IL LAVORO SVILITO, ORIGINE DELLA MODERNA BARBARIE da IL FATTO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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IL LAVORO SVILITO, ORIGINE DELLA MODERNA BARBARIE da IL FATTO e IL MANIFESTO

Il lavoro svilito, origine della moderna barbarie

Piero Bevilacqua  21 Gennaio 2025

Lo scenario di barbarie che le guerre in corso ci squadernano ormai da tempo, induce al pensiero sommario di assegnare la responsabilità di tutto alla belva sanguinaria che è in ognuno di noi. Continuiamo a risolvere le divergenze fra individui e popoli facendoci guerra come ai primordi della storia umana. Eppure, come non chiederci: sarebbe stato possibile lo spettacolo di oggi 50 anni fa? Il silenzio con cui le popolazioni europee assistono da oltre un anno attraverso le loro domestiche Tv, al massacro quotidiano del popolo palestinese?

In realtà lo stato di regressione civile delle società umane è largamente visibile da tempo, precede le guerre in corso e le prescinde. Esso non costituisce solo un dato antropologico per così dire primigenio, ma è anche un portato poco osservato della modernità. In fondo è la vita umana che ha perso valore agli occhi stessi degli uomini. Negli ultimi decenni il nichilismo è diventato popolare. La “morte di Dio”, con tutto il seguito di perdita di fondamenti e di sacralità della vita, è sceso dai cieli della filosofia e cammina per le le strade del mondo. Ma negli ultimi decenni è avanzato un altro sotterraneo processo di svalutazione della vita che proviene dai sommovimenti sociali. È la gigantesca perdita di valore che ha subito il lavoro. Non dimentichiamo che l’età contemporanea, l’epoca che inaugura la società capitalistico-industriale, scopre per la prima volta il lavoro quale fonte originaria della ricchezza.

Adam Smith, fondatore del pensiero economico moderno, l’aveva riconosciuto nella sua Inquiry sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni. Marx, com’è noto, fa del lavoro sfruttato e alienato, la classe operaia, l’avanguardia di umanità messianica destinata a cambiare il mondo e a farlo approdare a un nuovo assetto di civiltà. Tutto il pensiero socialista in età contemporanea assegna alla classe lavoratrice il compito di rivoluzionare la società.

Dagli anni 80 del Novecento lo sviluppo del capitalismo deregolato, insieme a vari processi della storia mondiale, ha mandato in frantumi la vecchia configurazione classista del lavoro operaio, sterilizzato tutti gli elementi culturali, simbolici, spirituali che l’avevano accompagnato. Ma, come oggi appare chiaro, è la stessa trasformazione interna del capitalismo che riduce il ruolo dell’operaio nella creazione della ricchezza, grazie all’enorme crescita della stessa produttività del lavoro. Come previsto da Marx, nel suo incessante processo di innovazione, il capitale è destinato a produrre merci con sempre meno operai. Ricordava André Gorz nel 2005: “Con l’informatizzazione e l’automazione, il lavoro ha smesso di essere la principale forza produttiva e i salari hanno smesso di essere il costo principale della produzione”. Ma questo grande balzo del progresso tecnico pone una questione inaggirabile: “Quando la società produce sempre più ricchezza con sempre meno lavoro, come può far dipendere il reddito di ognuno dalla quantità di lavoro che fornisce?”. A questo punto dello sviluppo capitalistico le società umane avrebbero dovuto imboccare un assetto inedito di organizzazione della vita collettiva: il dimezzamento dell’orario di lavoro, l’approdo a una regolata distribuzione dell’occupazione, pena la creazione di un esercito di disoccupati e di lavoratori precari. Un inedito scenario di benessere collettivo o la creazione di un popolo di paria.

Sappiamo quale strada è stata imboccata. Il processo di accumulazione della ricchezza sempre più affidato alla massimizzazione finanziaria, all’economia cartacea, sempre meno alla produzione di beni e alla loro distribuzione. L’origine della ricchezza è riconosciuta sempre più nelle macchine. Così l’organizzazione collettiva del tempo di lavoro è rimasta quella della società industriale; e il lavoro (dietro cui c’è la persona umana) ha perso gran parte della sua utilità economica, diventando un mezzo qualsiasi nell’obsolescenza programmata di tutte le merci. Di conseguenza le disuguaglianze lacerano il corpo sociale, la galassia dei lavoratori si riduce a massa dannata, strumento flessibile della macchina produttiva. E dentro la sempre più torva china utilitaristica del nostro tempo, la svilita funzione del lavoro trascina nella svalutazione l’umanità del lavoratore e quella di tutti.

Da tale angolazione storica appare in piena luce il contenuto nichilistico e disumanizzante delle politiche di flessibilità del lavoro condotte dai partiti politici negli ultimi tre decenni. Essi hanno operato, e operano per la svalutazione della vita, contribuiscono alla barbarie civile. Hanno creato l’humus ideale per cui si può rimanere indifferenti di fronte alla perdita seriale di migliaia di vite, donne e bambini, come di oggetti di deprivata utilità sociale.

L’ora più buia per l’uguaglianza: 71 miliardari e 5,7 milioni indigenti

Il caso Rapporto Oxfam “Diseguitalia”: i risultati delle politiche sociali e del lavoro del governo Meloni: in due anni una società polarizzata dove il lavoro è più povero

Mario Pierro  21/01/2021

Hanno guadagnato 166 milioni di euro al giorno nel 2024. Complessivamente la loro ricchezza è aumentata di 61,1 miliardi di euro in un anno. Il valore complessivo è di 272,5 miliardi di euro. Questo è accaduto a 71 miliardari in Italia. Negli stessi mesi, 2,2 milioni di famiglie, composte da 5,7 milioni di persone, sono rimaste in povertà assoluta.
Questa è la fotografia della polarizzazione sociale presentata ieri dalla sezione italiana del rapporto Oxfam intitolato «Diseguitalia» in occasione dell’avvio del Forum mondiale di Davos. Complessivamente il 5% più ricco delle famiglie è titolare del 47,7% della ricchezza nazionale.

Il divario è aumentato in maniera considerevole in quattordici anni. Tra dicembre 2010 e giugno 2024 la quota delle famiglie più ricche è aumentata di oltre sette punti percentuali, passando dal 52,5% al 59,7%. Nello stesso periodo la quota detenuta dal 50% delle famiglie più povere si è contratta di quasi un punto percentuale passando dall’8,3 al 7,4%.

L’andamento positivo del mercato del lavoro, propagandato dal governo Meloni, non ha comportato una riduzione della povertà assoluta che è stata alimentata dall’inflazione ancora elevata e si è fatta sentire di più sulle famiglie meno abbienti. La ripresa dell’occupazione post-pandemia, con un tasso di occupazione al 62,4%, è stata trainata dall’occupazione over 50. La disoccupazione ai minimi storici al 5,7% è stata ottenuta anche grazie all’aumento degli inattivi, cioè di coloro che non cercano più il lavoro.

Si conferma la moderazione salariale di lungo corso. In Italia il salario medio annuale reale è rimasto pressoché invariato negli ultimi trent’anni. Oxfam chiede «un cambio di rotta» a partire da politiche di contrasto alla povertà a vocazione universale e il salario minimo orario.

Maslennikov (Oxfam): «Un’aristocrazia globale guadagna 2 mila miliardi in più in un anno»

Intervista Mikhail Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia, autore del rapporto “Disuguitalia” pubblicato in coincidenza con l’avvio del forum di Davos: “Le destre al potere usano le «politiche dell’identità» per nascondere la mancata tutela dei vulnerabili e avvantaggiano chi è già in posizione di privilegi”

Roberto Ciccarelli  21/01/2025

Mikhail Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia, la ricchezza dei miliardari è aumentata di duemila miliardi di dollari nel 2024. Perché nel rapporto che avete pubblicato ieri parlate di «ricchezza immeritata»?
Ai super-ricchi piace dire che per accumulare enormi patrimoni ci vogliono abilità, determinazione e duro lavoro. Ma siamo così sicuri che la ricchezza estrema sia davvero ascrivibile a meriti individuali? Oltre un terzo delle fortune dei miliardari deriva da eredità e il trasferimento generazionale di ricchezza è destinato ad accentuarsi nei prossimi 2-3 decenni. Difficile dare torto a chi parla dell’avvento di una vera e propria «aristocrazia globale». La ricchezza estrema è, in parte, riconducibile a sistemi di relazioni clientelari con la politica e la pubblica amministrazione e, soprattutto, è intrecciata con l’immenso potere di mercato esercitato dai colossi che i miliardari controllano o dirigono. Un potere monopolistico che garantisce rendite ingiustificabili.

 Si può capire che i miliardari cerchino di allearsi con Trump che ieri si è reinsediato alla Casa Bianca. Ma perché Trump è votato anche dai poveri che saranno massacrati dalle sue politiche?
È l’effetto della precarizzazione economica e della marginalizzazione culturale di ampie fasce della popolazione. Stanno favorendo l’adesione a proposte politiche identitarie di destra che si vanno radicando dagli Stati Uniti fino all’Europa.

Su cosa si basano quelle che lei definisce come «politiche dell’identità»?
Sulla creazione di artificiose contrapposizioni tra gli emarginati, insistono sul concetto di popolo e nazione, cercano nemici interni ed esterni e fanno leva del razzismo. Queste politiche compensano il mancato raggiungimento di risultati economico-sociali a beneficio dei più vulnerabili con il soddisfacimento di obiettivi di identità. Allo stesso tempo però applicano politiche economiche e fiscali che avvantaggiano chi è già in posizione di privilegio. Sono un pessimo viatico per un’economia più inclusiva e una società più equa.

In questa situazione che futuro ha la vostra battaglia sulla tassazione dei ricchi?
A livello internazionale ci sono barlumi di speranza: il dossier #TaxTheRich è entrato a far parte dell’agenda del G20 e figura tra i possibili protocolli della Convenzione Quadro sulla Cooperazione Fiscale Internazionale delle Nazioni Unite che sarà negoziata a partire da quest’anno. In Italia è fuori discussione un aumento del prelievo sulle grandi eredità e l’ l’imposta sui grandi patrimoni resta un tabù, nonostante goda del supporto di una maggioranza relativa persino nell’elettorato di centrodestra.

Dal taglio del cuneo fiscale alla flat tax. Nel rapporto criticate le politiche fiscali del governo Meloni. Perché?
Mostrano disattenzione all’equità distributiva e tradiscono la democrazia fiscale. Il governo italiano si disinteressa del fatto che i ricchissimi versano, in proporzione al proprio reddito, minori imposte e contributi di un’infermiera o un’insegnante. In più si tende a esasperare la frantumazione del sistema fiscale in molteplici regimi preferenziali e si fanno patti iniqui con i contribuenti ritenuti meno fedeli al fisco. Restiamo un paese in cui sempre gli stessi pagano le imposte per sostenere la sanità e l’istruzione, oggi sotto-finanziati e a rischio di tagli.

Molta enfasi è stata spesa in questi mesi sull’aumento dell’occupazione in Italia. Voi invece siete scettici. Per quale motivo?
Perché non si affrontano di petto le debolezze strutturali del mercato del lavoro come la sotto-occupazione e la bassa qualità lavorativa di giovani e donne, i divari retributivi e le sacche di lavoro povero. Non c’è una chiara politica industriale orientata alla creazione di buona occupazione. Non si rafforza a contrattazione collettiva e il salario minimo legale è stato affossato. Sono stati però liberalizzati i contratti a termine e sono state ridotte le tutele del lavoro negli appalti con il rischio di aumentare saltuarietà e precarietà lavorativa.

Con Meloni la povertà è aumentata ed è tornata al record storico. Come mai?
Con la «riforma» del reddito di cittadinanza il governo ha abolito di fatto – un unicum in Europa – il diritto di ogni cittadino in difficoltà di accedere in modo continuativo a un sussidio pubblico che gli permetta di condurre un’esistenza dignitosa. Il nuovo «Assegno di Inclusione» ha comportato una contrazione del 37,6% del numero delle famiglie beneficiarie, una riduzione dell’importo medio mensile erogato a nuclei numerosi e uno scostamento maggiore, eccezion fatta per le famiglie con i minori, tra i nuclei che beneficiano del sussidio e quelli in povertà assoluta.

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