IL FARDELLO DELL'”HOMO EUROCENTRICUS” da IL FATTO e IL MANIFESTO
Pace possibile se si ritira la strategia dei neocon
Elena Basile 21/03/2025
Le reali possibilità di una pace in Ucraina esistono. Non sarà una pace giusta per l’Ucraina perché raramente la storia ha conosciuto paci giuste. La pace è tuttavia sempre necessaria. Non è retorica immedesimarsi nei ragazzi al fronte e nei loro genitori che ogni giorno sperano in un cessate il fuoco. Le ultime morti prima della pace sono sempre le più atroci.
La neutralità dell’Ucraina è stata la ragione principale di questa guerra. Lo aveva capito George Kennan nel 1997 quando vinsero i falchi al Dipartimento di Stato, cancellando le speranze dell’Osce e puntando, in un quadro unipolare, sull’espansionismo della Nato come alleanza militare offensiva fino ai confini con la Russia. Lo aveva capito Henry Kissinger che nel 2014 preannunciò il conflitto con la Russia se non si fosse ribadita la neutralità di Kiev. Nel 1997 Brzezinski nella Grande Scacchiera e nel 2019 la Rand Corporation con il documento Extending Russia avevano puntato sullo smantellamento della Federazione russa. Le multinazionali occidentali premevano per accaparrarsi le immense materie prime e le terre rare. Per i neo-conservatori Usa la sconfitta della Russia attraverso l’Ucraina avrebbe evitato il pericolo di una saldatura euroasiatica e la vittoria a spese di Washington del modello economico ed energetico fondamentale per la potenza tedesca ed europea. Perché Calenda e tutti gli altri guerrafondai non studiano le vere cause delle dinamiche internazionali? Com’è possibile che intellettuali e artisti di quel che era il centrosinistra si siano ritrovati in una piazza demente in cui si è creduto al riarmo dell’Europa di Von der Leyen come argine democratico ai dittatori di tutto il mondo? I Brics tuttavia parlano di convivenza tra culture e popoli differenti, di diplomazia e mediazione tra interessi divergenti. Il dialogo interreligioso e interculturale, a cui si è appellato il Papa, non sembra far parte del patrimonio culturale del centrosinistra. Antonio Scurati ci racconta che noi siamo diversi dagli altri, migliori: noi non commettiamo crimini, noi non deportiamo bambini, noi non violiamo le frontiere di Stati sovrani. Sembra di ascoltare un crociato o un colonialista che massacrava i popoli in allegria, convinto di portare il bene. Avrà vissuto su Marte quando bombardavamo Belgrado, invadevamo Afghanistan, Iraq, Libia, aiutavamo la jihad in Siria, eravamo complici di Abu Ghraib e di Guantanamo?
Goebbels aveva compreso l’importanza della propaganda. Politici, intellettuali e artisti, che un tempo incarnavano il riformismo progressista, oggi credono alla favola del suprematismo occidentale, europeo, sempre bianco, al mito del guerriero impavido che difende la Patria da un nemico inventato. Non c’è uno straccio di prova, di fondamento storico in questo delirio propagandistico. Alla pace si perviene se si rimuovono le cause del conflitto: cioè la strategia neo-conservatrice Usa di utilizzare gli ucraini come carne da macello per erodere il potere di Mosca e indurre la Russia a concessioni economiche e geopolitiche, rinunciando alla propria sovranità. Il riconoscimento della situazione sul campo militare e le garanzie di sicurezza fornite non dall’Europa cobelligerante sono importanti. Se Mosca rinuncia ad avanzare fino a Odessa, lo farà per una pace duratura. Putin può anche essere indotto dai metodi mafiosi di Trump a fare concessioni maggiori sui territori, non sulla Crimea e gli altri già annessi.
Il rischio di perdere, grazie all’influenza ricattatrice di Washington, il sostegno di Turchia, India e Cina che sono state essenziali per la resilienza di Mosca alle sanzioni occidentali, potrebbe spingere Putin ad accettare la tregua e l’apertura di negoziati, lasciando al prossimo futuro l’imposizione di alcune condizioni essenziali. La fiducia di Putin nelle promesse di Washington gioca un ruolo innegabile. Il percorso è ancora fluido. L’Europa della Von der Leyen, delle lobby delle armi e degli apparati burocratici e di intelligence potrebbe riuscire nella sua opera di sabotaggio della pace. L’invio di armi americane a Kiev, da noi comprate, con spese militari mai viste in precedenza, accontenterebbe Trump. Gli ucraini continuerebbero a morire, i russi ad avanzare, Zelensky a restare a galla, le lobby delle armi a fare profitti, i popoli europei a soffrire. Calenda va spesso in Ucraina e contatta la leadership, quindi può parlare con cognizione di causa. Noi invece che in Russia e in Ucraina non ci andiamo, ci limitiamo a studiare, a ragionare, a essere onesti intellettualmente, è meglio che taciamo. Dovremmo, secondo il nuovo catechismo Picierno, cantare quanto siamo belli noi, bianchi ed europei, come sono brutti tutti gli altri, soprattutto vietare cultura, arte, sport e informazione russi o cinesi per proteggere la libertà di pensiero. L’incubo di Orwell si avvera.
Riarmo e scienza, un appello per dire di no
Materia oscura Carlo Rovelli, Flavio del Santo e Francesca Vidotto, fisici che lavorano in importanti università internazionali, hanno scritto un appello per opporsi al piano Von der Leyen
Andrea Capocci 21/03/2025
Contro il riarmo dell’Europa si muovono anche gli accademici. Carlo Rovelli, Flavio del Santo e Francesca Vidotto, fisici che lavorano in importanti università internazionali, hanno scritto un appello per opporsi al piano Von der Leyen di 800 miliardi di investimenti per rinforzare gli eserciti dei ventisette Paesi europei. «I politici stanno reagendo in modo affrettato e miope con un appello a mobilitare, su scala continentale, una quantità colossale di risorse per produrre più strumenti di morte e distruzione» scrivono. «L’Europa si vuole preparare alla guerra, con nuove spese militari mai viste dalla seconda guerra mondiale. L’Europa è ora disposta a brandire le armi solo perché si sente esclusa?». In pochi giorni hanno raccolto quasi tremila firme di altri colleghi.
Gli appelli di categorie professionali su questioni che interessano tutte e tutti spesso lasciano perplessi. Su un tema come la guerra l’opinione degli scienziati non conta più di quella delle maestre o dei benzinai.
Stavolta, forse, è diverso. Nel riarmo dell’Europa gli scienziati, le università e gli enti di ricerca potrebbero svolgere un ruolo decisivo e, se si mettessero di traverso, potrebbero complicare i piani dell’Europa. L’appello di Rovelli e dei suoi colleghi allude a questa peculiarità proprio all’inizio del testo, quando si rivolge agli scienziati «molti impegnati anche in discipline coinvolte nella tecnologia militare».
Una corrente di pensiero piuttosto nutrita ritiene, o sostiene pubblicamente, che il piano di riarmo non serva davvero a fare la guerra ma piuttosto a rilanciare l’economia italiana. L’argomento è stato ben illustrato pochi giorni fa dall’economista Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera con l’esempio statunitense. «Il boom di spesa in ricerca e sviluppo negli Stati Uniti negli anni 50 e 60, per esempio, è legato interamente ai grandi progetti militari della Nasa. In generale, la ricerca in innovazione americana è intimamente intrecciata all’industria bellica e così è per le altre potenze militari» ha scritto. «La guerra moderna si fonda sulla tecnologia: sistemi satellitari sovrani e piattaforme alimentate dall’intelligenza artificiale, in grado di connettere in tempo reale i segnali informativi con l’operatività degli interventi militari, hanno bisogno di una tecnologia che evolve rapidamente e che quindi deve essere sostenuta da un eco-sistema capace di spingere la frontiera della conoscenza».
È d’accordo il ministro della difesa Crosetto, secondo cui «investire nella difesa significa non solo rafforzare le forze armate, ma anche stimolare la crescita del nostro apparato produttivo e favorire l’occupazione, specialmente quella qualificata».
Il sottotesto è che un riarmo conviene a tutti, anche agli scienziati che oggi lamentano i tagli alle università: arriveranno tanti fondi per la ricerca, se dimostrerete che i vostri studi possono, anche alla lontana, contribuire alla sicurezza nazionale. È un patto col diavolo che i ricercatori statunitensi accettano sin dal Progetto Manhattan e che ha garantito flussi di finanziamento costanti, in primis alla Silicon Valley.
La palla dunque sta ai ricercatori. Se il piano di Von der Leyen sarà approvato, molti di loro, soprattutto nei dipartimenti di fisica, ingegneria o informatica, accetteranno i fondi militari per portare avanti ricerche dual use, a scopo civile e militare.
Se invece, come suggerisce l’appello, università e enti di ricerca rifiuteranno di arruolarsi e di tenere la ricerca bellica o dual use fuori dal loro perimetro, presentare ReArm Europe come il nuovo piano Marshall sarà molto più difficile.
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