“PROMOSSA”. LA SCUOLA DELLA COSTITUZIONE da IL MANIFESTO
“Promossa”. La scuola della Costituzione
SINISTRA ITALIANA. Il 25 gennaio è stata presentata a Montecitorio una proposta di legge sulla scuola da parte dei gruppi parlamentari di “Alleanza Verdi-Sinistra”. Questi i punti salienti
Giuseppe Buondonno * 27/01/2023
Massimo 18 alunni per classe; tempo pieno e tempo prolungato in ogni scuola del Paese; “Zone di educazione prioritaria e solidale” nelle aree socialmente e geograficamente più svantaggiate; asili nido e scuola per l’infanzia in tutto il territorio nazionale (non più come «servizio a domanda individuale», ma diritto da garantire); innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni; gratuità completa della formazione.
Sono questi i punti salienti della proposta di legge che – con i gruppi parlamentari di “Alleanza Verdi-Sinistra” – abbiamo presentato il 25 gennaio a Montecitorio.
Un disegno di legge non estemporaneo (anche perché la scuola italiana è giustamente insofferente verso provvedimenti propagandistici, calati dall’alto), ma costruito in mesi di tavoli di lavoro, con le organizzazioni sindacali e professionali, degli insegnanti, degli studenti, dei genitori; il primo di una serie, per impostare una controffensiva politica e culturale nei confronti di un’ideologia selettiva, quantitativa e classista dell’istruzione, che ha radici in un trentennio di tagli e di crescente subalternità al mercato; e che vede, oggi, nelle parole e negli atti del Ministro Valditara, un ulteriore salto, fino a pensare – come nella letterina di Natale alle famiglie – la scuola come una sorta di società interinale.
Pensiamo ad un insieme di leggi che – attraverso la discussione parlamentare e nel Paese – consolidi un tessuto comune di lotte e di ribaltamento culturale; perché la scuola non è una selezione di bisognosi e di meritevoli, ma il principale strumento attraverso cui la Repubblica rimuove gli ostacoli alla crescita umana e civile, alla realizzazione di sé e di tutti e tutte; forma persone e cittadinanza attiva e consapevole, non «pezzi di ricambio» per la produzione e per lavori precari e sfruttati.
Può sembrare una banalità, ma non lo è: «Massimo 18 alunni per classe» (quindici nelle zone di educazione prioritaria), significa, non solo molti più docenti e più spazi, ma soprattutto mettere in condizione gli insegnanti di stare più vicini a generazioni sempre più in difficoltà; per la pandemia, certo, ma in particolare perché travolti da una tempesta digitale, che atomizza le relazioni e sposta in superficie i processi di conoscenza e di elaborazione.
Più tempo scuola, vuol dire, per esempio, lasciare meno sole le nuove generazioni, con le proprie difficoltà e fragilità; prendersene carico realmente e respingere la sottocultura della sorveglianza e della punizione (o, come dice il ministro, dell’umiliazione); zone prioritarie vuol dire invertire la tendenza a premiare aree più forti e aumentare, così, le diseguaglianze sociali e territoriali.
È un disegno di legge che, consapevolmente, costa; perché le trasformazioni serie e concrete costano e perché per l’istruzione, in Italia, non si spende troppo, ma troppo poco; stiamo parlando di oltre tre miliardi l’anno in più, necessari per il futuro libero e dignitoso di intere generazioni, in un Paese che ha – ogni anno – circa 100 miliardi di evasione fiscale; in cui sono state aumentate le spese militari per circa 120 milioni al giorno.
Il sistema dell’istruzione non è un problema degli “addetti ai lavori”; è una pietra angolare del modello di società e di umanità, un nodo delle democrazie, fin dalla loro nascita e ancor più nel vortice della loro crisi.
L’augurio è che su questa legge – e sulle altre cui lavoreremo, a partire dal superamento di questa pessima «alternanza scuola-lavoro» – maturi, anche nelle forze del centro sinistra, un disegno di cambiamento che non faccia i conti solo con le precipitazioni della destra, ma anche con gli errori e i cedimenti culturali che le hanno rese possibili.
* Responsabile Scuola e Università, nella Segreteria nazionale di Sinistra Italiana
I polveroni di Valditara sulle gabbie salariali e i privati nella scuola
IL CASO. Il ministro dell’Istruzione “e del merito” Giuseppe Valditara sonda il terreno sulle aziende in classe e la concorrenza tra i docenti. L’aumento dei salari? Un miraggio. Non occorre aspettare l’«autonomia differenziata» Basta dare un’altra spinta alla disgregazione attuale
Roberto Ciccarelli 27/01/2023
«Alla scuola pubblica mancano finanziamenti che potrebbero arrivare dal privato. E al nord il costo della vita è più alto: vanno trovate soluzioni per il personale scolastico di quei territori – dove è forte la mancanza di docenti – con i sindacati e le regioni». Lo ha detto Il ministro dell’«istruzione e del merito» Giuseppe Valditara, prima di ritrattare. Gabbie salariali? Ma quando mai. Fare entrare i privati nelle scuole? Mai detto. Bisogna abituarsi agli annunci del governo Meloni. È una tattica ed è quello che gli resta. Producono rumore mediatico, scandiscono le giornate all’inizio della settimana, durano il tempo del sottopancia in un talk show e non arrivano al week-end. Basta un «non l’ho mai detto così come dite voi» per ricominciare di nuovo, aprendo un altro file, la settimana successiva.
VALDITARA È UNO SPECIALISTA della materia. Sembra avere ricevuto la delega ai discorsi diffusi prematuramente, in maniera imprecisa o decontestualizzata, comunque ad arte attraverso discorsi improvvisati. O circolari ai docenti e agli studenti. Ricordiamo la rimozione del nazi-fascismo e il revisionismo storico sul comunismo prima, la pedagogia dell’umiliazione poi. Un altro esempio è la differenziazione degli stipendi per i docenti e il personale scolastico in base al costo della vita più alto al Nord che al Sud, oltre che al rendimento e alla funzione svolta, oppure il finanziamento della scuola da parte dei privati. Gli ultimi due annunci sono stati fatti mercoledì scorso.
TANTO RUMORE PER NULLA? Non proprio. Per due ragioni. La prima: queste uscite servono a saggiare le reazioni dell’opinione pubblica. A cominciare dagli oppositori. E a modulare l’ispirazione ideologica che guida l’azione del governo a seconda degli obiettivi. Nel caso di Valditara una solida impostazione conservatrice e reazionaria con il culto dell’impresa e del capitale. Elementi costitutivi delle nuove destre leghiste e post-fasciste, la sintesi di quello che è stato chiamato «neoliberalismo autoritario». Questa politica è marketing e la comunicazione veicola un posizionamento sul mercato elettorale.
GLI ANNUNCI di Valditara fanno parte di un progetto. Lui lo chiama «meritocrazia». Per ingraziarsi la divinità ha cambiato persino la dizione del suo ministero. Differenziare gli stipendi, in ciascuna scuola e non solo tra le regioni, significa valorizzare le «competenze», promuovere le «eccellenze», mettere in competizione gli «esperti» e i «non esperti». Pur di non aumentare i salari più bassi d’Europa si divide il mondo tra «meritevoli» e «non meritevoli».
QUESTA PERÒ non è una prerogativa solo del governo attuale. È l’uovo di colombo che rispunta da trent’anni. Prendiamo il contratto nazionale della scuola, peraltro non rifinanziato per il prossimo triennio. Valditara sostiene di non volerlo modificare. È sufficiente cambiarlo dall’interno, agevolando la politica attuale. Lo ha fatto Patrizio Bianchi, ex ministro del Pd nel governo Draghi. Ricordiamo il suo maldestro tentativo di creare i «docenti esperti»: nozione inventata per differenziare gli stipendi, in base sia al «merito» che all’autonomia di ogni scuola. In questa scia si inserisce anche un’altra proposta di Valditara sul «docente tutor»: «Saranno formati e pagati di più». La tentazione che attraversa la destra e la sinistra neoliberale è nata dallo stesso ceppo: l’«autonomia» scolastica di vent’anni fa ha incubato il processo di trasformazione della scuola in un «quasi mercato». La scuola è un laboratorio. Ciò che viene sperimentato qui vale per tutto il pubblico impiego. E non solo, evidentemente.
IN QUESTA CORNICE si spiegano le velleità di Valditara sui «professionisti aziendali» in classe, sulle «sponsorizzazioni», sulle «sinergie con il sistema produttivo». Sempre che esista un interesse imprenditoriale a partecipare alla vita di un istituto con la «società civile». Idee ricorrenti sin dai tempi di Luigi Berlinguer, smentite da anni. Cortine fumogene che nascondo l’elefante nella stanza. Invece di rifinanziare gli otto miliardi di euro tagliati da un governo Berlusconi nel 2008, in cui sono cresciuti i post-fascisti attuali, si cercano i soldi nelle imprese. Mentre i presidi dell’Anp chiedono di trasformare le scuole in fondazioni. Un altro modo per dividere le regioni, e gli istituti, «ricchi» da quelli «poveri».
NON OCCORRE aspettare la realizzazione del progetto leghista dell’«autonomia differenziata». Basta assecondare il processo di disgregazione, a cominciare da quello in corso nella scuola. Il paese è già a pezzi. Basta dargli un’altra spinta. Ancora uno sforzo.
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