5 APRILE, M5S: “DISARMIAMO LA PACE, DISERTIAMO LA GUERRA!” da IL FATTO e ATTAC
M5S, gli attacchi aiutano la loro piazza autarchica
Luca De Carolis 1 Aprile 2025
Già 5mila i prenotati per il corteo di sabato a Roma, si punta alle 15mila presenze. Segnali e appelli da sinistra
Ci sono insulti che valgono come regali. E ci sono spazi politici da riempire. Cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia per i Cinque Stelle che si avvicinano al loro corteo del 5 aprile con il vento di sondaggi positivi e il rumore dei nemici che non è mai parso così dolce. “Stiamo riempiendo molti più pullman del previsto, c’è un ottimo riscontro da tutti i territori” giurano dal M5S. Le prenotazioni parlano di 5 mila presenze certe, ma qualche big butta lì la cifra di “15 mila manifestanti” come alla portata.
Effetto della linea anti-riarmo, ma anche degli attacchi di un mondo che picchiando sul M5S lo sta ricompattando, ridandogli senso identitario. E il pensiero corre al Calenda che sabato ha auspicato “la cancellazione dei Cinque Stelle”, davanti a una platea dove se la ridevano diversi riformisti dem: da Pina Picierno all’ex premier Paolo Gentiloni, fino a Piero Fassino. “Gli attacchi ci hanno rimesso al centro del dibattito, come non capitava da anni” sostengono dal M5S. Benzina, per il corteo che partirà da piazza Vittorio per arrivare al palco in via dei Fori Imperiali, con la Giovanile che aprirà il “serpentone” e stand in piazza. Avs ci sarà, anche per marcare l’alleato. Mentre è improbabile che passi Elly Schlein. “Non crediamo proprio che venga, avrebbe troppi problemi nel suo partito” dicono i 5Stelle. Lei a Tagadà cerca di tenersi in equilibrio: “La piazza M5S? Così come noi siamo a favore della difesa comune europea, ho sentito spesso anche il Movimento e Conte parlarne. E ci sono similitudini anche nelle critiche al piano di riarmo”. Mentre, come anticipato dal Fatto, è certa l’assenza del segretario della Cgil Maurizio Landini. Ma va bene così al M5S che si risente autarchico, anche se con il Pd dovrà formare coalizioni per le Regionali in autunno. Non a caso ieri Virginia Raggi, non certo fautrice dell’abbraccio con i dem, ha ribadito che sarà in piazza: “Siamo la maggioranza degli italiani, anche se chi spinge per l’invio di armi cerca di etichettarci come ‘pacifinti’ e ‘filoputiniani’,, e così via”. Etichette che il M5S proverà a sfruttare per occupare quegli spazi a sinistra che Schlein non può riempire come vorrebbe. Così è indicativa la presenza annunciata da Michele Santoro, e soprattutto il consenso all’appello pro-piazza pubblicato pochi giorni sul Fatto, firmato dalla giornalista Luciana Castellina, dal giurista Luigi Ferrajoli e dallo storico Gian Giacomo Migone. Un testo in cui si invitano i leader del campo progressista “a mettersi d’accordo”, finora sottoscritto da 155 tra giornalisti e intellettuali. E che quello sia il campo di gioco lo conferma il segretario di Rifondazione comunista, Maurizio Acerbo: “Ci saremo anche noi, per dare un segnale di unità dell’opposizione”.
Se vuoi la pace, prepara la pace
Antonio De Lellis (Attac Italia) 30/03/2025
Nel documento di Attac Italia Per uscire dalla guerra che avanza e costruire un fronte comune per la pace, il sistema guerra viene spiegato nei suoi molteplici aspetti: guerra all’ambiente, guerra ai migranti e all’umanità fragile e sofferente, spese per il riarmo e nuovi sistemi d’arma, neoprotezionismo, colonialismo d’insediamento, finanziarizzazione bellica, militarizzazione delle menti.
Ed è da quest’ultimo aspetto che è opportuno partire.
Quali sono i meccanismi che consentono ai conflitti di protrarsi a tempo indeterminato? Veri e propri inganni cognitivi generati, prima ancora che dalle condizioni materiali, dalla mente e dalla sua più potente manifestazione: la parola. O, meglio, la concatenazione di parole con cui una società rappresenta se stessa e il mondo: la narrazione.
Un insieme di di credenze integrate e declinate su storie ciascuna coerente, ma contrapposta all’altra: l’ethos del conflitto; la visione del presente e del futuro; la memoria collettiva; l’immagine del passato. Poiché i conflitti si generano nella mente, è dalla mente che vengono create le idee per porvi fine. Come il sostegno del conflitto, anche quello al processo di pace implica una nuova narrativa che ci consenta, quando sarà il momento, di giungere alla pace (Daniel Bar-Tal, docente emerito dell’Università di Tel Aviv, Avvenire, 18 marzo 2025).
Iniziamo col dire che il diritto internazionale è basato sulla Carta delle Nazioni unite (1945) che definisce la guerra come ‘flagello’, la ripudia e la interdice. L’uso della forza militare, per fini diversi da quelli tipici della guerra, dunque per fini di giustizia (difendere la vita delle popolazioni, salvaguardare l’ambiente e le infrastrutture vitali, acciuffare i presunti criminali e consegnarli ai tribunali internazionali, eccetera) è avocato all’Onu, autorità sovranazionale deputata a gestire il sistema di sicurezza internazionale.
Nella Dichiarazione universale dei diritti umani all’articolo 28 si parla del diritto alla pace: ogni individuo ha diritto a un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati. È il diritto umano alla pace: pace interna e pace internazionale, pace nella giustizia (opus iustitiae pax). La giustizia è quella dei diritti umani, cioè è anche giustizia sociale ed economica. La pace proclamata dall’articolo 28 è pace positiva, intesa come la costruzione di un sistema di istituzioni, di relazioni e di politiche di cooperazione all’insegna di: “se vuoi la pace, prepara la pace”. Il contrario della pace negativa, cioè della mera assenza di guerre guerreggiate e agli antipodi della assurda espressione: se vuoi la pace, prepara la guerra.
La guerra è interdetta dal vigente Diritto internazionale, infatti l’articolo 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) perentoriamente prescrive: “Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalle legge”. La Carta delle Nazioni unite è coerente: la guerra è vietata e gli Stati sono obbligati a far funzionare il sistema di sicurezza collettiva, anche per prevenire il ricorso all’articolo 51 della Carta il quale, a titolo di eccezione rigorosamente circostanziata, prevede che gli Stati possano usare lo strumento militare per respingere un attacco armato con l’obbligo però di informare immediatamente il Consiglio di sicurezza perché metta la situazione sotto la propria autorità e controllo.
Poi c’è la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che nel preambolo recita: “I popoli d’Europa, nel creare tra loro un’unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni”. E all’articolo 3: “L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli”.
Nel Trattato di Lisbona dell’Unione europea è anche stabilito che l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza e successivamente, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo da Parlamento, Consiglio e Commissione – che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione, in quanto principi generali.
E qui si rimanda alla nostra Costituzione che promuove una “economia di pace” basata sul valore della fratellanza e sorellanza universale, della solidarietà e della cooperazione e del legame con l’ambiente, a fondamento della Repubblica. La nostra Costituzione, da una parte ripudia la guerra, dall’altra limita l’uso della stessa alla difesa della patria e limita l’attività economica a una funzione sociale ed ambientale.
Fatte queste premesse, c’è da chiedersi: perché si stanno creando le premesse per un’economia di guerra? Infatti, la parola guerra è diventata ormai lo strumento attraverso cui accelerare, in tempi record, la finanziarizzazione del vecchio Continente. Polizze, conti deposito, cartolarizzazioni, riduzioni fiscali: tutto deve chiamare alle armi il risparmio diffuso e incanalarlo verso la nuova bolla con cui alimentare la riconversione bellica.
Guarda caso, in poche settimane la lenta Commissione europea ha annunciato un Piano da 800 miliardi di euro di maggior spesa dei singoli Stati in armi. Ha, inoltre, rotto il tabù del Patto di stabilità per le armi. Ha messo in moto la Banca europea per gli investimenti (Bei) per finanziare le armi. Ha prodotto un documento, fatto votare al Parlamento, di supremazia europea, ha consentito la destinazione dei fondi di coesione al riarmo. E, dulcis in fundo, sta chiamando alle armi il risparmio degli europei.
In parallelo la Banca centrale europea (Bce) ha ridotto al 2,5% il tasso sui depositi. Non sembra che ci sia stata mai una mobilitazione analoga per la sanità pubblica, per la lotta alle disuguaglianze o per l’istruzione. In estrema sintesi, l’Europa pare aver trovato la propria vocazione.
Infatti, il neo cancelliere Friedrich Merz è riuscito a far approvare dal Parlamento tedesco, in tempi record, prima della scadenza del mandato, una riforma costituzionale storica che contiene tre punti centrali rappresentati dalla possibilità per lo Stato tedesco di indebitarsi senza alcun limite per il riarmo; dalla possibilità di creare ulteriore debito federale per 500 miliardi di euro, in 12 anni, da dedicare alle infrastrutture – strade, scuole, ospedali, reti -; e dalla prerogativa per gli Enti locali di andare in deficit fino allo 0,35% (https://valori.it/riarmo-risparmio-privato-fondi/).
Nel documento di Attac Italia i conflitti armati recenti sono considerati come guerre capitaliste. “La competizione capitalistica mondiale genera continuamente vincitori e vinti, con i primi che a lungo andare diventano creditori dei secondi che tendono, poi, a liquidarli o a fagocitarli. La cosiddetta tendenza verso la centralizzazione del capitale in sempre meno mani, col tempo sposta il controllo del capitale dei debitori liquidati verso i creditori che li acquisiscono”.
“Gli Stati Uniti si illudevano di poter dominare la centralizzazione capitalistica e hanno invece scoperto di esserne soggiogati. I debitori occidentali hanno cercato di restare a galla adottando una strategia di doppio espansionismo: del debito e dell’influenza militare nel mondo. I debiti esteri finanziavano le milizie all’estero che a loro volta dovevano creare nuovi accaparramenti proprietari capaci di mitigare i debiti stessi” (Stefano Lucarelli Uscire dalla guerra per una economia di pace, Cittadella editrice, 2023).
Tra gli investitori e gli analisti finanziari europei c’è chi invita a guardare al vero anello debole degli Usa in questa fase storica, ovvero la necessità di rifinanziare continuamente l’enorme debito pubblico che ha ormai superato i 36.200 miliardi di dollari. E la Cina nel 2024 ha tagliato ancora a 759 miliardi di dollari la sua esposizione ai Tbond, dagli 816 miliardi del 2023, seguendo un piano “geopolitico” di riduzione al finanziamento del debito Usa che va avanti da almeno un decennio; nel 2013 erano 1.300 miliardi– (Alessandro Graziani Il Sole 24 Ore, 6 marzo 2025).
Come se ne esce?
Attraverso le idee di democrazia, libertà, giustizia:
- dall’alto grazie a una leadership illuminata, come in Sudafrica;
- dal basso per l’azione della società civile organizzata, vedi Nord Irlanda;
- con la pressione di Paesi terzi rispetto ai conflitti in atto;
- con il raggiungimento di una consapevolezza da entrambe le parti in conflitto, dell’insostenibilità della violenza.
Idee di democrazia, libertà, giustizia che crediamo siano ancora vive e radicate in settori apparentemente minoritari. Con insistenza e sacrificio, però, possono riemergere.
Per questo Attac Italia si unisce e sostiene quanti a livello locale stanno costruendo, a vario titolo, una mobilitazione permanente contro la guerra che avanza. Si vuole provare a rilanciare queste iniziative, a livello nazionale, con quanti vorranno cambiare paradigma, passando, da una lotta di potere per la supremazia mondiale di una ristretta cerchia di oligarchi e organismi finanziari, a una società nonviolenta, della cura e dei beni comuni.
Disarmiamo la pace, disertiamo la guerra!
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