PARTE NELLA SCUOLA LA RESISTENZA AI CAPITALISTI DIGITALI da IL MANIFESTO
Parte nella scuola la resistenza ai capitalisti digitali
IL CASO. Dalla protesta del liceo Albertelli di Roma contro l’uso dei fondi per la digitalizzazione imposta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a una mobilitazione più ampia: ieri il sit-in al Ministero dell’Istruzione a Roma. Al lavoro su un coordinamento, un convegno e una mozione per i collegi docenti
Luciana Cimino 27/06/2023
La riforma della scuola mascherata da digitalizzazione ha trovato una prima opposizione. Dalla protesta del Liceo Pilo Albertelli di Roma, dove il collegio docenti ha bocciato un finanziamento da 275 mila euro proveniente dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), è nata prima un’assemblea nazionale tenuta il 15 giugno scorso all’università Sapienza che ha visto la partecipazione di oltre 250 persone. Ieri la mobilitazione è continuata con un presidio al Ministero dell’Istruzione (e del «merito») al quale hanno partecipato anche studenti e docenti provenienti da Torino e da Napoli.
DAVANTI ALLE SCALE del ministero in viale Trastevere, in un sit-in che si è trasformato in una lezione in strada, hanno condiviso le esperienze del liceo artistico Frazzini di Varese e l’Iss Pascal di Roma, analoghe all’Albertelli. Padova, Torino e Napoli ad esempio. Gli interventi dei docenti, degli studenti e dei genitori hanno squadernato una forte critica al piano «Scuola 4.0» e all’impostazione ideologica del Pnrr.
LA MOBILITAZIONE ha inteso denunciare questa contraddizione: si stanziano i fondi del Pnrr per acquistare le macchine e i contenuti che dovranno essere veicolati con esse mentre si tagliano risorse per gli insegnanti e tutto il personale scolastico. Proprio loro che devono far crescere e formare ragazzi e ragazze attraverso l’accorpamento delle classi. «Il Piano Scuola 4.0 – hanno spiegato i genitori e i docenti dell’Albertelli – ci ha fatto capire che si confrontano due modelli di scuola. Quello digitale amplifica le differenze sociali. La scuola deve essere un luogo protetto di formazione critica per acquisire gli strumenti con cui affrontare il mondo, non un luogo di addestramento e adeguamento al lavoro e alle sue forme».
«LO STRAORDINARIO RIFIUTO ragionato del Liceo Albertelli è un rifiuto politico – ha detto Anna Angelucci, insegnante al Liceo Tacito di Roma e responsabile nazionale dell’associazione Scuola per la Repubblica – la digitalizzazione della scuola è la messa a punto di un processo di lunga data di dematerializzazione dell’insegnamento». «Ci danno un sacco di soldi per trasformare la scuola in una mega infrastruttura digitale che avrà ripercussioni sul profilo pedagogico e strutturale ma è nostro dovere chiederci se è necessario – ha continuato Angelucci – È con questo che risolviamo i problemi nella formazione dei giovani? È con questo che risolleviamo una istituzione massacrata? Abbiamo classi pollaio, scuole fatiscenti, soffitti che crollano, infissi inadeguati, non ci sono palestre, i servizi igienici sono indegni, non c’è personale per le aperture pomeridiane che sono indispensabili, la famigerata carta igienica continua a mancare ma dobbiamo spendere 7 miliardi per gli ambienti digitali».
«È UN RIFIUTO che va difeso e che dovrebbe essere seguito da tutte le scuole d’Italia – ha aggiunto Marcella Raiola, insegnante di latino e greco in un liceo di Napoli» «Per 30 anni hanno definanziato la scuola pubblica – ha commentato Francesco Locantore, docente dell’Iss Di Vittorio- Lattanzio di Roma – ora ci danno questi soldi per nascondere quella che è in realtà una riforma strutturale della scuola che denota un disprezzo per le nuove generazioni, una volontà di tornare indietro alle classi differenziali per gli studenti fragili e tenere il ritmo delle eccellenze. Una visione classista dell’istruzione in cui i figli dei lavoratori non sono destinati all’università. Qui si rompe la democrazia scolastica disgregando il corpo docente».
Renata Puleo (Alas): «Oltre il Pnrr, a scuola con un’idea cooperativa della tecnologia»
INTERVISTA. Parla Renata Puleo, già dirigente scolastica e oggi socia dell’Associazione lavoratori scuola (Alas) che partecipa alla mobilitazione contro la digitalizzazione imposta dal piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): “Serve una critica all’uso capitalistico delle piattaforme digitali impiegate anche nella didattica in funzione di una loro concezione democratica, solidale e conviviale”
Roberto Ciccarelli 27/06/2023
Renata Puleo, dirigente scolastica fino al 2011, oggi ricercatrice e socia fondatrice dell’Associazione lavoratori scuola (Alas), qual è il significato della protesta del liceo romano Albertelli che ha respinto i fondi per la digitalizzazione stanziati dal progetto «Scuola 4.0» del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)?
È un’esperienza importante perché pone il problema di un altro rapporto tra la scuola e le macchine digitali. La protesta ha diversi aspetti. Il primo è legato alla gestione di fondi che arrivano in proporzione diverse a seconda della popolazione scolastica e devono essere spesi secondo le indicazioni del ministero dell’Istruzione. Docenti, genitori e studenti sostengono che questi soldi dovrebbero essere usati per altri scopi: aggiustare gli edifici, creare classi meno affollate, stabilizzare i precari, per esempio. La digitalizzazione della didattica si inserisce in un processo che ha già visto l’adozione del piano dell’informatica negli anni Novanta. Dopo è arrivato il registro elettronico che oggi può essere usato dai genitori per controllare i figli, rompendo il tacito patto tra gli studenti e i docenti. Con la pandemia il lavoro che questi ultimi hanno fatto per organizzare una didattica a distanza è stato sussunto dalle piattaforme digitali proprietarie, a cominciare da Google. È stato metabolizzato e rivomitato nelle scuole come materiale originale inventato da queste aziende.
Qualcuno potrebbe dire che si tratta di luddismo. Cosa rispondete?
Più che altro questa è una critica all’uso capitalistico della tecnologia in funzione di una sua concezione cooperativa, solidale e conviviale. Ma voglio cogliere la provocazione e rilanciarla. Dato che è inevitabile usare le macchine parlerei al limite di un «luddismo riflessivo». Si tratta cioè di imparare a governare le macchine e il tempo. Non è la macchina che gestisce il mio tempo, ma sono io che decido quando la macchina mi serve.
Si parla anche di diffondere l’uso del software libero nelle scuole. Crede sia possibile farlo oggi?
Non sono un’informatica, come tutte le persone della mia generazione sono approdata tardi all’uso delle tecnologie digitali. Ma conosco la storia e i problemi del software libero. Al fondo mi sembra che ci sia un problema di cambio di una mentalità strutturata, non solo nei giovani, ma anche negli adulti. Il trattamento amichevole che riserva Google, o lo stesso registro elettronico, è seduttivo, mentre il software libero ha bisogno di formazione. Dev’essere più semplice da usare, è vero. Ma è questo che andrebbe insegnato nella scuola. L’accesso e gli strumenti tecnici ed intellettuali vanno garantiti a tutti. In fondo i docenti affrontano problemi assai complessi, è il loro lavoro. Che va valorizzato e riconosciuto diversamente da quanto accade oggi. La cooperazione con gli studenti potrebbe sviluppare le tecnologie liberate. Sarebbe un modo per garantire il ruolo democratico e pluralistico della scuola pubblica.
Quali sono gli obiettivi della mobilitazione alla quale partecipate?
Cercare di mantenere i collegamenti tra scuole, docenti, genitori e studenti organizzando un coordinamento sulla digitalizzazione problematica del Pnrr. E poi lavorare sul dialogo istituito all’Albertelli, e in altre scuole in Italia, tra il consiglio di istituto, quello dei docenti e le organizzazioni studentesche su questo e altri problemi. Dalla pandemia la vita democratica nella scuola sembra che si sia spostata online. Sempre meno è possibile usare le assemblee sindacali (quando si tengono) per fare informazione. Non è facile quando quasi tutto il sistema mediatico è indifferente o attacca chi critica la trasformazione neoliberale che ha investito la scuola e il mondo della riproduzione sociale. E propone di sperimentare le alternative. Oggi è importante restare svegli.
Liceo rifiuta i fondi Pnrr: «Così si snatura la scuola»
ALL’ALBERTELLI DI ROMA. Docenti e genitori bocciano due piani previsti da Scuola 4.0 per formare esperti del web dal valore di 300mila euro. «La proposta che abbiamo respinto serviva a formare acritici operai del digitale disinvestendo sulla didattica»
Luciana Cimino 24/05/2023
Esperti in Video Making, Produttori di Musica Digitale, Curation Manager (cura le nuove uscite nelle playlist, sic), Digital Curator, Social Media Manager, Social Media Editor, Digital Media Curator». Questo testo non è tratto dalle offerte degli istituti di formazione professionale privati ma fa parte dei progetti che lo storico liceo classico della Capitale, Pilo Albertelli, dove studiò Enrico Fermi, voleva finanziare con il Pnrr, come dettato dal piano Scuola 4.0.
Un programma di spesa voluto fortemente dal dirigente Antonio Volpe ma avversato da tutta la comunità scolastica tanto che non solo il consiglio d’istituto ma anche il collegio docenti di ieri sera, convocato solo dopo la mobilitazione di genitori, docenti e studenti, lo ha bocciato. Ora torna tutto in discussione: il collegio ha deciso di creare una nuova commissione per la stesura di progetti più aderenti alla necessità reali della scuola come il potenziamento dei laboratori di chimica, fisica e informatica e la digitalizzazione dell’antica biblioteca.
«Abbiamo fatto muro perché era una riforma della scuola nascosta, in cui veniva snaturato il liceo classico, e ci hanno accusato di essere dei pazzi che si opponevano alla modernizzazione, ora speriamo che altri istituti ci seguano», hanno detto i docenti dopo la vittoria in collegio. Tuttavia si potranno apportare ben poche modifiche, visto che Scuola 4.0 prevede regole stringenti.
Già il comitato dei genitori del Pilo Albertelli aveva contestato punto per punto i progetti del preside attraverso un documento pubblico molto accurato che spiegava come quei soldi, circa 300 mila euro, non sarebbero stati usati per la ristrutturazione delle aule o della palestra ma per i summenzionati corsi sulle piattaforme social e per l’acquisto di «digital board, tablet e stampanti al fine di trasformare le aule scolastiche in “ambienti ibridi” di apprendimento». Questo in una scuola già dotata di 41 smart TV, 7 proiettori, 49 pc notebook, 41 pc desktop.
I due progetti, chiamati «Next Generation Labs» e «Next Generation Classroom», erano stati elaborati a febbraio scorso dallo stesso preside (con una parte generale mutuata da Futura, la piattaforma che gestisce il Pnrr per “Scuola 4.0”) ma erano stati portati a conoscenza del consiglio di istituto solo a fine aprile, quando sono stati bocciati.
«Era necessario un voto contrario, nell’interesse formativo dei nostri figli e per difendere il ruolo che la Costituzione attribuisce alla scuola», spiega Francesco Paolo Caputo, rappresentante dei genitori, «la proposta che abbiamo respinto serve a formare acritici operai del digitale disinvestendo sulla preparazione necessaria per comprendere la complessità del mondo».
«Tramite Labs si scardina e svilisce il lavoro sistematico con una visione che inchioda le giovani generazioni al ruolo di “forza-lavoro” priva di qualsiasi autonomia, tramite Classrooms si punta a disarticolare il gruppo-classe», sintetizza un altro genitore, Mauro Giordani. «Il fatto che le scuole abbiano a disposizione queste somme ingenti da investire in materiale tecnologico serve in primo luogo a chi produce e commercia questo materiale».
Per Caputo e gli altri rappresentanti dei genitori, non si trattava di «un finanziamento per dotazioni tecnologiche ma di un progetto di stravolgimento della scuola che si focalizza sull’aspetto professionale, con i Labs, e su quello accattivante e ludico, con le Classrooms, a danno della didattica e della democrazia interna». «Dall’edilizia al precariato, tanti sono i problemi che meriterebbero interventi ma di questi non ci si interessa perché non creano profitto» aggiunge Tommaso, membro della Consulta degli studenti della Regione Lazio e del Collettivo Osa che lunedì scorso era in presidio sotto l’istituto.
Finora, su 8.230 istituti italiani la quasi totalità ha accettato i fondi Pnrr. Tuttavia la vicenda dell’Albertelli ha creato un precedente sull’utilizzo dei fondi Scuola 4.0 e potrebbe avere un seguito in altre scuole della capitale, e non solo.
No Comments