Le parole vuotate e scippate. Carteggio tra Scandurra, Fiorentini e Bianchi
Da officina-dei-saperi@googlegroups.com –
26 settembre 2016
A margine della riunione svoltasi a Roma [22 settembre, n.d.r.], ho riflettuto su una delle più gravi corrosioni e manipolazioni prodotte dal neoliberismo, che chiamerei: lo svuotamento della parola e il suo capovolgimento di senso.
Faccio solo un esempio: la parola (nobile) competizione.
Non sono un latinista (e pertanto mi scusino gli addetti ai lavori), ma mi sembra che essa provenga dal latino cum-petere, ovvero: concorrere insieme, andare, dirigersi verso, incontrarsi.
Oggi essa è diventata il mantra del neoliberismo, ma con un significato opposto: lotta di ognuno contro tutti, distruzione dell’avversario (diventato il nemico), e perfino sua eliminazione fisica.
Altre e molte sono le parole manipolate e svuotate del loro significato originario, per esempio: merito, ecc.
E visto che le parole sono cose (a differenza di quanto afferma la ministra Lorenzini), forse potremmo dedicare una parte del sito alla discussione intorno a questa grande manipolazione, che poi è il modo attraverso il quale produciamo e interpretiamo il mondo e noi stessi nel mondo.
Enzo Scandurra
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26 aprile 2016
Caro Scandurra,
parole sante. Questa è una necessità fondamentale: far ritrovare ai termini il loro significato originale, demistificando la torsione di senso che questa nostra epoca infelice ha impresso loro.
È un’opera titanica perché si scontra con ostacoli enormi. Ma ognuno di noi, ciascuno nel suo piccolo, dovrebbe impegnarsi (io almeno ci provo…).
Un saluto a tutta l’Officina.
Mario Fiorentini
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26 aprile 2016
Sposo con molta gioia la proposta di Enzo: ha sintetizzato un tema a cui sto pensando da tempo. La necessità di restituire alle parole l’ampiezza dei significati, contro l’operazione (funzionale al capitale) di occultarne la ricchezza credo debba essere uno dei temi a cui Officina dovrebbe dedicare molta attenzione.
L’esempio di Enzo è affiancato a “concorrenza” e “concorrere”, in cui solo raramente (in lingua italiana) si riconoscono i due significati di “correre con” e “correre contro”; in inglese (e non me ne voglia Giorgio Pagano) “concurrent” è usato nella pienezza della sua ambiguità.
Ma oltre all’uso delle singole parole, allo scippo che ne è stato fatto, ciò che mi interessa è l’aspetto legato alle diverse discipline in cui una parola è usata, anche per riuscire a capirci tra di noi. Se vogliamo considerare il sapere come sistema ecologico dobbiamo intenderci. A titolo esemplificativo per il momento mi riferisco a due cose da poco: “tempo” e “complessità”.
Senza voler citare la frase da baciperugina di Agostino da Ippona, mi interessa cosa si intende per tempo in un certo contesto. Se prendiamo la fisica, fino alla fine dell’Ottocento faceva riferimento a un senso intuitivo di tempo. Quella era una fisica bella, elegante, molto legata alla realtà sensibile, facile (la si riesce a studiare in qualsiasi liceo del regno), ma insufficiente.
Poco dopo arriva Einstein e il tempo cambia, oltre ad essere banalmente relativo, si curva (e già qui io comincio ad avere problemi); con la meccanica quantistica poi la cosa si complica ulteriormente (con il tempo di Planck o con quello di Heisenberg mi sono rotto la testa, ma non l’ho mai capito).
Da informatico mi trovo chiaramente più a mio agio con il tempo definito da Leslie Lamport: una successione parzialmente ordinata di eventi osservabili e (computazionalmente) significativi in un sistema.
(Torniamo alla concorrenza: secondo Lamport due eventi a e b sono detti “concurrent” quando NON è vero che a avviene prima di b E NON è vero che b avviene prima di a).
Ora, se rileggo la discussione su Officina di alcuni mesi tra Luigi Vavalà e Anna Maria Riviello sul tempo libero e di lavoro (o: non lavoro), vedo che Vavalà riferendosi al tempo nella stessa accezione di Marx (cioè basato sul tempo della fisica ottocentesca) fa un discorso “di buon senso”, ma legato a una realtà fisica scomparsa; Riviello oppone obiezioni scientificamente fondate su un modello nuovo (quello dei sistemi distribuiti). Per quanto a me caro, non necessariamente corretto!
Sulla “complessità”, parola che tutti quanti amiamo, vale un discorso analogo: siamo tutti d’accordo sul suo significato se la guardiamo a un alto livello di astrazione, a es. possiamo condividere quanto scrive sul tema Laura Marchetti nel saggio che ci ha spedito un paio di settimane fa Piero: è «il tessuto fatto di tanti fili diversi, che si intrecciano e diventano uno».
Ma se scendiamo, dobbiamo chiarire quei fili, non per “ridurli”, ma proprio per capire il tessuto. Immagino però che se facessimo un sondaggio in Officina potremmo dare una dozzina di definizioni diverse di “complessità”: quella dei sociologi, dei biologi, dei fisici, dei matematici, etc.; nella sola informatica se ne distinguono tre o quattro!
Sì, Enzo, credo che ci sia tanto da fare e tanto da divertirci,
Alessandro Bianchi
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