerre; perché dov’era la selva geopolitica delle potenze sedesse il governo della legge, il diritto internazionale e i suoi organi di garanzia; perché dov’erano le radici di sangue e di terra delle nazioni scendesse il balsamo della ragione, e tutti noi ricordassimo le radici di carta e pensiero piantate in noi per sostenere la nostra umanità al di sopra degli strati di risentimento, dolore, impunità e violenza che ci salgono ormai alla gola.

Forse è ancora possibile. Che il dono dei vincoli di ragione, accolto dalla parte migliore della tradizione umanistica e della filosofia e infine dalla comunità internazionale, prevalga: e sventi questa ulteriore catastrofe del mondo globale di cui l’Europa annunciò, con le sue guerre novecentesche, l’avvento. Perché ciò che separa, nel mondo intero, il sottilissimo strato di civiltà per cui soltanto possiamo dirci umani dal sottostante oceano di stupidità e ferocia che ci minaccia, è solo l’impegno a brandirle, le carte di cui queste radici sono fatte, invece di brandire le armi.

Che vuol dire: rianimarle del nostro soffio, queste carte e questa lettera che solo lo spirito fa viva. Rianimarle del soffio per cui soltanto l’ideale eccede sul reale, e il valore sul fatto – e soprattutto la ricerca, il dubbio, la veglia critica e la trasparenza logica eccedono sul dogma, l’urlo tribale, la furia ideologica. Eccedono, vuol dire: non si lasciano ridurre a. Eccedono, solo per un soffio. Senza questo soffio, la nostra umanità è perduta. Mi pare che a questo bivio siamo, oggi.

* È questa settimana il libreria “J’Accuse”, un libro di Francesca Albanese – relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati – in conversazione con Christian Elia (Fuori Scena, RCS) che offre in sette brevi capitoli un glossario per capire che cosa è successo in Palestina e in Israele. Pubblichiamo un estratto della postfazione.

Francesca Albanese: «La politica è inerte di fronte a un’istanza di pulizia etnica»

ISRAELE/PALESTINA. Intervista alla relatrice speciale dell’Onu per la situazione nei Territori occupati palestinesi: «Registriamo un intento eliminatorio molto forte: al cuore sta il legame tra l’intenzione dichiarata dal governo israeliano e la capacità di portare a termine quell’intenzione. Le Nazioni unite vivono il momento peggiore della loro storia: non riescono ad assumere decisioni»

Chiara Cruciati  01/12/2023

Francesca Albanese, relatrice speciale Onu sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati, nell’ultimo comunicato dei relatori speciali, gli esperti indipendenti e i gruppi di lavoro Onu si parla di crescente incitamento al genocidio nella Striscia di Gaza. Quali elementi dimostrano intenzioni genocidarie da parte di Israele?

In comunicati precedenti abbiamo parlato di grave rischio di genocidio, nell’ultimo di un genocidio in divenire. Ai sensi della Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, deve essere presente «l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso», attraverso atti come uccisione e lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo e il sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale. L’intento di distruggere un gruppo in tutto o in parte si evince dai comunicati e dalle politiche e dalla connessione tra ciò che dicono i leader e ciò che fanno gli esecutori materiali, ovvero i soldati. Elementi sono le dichiarazioni dei militari sul campo che dicono di avere l’ordine di distruggere, scacciare e colonizzare, dei rappresentanti del governo che dicono che i palestinesi sono tutti terroristi o tutti animali e quindi devono pagare, ma soprattutto l’intenzione dichiarata dello sfollamento da nord a sud e poi da est a ovest. C’è un intento eliminatorio molto forte. Al cuore sta il legame tra l’intenzione dichiarata e la capacità di portare a termine quell’intenzione.

Le violazioni del diritto internazionale in corso a Gaza sono state denunciate a più riprese dalle Nazioni unite e dalle loro agenzie. Per questo l’Onu sta subendo una delegittimazione molto pericolosa. Quali saranno gli effetti di questa campagna di indebolimento del diritto internazionale e delle sue istituzioni?

Credo che le Nazioni unite stiano vivendo il momento peggiore della loro storia, una crisi apocalittica dal punto di vista politico perché l’organizzazione non riesce ad assumere decisioni politiche. Dopo 40 giorni di bombardamenti a tappeto su Gaza ancora non si riesce a chiedere all’unisono un cessate il fuoco. Si parla di pause umanitarie per far respirare un po’ le persone e far arrivare lì un minimo di aiuti. Che comunque non arriveranno. L’inviato speciale umanitario degli Stati uniti dirige i lavori in barba alle Nazioni unite. A oggi sono entrati 700 convogli che servono a malapena a soddisfare i bisogni del 4-5% della popolazione, a fronte della devastazione di ospedali e scuole. Quei luoghi sono diventati centri di detenzione, è l’inferno e non si riesce a riprendere il controllo della situazione perché Israele fa ciò che vuole.

Da 75 anni Israele non rispetta le risoluzioni Onu. Si sente autorizzato a farlo perché non è mai stato sanzionato?

C’è sempre stata impunità ma questa volta è più grave: è evidente che Israele sta agendo per scacciare i palestinesi da nord a sud e sta parlando da tempo di soluzione egiziana, espellerli in Sinai. Uno sfollamento che vediamo anche in Cisgiordania, dove i coloni e armati e i soldati stanno svuotando interi villaggi, uccidono e torturano impunemente.

Da più parti, soprattutto dai paesi del sud globale, giunge la richiesta di una riforma delle Nazioni unite e del Consiglio di Sicurezza, il cui potere antistorico è simbolo di una «colonizzazione» del diritto internazionale. Cosa ne pensa?

Penso siano richieste legittime, ma non credo sarà facile realizzarle: da tantissimi anni si discute di riformare il Consiglio di Sicurezza, ma dovrebbero essere gli stessi Stati membri che godono del privilegio del veto a rinunciarvi. E non ne sembrano intenzionati. Forse il sistema crollerà prima che lo si riformi.

Al cuore della più ampia questione palestinese c’è il ritorno dei profughi archiviato da sette decenni. Anzi, assistiamo a nuove ondate di sfollamento: rappresentanti del governo israeliano parlano apertamente di Nakba 2023.

Fa sorridere in modo amaro: per 75 anni Israele ha negato la Nakba, ora i suoi politici la invocano a gran voce. Ma ancora più sconvolgente è che il mondo non se ne curi. Se ne cura la società civile che scende in massa per piazza, ma la classe politica rimane inerte di fronte alla più grande istanza di pulizia etnica da parte di Israele nei confronti del popolo palestinese, un’istanza che passa in tv attraverso le parole dei suoi ideatori militari e politici. Il diritto internazionale prevede l’obbligo di prevenire i crimini e non solo di creare tribunali speciali per punirli una volta realizzati.

Il procuratore della Corte penale internazionale prosegue nella raccolta di materiali sui crimini commessi. Si può giungere a un’incriminazione?

Ci si può giungere visto il materiale raccolto, ma non so se ci sia la volontà politica. A questo punto non c’è altra via se non la Corte penale internazionale perché quello che Israele sta facendo è di una violenza efferata senza precedenti.

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