I FATTI. LE NOTIZIE. LE SPERANZE. da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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I FATTI. LE NOTIZIE. LE SPERANZE. da IL MANIFESTO

La speranza esige pensieri pessimisti

VERITÀ NASCOSTE. La rubrica su psiche e società.

 Sarantis Thanopulos  18/08/2023Rebecca Solnit, saggista statunitense, ha recentemente pubblicato sul Guardian un articolo contro i «fatalisti climatici». Solnit è una voce rappresentativa di tutti coloro che non negano il disastro climatico, ma confidando sul fatto che tutto si può risolvere se la prendono in ugual misura con i «negazionisti» e i «disfattisti». La loro preoccupazione non è quella di comprendere come è stato raggiunto e superato un limite considerato fino a pochi anni fa «punto di non ritorno». È piuttosto quella di mantenere vivo e ingannevolmente incoraggiante il loro narcisismo della buona volontà che li fa sentire raziocinanti e fiduciosi in mezzo ai disastri, diversi dalla massa degli ansiosi.

Solnit sostiene che per quanto la situazione climatica sia peggiorata, le soluzioni a nostra disposizione sono migliorate e cresce, seppure in modo ancora non soddisfacente, il movimento in difesa del pianeta (ciò è vero, in parte, nei paesi occidentali che rappresentano una parte minoritaria della popolazione mondiale). A sostegno della sua posizione cita Antonio Gramsci e il suo famoso detto «il pessimismo della ragione, l’ottimismo della volontà». Usare la frase di Gramsci come slogan non è cosa buona. Perché si perde di vista che nel discorso fine del pensatore italiano è il pessimismo della ragione a creare le condizioni di un ottimismo della volontà. La volontà è cieca se non ascolta la lettura critica della realtà che le segnala che si è infilata in un vicolo senza via d’uscita.

Coloro che immersi in una prospettiva infausta fanno, nonostante tutto, professione di fede nel destino fausto dell’umanità, sono promotori di una visione del mondo «politically correct», la buona educazione linguistica e comportamentale diventata modo di pensare e canone di vita. Non vogliono imparare dagli errori del passato. Preferiscono rieducare la storia, riscrivendola nel presente. Hanno una fede assoluta (e non del tutto consapevole) nei miracoli della tecnologia e considerano ogni problema dell’umanità come problema tecnico da risolvere scientificamente. Peccato che la tecnica non ha mai risolto alcuno dei conflitti che attraversano la storia umana, spesso li aggrava a partire dalle guerre. Non esistono algoritmi che renderanno il nostro mondo più pacifico, libero e democratico capace di trarre forza costruttiva dai conflitti, piuttosto che lasciarsi andare alla loro deriva distruttiva.

Si continua ostinatamente a confondere il substrato logistico della nostra vita (dove è importante la stabilità e una ragionevole prevedibilità) con i desideri, gli affetti e il pensiero immaginativo che la rendono umana. Per questi ultimi è importante un equilibrio non predefinito tra prevedibilità e imprevedibilità, tra stabilità e destabilizzazione, il contesto in cui si muove, peraltro, anche la ricerca scientifica che è cosa diversa dalle sue applicazioni.

I sostenitori del futuro tecnologico dell’umanità non sanno di cosa parlano, sono affetti da insipienza del pensiero (l’ottundersi della mente a causa della crisi del desiderare, vedere e sentire), indipendentemente dalle loro ottime intenzioni, dalle loro buone conoscenze e dal loro quoziente intellettivo (un inganno diventato misura obiettiva della capacità di pensare, promotore di un pensiero calcolatore e impersonale che non sa nulla del mondo). Sono abbagliati dai numeri e dalle immagini e vivono nella caverna di cui Platone, uscendone, ci ha parlato. Uscire all’aperto li terrorizza e costruiscono paradisi artificiali che creano un oblio continuo della loro condizione umana.

La speranza è l’opposto della consolazione, il vivere ipnotizzati nella caverna. Nasce dalla disperazione creata dalla consapevolezza di essere finiti in una prigione e richiede da noi il coraggio di uscire, sempre più numerosi, dalla claustrofilia a dare testimonianza di un amore per la convivialità umana (la culla della ragionevolezza) che tenacemente resiste.

I fatti, le notizie e il senso della storia

Alberto Olivetti  18/08/2023

Ai nostri giorni, nel momento stesso in cui accadono, i fatti divengono notizie. I tempi di questa mutazione, di questa metamorfosi del fatto in notizia sono infatti ridotti, pressoché fino a coincidere. E a tal punto è giunta la coincidenza che, se non è dato come notizia, il fatto non viene registrato come realmente accaduto, resta nel novero anonimo, esteso assai, delle non-notizie che va a costituire l’innumerevole congerie dei non-fatti.

A riprova, una facile constatazione in proposito: di guerre sanguinose che infieriscono da anni, in Africa per esempio, non si ha notizia. Per tanto non sono certificate (verificate) come guerre in atto. Non averne notizia, infatti, ne destituisce la “fattualità”.

Esse, propriamente, “non accadono”: in Africa non ci sono guerre. Per converso si ha un grande, incessante lavorìo inteso a costruire notizie, cioè a ratificare fatti che nella realtà effettuale non sono accaduti.

Il sistema dell’informazione, che traduce i fatti in notizie e le notizie in fatti, mette capo ad una giornaliera rappresentazione del mondo che, del mondo, pervade e condiziona la recezione che ciascuno se ne fa. Si ottiene una visione del mondo ratificata dalle notizie comunicate simultaneamente, una via l’altra dai quattro canti del globo terracqueo.

La notizia, scritta o parlata, quanto più possibile, è corredata da immagini che ne ratificano l’attendibilità (se non l’autenticità), la confermano, ne offrono l’inoppugnabile fattualità. Fatto, immagine, notizia si assommano e forniscono a sconfinate moltitudini una certezza, una verità su come va il mondo. Proprio così va il mondo ogni giorno, ora dopo ora, notte e dì, eccolo qui il mondo in “tempo reale”, da un capo all’altro, a disposizione delle moltitudini perché, finalmente, ne posseggano i termini. Possederne i termini, essere posti nella condizione di conoscerne le notizie-fatti entro tutti i confini. Dalla tundra alle pampas, dagli oceani al lago d’Iseo. Pioggia a Tokio, vento forte di libeccio in Versilia, le Eolie isolate. Si getta a Manhattan dal decimo piano di un grattacielo una ballerina nera di ventitré anni. La madre, sconvolta, ha dichiarato: «Non me lo aspettavo».

Collegati al mondo, si dice. Ma essere collegati al mondo non è precisamente lo stesso che essere al mondo. La individuale vita quotidiana di ciascuno può scorrere a latere del mondo collegato, apprendere le notizie-fatti degli altri, uomini e donne, di un altrove, casi capitati oggi in Alaska o a Forcella, e ritrovarsi tuttavia, al momento di prender sonno alla fine della giornata, scollegati senza un attivo possesso di quei termini che i fatti-notizie mi illudono di partecipare.

Guerre, pestilenze, fame, malattie, pericoli di morte, soprusi, torture, offese, violenze sono le notizie-fatti che attraversano il mondo giorno per giorno, mese per mese, anno per anno. Ma, come notizie-fatti che vengono comunicate, mi recano un’aggiornata informazione dei casi del mondo senza tuttavia toccarmi nel corpo, senza obbligarmi nella volontà, senza impormi scelte non rinviabili, atti di difesa o di offesa con i quali cautelarmi, salvarmi dai pericoli mortali del mondo, appunto. Senza, insomma, educarmi alla responsabilità ed alla consapevolezza critica: la notizia-fatto ostacola e ottunde il senso della storia.

Queste sommarie considerazioni mi sono stimolate dalla lettura del Candide di Voltaire. La vita di Candide è travolta da guai, dolori, persecuzioni, disastri, terremoti e naufragi, ingiustizie e uccisioni nel lungo e nel largo dei continenti di questo nostro medesimo mondo. Essi sono da Voltaire narrati come fatti che si susseguono con ben precise conseguenze. Fatti, non notizie raccontate allo scopo di suscitare nel lettore stupore e curiosità (e qualche raccapriccio).

Voltaire non ci comunica notizie. Ci pone innanzi a fatti, ovvero al destino di donne e di uomini come noi, in carne e ossa. Fatti che accadono e segnano e producono reazioni e casi, scelte di vita e di morte irreversibili. Reversibili sono, appunto le notizie che si contestano, si smentiscono, si enfatizzano, si destituiscono di fondamento.

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