DALLA CECOSLOVACCIA DI TOMÀS MASARYK, UN SAGGIO CHE ILLUMINA IL NOSTRO PRESENTE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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DALLA CECOSLOVACCIA DI TOMÀS MASARYK, UN SAGGIO CHE ILLUMINA IL NOSTRO PRESENTE da IL MANIFESTO e IL FATTO

Dalla Cecoslovacchia di Tomàs Masaryk, un saggio che illumina il nostro presente

Saggi. «The Making of a State», datato 1927, da Ishi Press

Roberta De Monticelli  08/09/2024

Proviamo a riavvolgere la storia del mondo all’indietro di cent’anni, per cogliere nella sua purezza il pensiero che scaturì allora, insieme alla speranza di una civiltà nuova, generata dalla «Grande Morte». Così Tomàs Masaryk – uno dei pochi «re-filosofi» della storia, allievo di Franz Brentano, e grande, paterno amico di Husserl, come lui moravo – chiamava la Grande Guerra. Su «The New Europe», il giornale che fondò a Londra durante la guerra, andava sviluppando l’idea di una «politica sub specie aeternitatis»: il solo riscatto possibile di quell’umanità di cui Karl Kraus aveva messo in tragedia «gli ultimi giorni». C’è, in questa location della politica nell’eternità, una certa zolfigna ironia krausiana, dopo «la Grande Morte». Eppure Masaryk non l’intendeva così.

Come allora? E perché mai il suo pensiero dovrebbe illuminare anche noi?

Il gesto di Yuval Green – giovane riservista israeliano che pur coltivando dubbi sulla liceità morale e civile di una società fondata sull’occupazione dei territori palestinesi, dopo il 7 ottobre si è messo a disposizione dell’esercito, dopo sei mesi, di cui 50 giorni passati all’interno della striscia di Gaza, ha firmato con 40 commilitoni una lettera che denuncia l’invasione di Rafah come inutile massacro di innocenti, non mirato a riportare a casa vivi gli ostaggi – è l’esatto esempio di quella renovatio mentis, di quel rinnovamento personale radicale che idealmente dev’essere cosa quasi quotidiana nella vita di ciascuno, perché una democrazia possa rifondarsi e vivere.

Questo è il nucleo del pensiero che si concretò nell’esperienza della neonata Repubblica Cecoslovacca, che Masaryk riuscì a fondare e di cui fu eletto Presidente, con l’appoggio di Woodrow Wilson, convinto dell’importanza di una repubblica indipendente nell’Europa Centrale, che facesse da argine al sempre rinascente pangermanesimo, e da ponte alla fraterna Russia, o meglio da calamita democratica al sol dell’avvenire.

«L’uomo è una creatura abitudinaria. Se desideriamo una democrazia realmente moderna e coerente dobbiamo rompere con le nostre vecchie abitudini politiche, e abiurare a ogni forma di violenza». È il pensiero più ricorrente del libro che scrisse durante la sua presidenza (uscì nel 1927): The Making of a State  Memories and Observations 1914-1918. Masaryk era non soltanto riuscito a federare su un piede di assoluta parità Cechi e Slovacchi, pur tanto divisi prima e dopo il felice, breve intervallo dell’indipendenza cecoslovacca (1918-1938, data del Patto di Monaco e dell’annessione dei Sudeti); ma anche a integrare, pur con il massimo grado di autonomia, tutte le minoranze tedesche, magiare, russe.

E non per un colpo di fortuna, ma perché riuscì a rendere politicamente maggioritario nel suo parlamento il pensiero che la democrazia è la forma politica dell’organizzazione sociale moderna, un’innovazione anche morale perché il riconoscimento che tutti sono liberi e uguali e lo sviluppo delle istituzioni della solidarietà non può arrestarsi ai confini nazionali o etnici senza contraddizione. Con le parole di Masaryk: «la base etica della democrazia è l’umanità, e l’umanità è un programma internazionale».

Gli statisti eviterebbero le guerre, qui parla Blair

Elena Basile  8 Settembre 2024

In un bell’articolo recente di Foreign Affairs si sottolinea come la guerra sia sempre evitabile. Essa è il risultato delle azioni concrete di determinate personalità. La competizione tra l’impero britannico e la potenza in ascesa tedesca dal 1870 al 1914 ha reso inevitabile la prima guerra mondiale quando il Bismark statista dell’equilibrio europeo è stato messo da parte. La Germania Guglielmina si è convinta che la Gran Bretagna non avrebbe permesso il proprio sviluppo economico. D’altra parte una mediocre leadership britannica ha alimentato nella popolazione il timore che i tedeschi minacciassero il benessere e la libertà di Londra.

Sono evidenti le affinità col momento storico attuale: la competizione cino-statunitense. Il dramma di Tucidide che si sviluppa davanti ai nostri occhi. Se avessimo statisti occidentali avremmo la possibilità di evitare la guerra che è sempre una catastrofe umanitaria e i cui risultati non sono mai quelli per cui i popoli sono costretti alle armi. La mediazione economica e geo-politica tra Stati Uniti e Cina è possibile. Include la riforma del multilateralismo e della governance economica globale, il riconoscimento di un’unica Cina, la canalizzazione del risparmio cinese verso il dollaro e l’autolimitazione di Pechino nella competizione in alcuni settori strategici con l’Occidente.

Purtroppo la politica è lontana. Trionfa l’ottica militarista e il breve periodo. Lo stesso accade con riferimento ai due conflitti in corso russo-ucraino e in Medio Oriente. L’invasione ucraina di Kursk in mancanza di un’entrata in guerra aperta della Nato contribuisce all’escalation e moltiplica le sofferenze ucraine. La Russia sta vincendo in una guerra lenta in cui il paragone tra vittime ucraine e russe va da 3 a 1. Non abbiamo dati solidi. Si tratta di analisi tuttavia che hanno un fondamento. Mosca ha una strategia difensiva che limita le perdite e implica un avanzamento lento nella conquista dei territori. Gli analisti più ascoltati in Europa dovrebbero tuttavia comprendere che questo non è un conflitto per la conquista di territori. L’avanzata pagliaccesca ucraina a Kursk non è logisticamente sostenibile e espone a cielo aperto le truppe ucraine a eventuali attacchi russi con droni. La difesa nel Donbass è stata sguarnita e Mosca ha la meglio. Grazie all’escalation occidentale è ormai possibile e legittimo un attacco russo contro centri di addestratori svedesi e polacchi come è accaduto a Poltrava. Se avessimo statisti l’Ucraina non dovrebbe temere il suo annientamento ma potrebbe contare su una leadership in grado di negoziare il bene comune di Kiev, europeo, russo (non atlantista e statunitense). Lo abbiamo ripetuto e non ritorniamo sui possibili termini della mediazione.

Il pessimismo tuttavia è dovuto alla constatazione che le guerre non sono più inevitabili in virtù delle scelte effettuate da personalità politiche. Nella società globale e imperialista americana, il sistema è ormai corrotto a tal punto che soltanto gli individui privi di scrupolo possono andare al potere, recitando il verbo. Se la Harris fosse una persona morale e troncasse gli aiuti militari a Tel Aviv in nome di un cessate il fuoco permanente che salvi gli innocenti di Gaza, i donatori opterebbero per Trump. La Harris sarebbe abbandonata dagli altri politici democratici nel Congresso. Kennedy si è opposto al complesso militare industriale, in tempi in cui c’era ancora un margine di manovra, non eravamo nella fase avanzata del capitalismo finanziario, e non ha fatto una bella fine. Soltanto un movimento federato dei partiti e dei movimenti dell’opposizione di sinistra e (forse di destra) contro le classi al governo che sono marionette dei poteri finanziari e delle oligarchie transnazionali, potrebbe avere una qualche incidenza. Come aveva previsto Marcuse il capitalismo è in grado di plasmare e standardizzare i comportamenti. Assorbe e include in sé ciò che vorrebbe confutarlo. Blair, l’emblema della terza via e della falsa sinistra europea, che ha mentito come Bush sul possesso delle armi di distruzione di massa in Irak, è ancora intervistato sui principali giornali. Forma l’opinione moderata e ci spiega che la guerra alle autocrazie è necessaria per la difesa dei valori dell’Occidente. Non prova alcun rimorso per i 500.000 morti iracheni ed è impassibile di fronte a quelli ucraini e di Gaza. I centro-sinistra di tutta Europa che hanno ereditato il cinismo, l’opportunismo dei democristiani nostrani ma non la loro cultura e competenza, ripetono come Blair slogan senza fondamento che sono strombazzati da “miti” giornalisti all’opera. In questo quadro la costruzione di un’alternativa è un percorso irto di ostacoli. Opporsi alle logiche imperiali, militaristiche e nichilistiche attuali è, tuttavia, un impegno morale, prima che politico, imprescindibile.

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