FINE DELLA NARRAZIONE AMERICANA da LEFT
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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FINE DELLA NARRAZIONE AMERICANA da LEFT

Fine della narrazione americana

Piero Bevilacqua  26/12/2023

Finché gli Usa non staccheranno la spina, Israele andrà avanti nella guerra facendo vittime. Nelle ultime 48 ore un’ecatombe di palestinesi uccisi. Soltanto con il raid sul campo di Maghazi sono stati 106. Ma gli Usa hanno voce in capitolo anche sui quasi due anni della guerra di aggressione di Putin in Ucraina

La condotta del governo degli Stati nella guerra di Israele contro Hamas, trasformata in un indiscriminato massacro della popolazione palestinese, segna una svolta profonda e radicale nella rappresentazione pubblica della democrazia americana. Le esortazioni alla moderazione rivolte dal presidente Biden a Netanyahu, le iniziative di mediazione del segretario alla Difesa Austin, gli interventi dei vari esponenti dell’amministrazione statunitense, appaiono moine ciniche, fumo negli occhi dell’opinione pubblica, che nascondono una verità non più occultabile. Gli Usa hanno sostenuto l’intera operazione di Israele a Gaza, vale a dire il bombardamento indiscriminato della popolazione civile, la devastazione degli ospedali e delle scuole, la distruzione degli accampamenti, la sottrazione dell’acqua e del cibo alla popolazione sfollata, il blocco dell’energia e del carburante per i bisogni civili.

Essi hanno cioè condiviso, sia inviando le proprie armi, sia con la presenza di due grandi portaerei collocate nel Mediterraneo orientale – volte a scoraggiare chiunque potesse osteggiare l’esercito di Israele – sia con i ripetuti veti ai Consigli di sicurezza e alle Assemblee generali dell’Onu per un cessate il fuoco, l’uccisione, a oggi, di circa 20 mila civili di cui 7 mila bambini.

Gli Usa portano dunque, di fronte all’opinione pubblica mondiale, la responsabilità politica, militare e morale di una vera e propria pratica di genocidio. Per la più antica democrazia del mondo è davvero un gran risultato.
Tale corresponsabilità non è tuttavia una sorpresa. Le amministrazioni americane hanno sempre sostenuto la politica israeliana nei confronti della Palestina, anche quando, a partire dai governi di Ariel Sharon, la destra più oltranzista ha mirato deliberatamente a mettere all’angolo gli esponenti moderati e dialoganti della dirigenza palestinese e a favorire l’insorgere e l’iniziativa disperata degli elementi estremisti. Una minuta cronistoria dello stillicidio di provocazioni condotte dall’esercito di Israele sotto il governo di Sharon mostrerebbe nitidamente la filigrana di una strategia: portare all’esasperazione i Palestinesi e indurli ad atti di terrorismo.

Tutta la condotta dei successivi governi ha puntato a questo fine, con ogni probabilità sotto l’astuta guida dell’amministrazione americana, che conosce la potenza emarginante dell’accusa di terrorismo: spostare la reazione dei gruppi palestinesi più attivi verso la strada della violenza armata. Gli appoggi, venuti di recente alla luce, di Netanyahu ad Hamas, mostrano soltanto la continuazione di una lunga strategia. Sul piano militare i Palestinesi non possono mai vincere, perciò è facile indurli ad azioni armate senza speranza, farli apparire dei terroristi, far perdere loro per sempre la simpatia e il favore dell’opinione pubblica mondiale.

Questa è la strada per fornire a Israele la giustificazione morale per ogni suo sopruso, la manipolazione della storia del suo insediamento, ma anche la segregazione di 2 milioni di persone in una prigione a cielo aperto. L’eccidio compiuto da Hamas il 7 ottobre è stato – viene da pensare- per i dirigenti del governo israeliano di ultra destra, il programmato prezzo da pagare per poter poi realizzare la “soluzione” della questione palestinese. Anche perché 20 anni di vessazioni e anche di massacri, inflitti a una popolazione prigioniera in una striscia di terra, non potevano prima o poi non produrre un’esplosione di violenza disperata.
Ma oggi, sul campo, nella striscia di Gaza ci sono i corpi di decine di migliaia di morti, feriti, sepolti sotto le macerie, ammalati, affamati, la devastazione delle infrastrutture, degli abitati, l’annichilimento di un intero territorio, una popolazione di quasi 2 milioni di abitanti senza un luogo in cui vivere.

E né gli Usa né Israele indicano una via d’uscita, un piano, se non lo sterminio per bombe o per fame dell’intero popolo di Gaza. A questo punto, comunque vadano a finire le cose, la disfatta della strategia Usa non poteva essere più conclamata e inoccultabile. Gli statunitensi appaiono agli occhi del mondo corresponsabili di un eccidio senza precedenti e non possiedono un pur minimo progetto, neanche per la sicurezza di Israele, per la pacificazione di una intera regione dove essi si trovano oggi senza nessuna giustificazione se non quella della prevaricazione imperiale.

Ma tale vicenda segue, anzi è contemporanea, di un’altra sconfitta, quella a cui gli Usa hanno trascinato l’Europa e i Paesi Nato: la guerra in Ucraina. Perché il racconto della difesa di un Paese democratico dalla inaccettabile aggressione dell’imperialismo russo, a base del supporto a Kiev, ha la stessa fondatezza delle critiche di Biden a Netanyahu. Una ben orchestrata messa in scena che poco a cuore le sorti dei civili ucraini aggrediti da Putin. Quella guerra, lungamente preparata, a mio avviso, non è che l’esito finale della prosecuzione della guerra fredda vinta dagli Usa sull’Urss nell’ 1989 e che oggi appare perduta. E in questo momento gli Usa e i loro alleati, i piccoli governanti europei, devono rispondere delle centinaia di migliaia di uomini e donne ucraini morti inutilmente, per una guerra che poteva essere evitata, non proponendo l’ingresso dell’Ucraina nella Nato – al fine di completare l’accerchiamento della Russia coi missili americani – e che poteva essere fermata subito, com’è risaputo, senza l’opposizione del Regno Unito (e degli Americani) fra marzo e aprile del 2022.
Ora è noto che gli Stati Uniti, uno Stato liberal-democratico, hanno sempre curato, finché hanno potuto, la propria immagine, e la loro rispettabilità. Sia perché devono rispondere a un’opinione pubblica che, per quanto ampiamente manipolata, è pur sempre libera e reattiva, sia perché l’aureola della democrazia e del rispetto dei popoli deve brillare sulla testa dei loro governanti. Ne va di mezzo la reputazione con gli alleati occidentali, prima di tutto, e la credibilità della loro politica imperiale, che deve essere coperta sotto lo smalto della democrazia e della libertà. E infatti solo a posteriori, e spesso grazie a giornalisti e funzionari americani, abbiamo scoperto le segrete infamie di cui si sono storicamente macchiate le loro amministrazioni.

Qualcuno ricorda i Pentagon Papers che svelarono le menzogne con cui i governanti ingannarono i loro cittadini sulle ragioni e sull’andamento della guerra in Vietnam? Rammentiamo di passaggio i ripetuti bombardamenti segreti di villaggi inermi della Cambogia ordinati da Kissinger negli anni Sessanta e scoperti solo di recente, il sostegno alle dittature sanguinarie in America Latina, il contributo al soffocamento del governo di Allende in Cile nel 1973, e così via. Oggi grazie al Washington Post si è scoperto che la controffensiva ucraina è stata progettata a tavolino da Usa e UK, addestrando le truppe di Kiev in Germania, e valutando la sua possibilità di successo al 50%, ma al prezzo previsto tra il 30 e 40% di perdite umane, circa 100 mila morti. (vedi Domenico Gallo, Nato e Ue han mandato gli ucraini al massacroIl fatto quotidiano, 22, dicembre 2023).

Com’è noto, nel nuovo millennio le campagne militari finalizzate all’espansione imperiale sono state accompagnate dalla copertura narrativa, dalla nobilitazione ideologica della guerra al terrorismo e della esportazione della democrazia. Uno sforzo di manipolazione propagandistica che ha toccato vertici di ridicola protervia il 5 febbraio 2003. Quando, si ricorderà, l’allora segretario di Stato Colin Powell esibì alle Nazioni Unite una provetta di polvere bianca, probabilmente borotalco, per certificare il possesso da parte dell’Iraq di armi di distruzioni di massa.
Ma oggi la copertura ideologica volta a camuffare il dispiegato progetto di dominio mondiale è andata in pezzi. L’impressionante serie di campagne militari condotte dagli Usa negli ultimi 20 anni, con esiti nefasti e fallimentari, è ormai evidente a tutti. L’Afghanistan è tornato in mano ai Talebani, l’Iraq dopo i bombardamenti del 2003 e l’uccisione di circa 150mila iracheni, è dilaniato dalla lotta tra fazioni terroristiche e ridotto in miseria, la Libia è regredita alle sue antiche faide tribali. Dunque, dopo la sconfitta in Ucraina e il massacro dei Palestinesi, gli Usa hanno irrimediabilmente perduto ogni giustificazione ideale e morale alle loro imprese, che non risolvono alcun problema, mostrandosi in tutto il loro splendore di agenti primari del disordine internazionale, impero in declino che diventa sempre più sanguinario. Oggi non a caso minacciano apertamente una guerra contro la Cina per bloccare la sua espansione economica.

Questo rapido bilancio storico, ha qui un fine particolare. Esso mostra come oggi, dicembre 2023, l’atlantismo delle élites europee, comprese quelle di gran parte dei socialisti – a vergogna e disonore della loro storia – non può più essere rappresentato e giustificato come appartenenza a un campo di valori democratici, alla difesa dell’Occidente, agli ideali della pace. Tutto questo armamentario retorico, di cui il nostro presidente della Repubblica è uno stanco mentore, è da portare dal rigattiere. Con ogni evidenza l’atlantismo si presenta oggi come una politica di fiancheggiamento e complicità con i misfatti di un impero. Gli intellettuali del campo progressista, perfino oneste figure del mondo culturale della sinistra, che hanno, anche comprensibilmente, teorizzato la necessità di sostenere l’Ucraina in lotta, devono rivedere al più presto le loro posizioni. Sostenere la politica di estensione e rafforzamento della Nato vuol dire lavorare contro il progetto dell’Europa democratica e agente di pace in cui avevamo creduto. A nessuno può sfuggire che l’ubbidienza all’alleato americano, che conduce una politica in danno aperto dell’economia europea, spinge i dirigenti Ue a scelte generali che distruggono la democrazia nei Paesi del vecchio continente. L’aumento delle spese militari, la loro messa fuori bilancio comunitario, sottrarrà sempre più risorse al welfare e andrà a combinarsi con il ritorno delle politiche di austerità. In questo modo i peggiori dirigenti europei dal dopoguerra condannano al suicidio le economie del Continente, facendo prosperare le destre estreme. Un fenomeno verificabile da ogni osservatore. E ricordo che dal 2024 la Nato, destinata a difendere la nostra democrazia e la nostra libertà, sarà molto probabilmente capeggiata da Donald Trump.

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