NESSUNA OCCUPAZIONE SENZA CRESCITA da IL MANIFESTO
Uno tsunami occupazionale può essere un boomerang per la ripresa
Licenziamenti. Abbiamo bisogno di una spinta occupazionale, ma affinché questa sia efficace serve un ripresa dell’economia. Se non c’è crescita non c’è occupazione
Ho trovato sbagliata, spropositata e fuori luogo la polemica che ha colpito il ministro Andrea Orlando. La sua proposta di un prolungamento del blocco dei licenziamenti fino ad agosto, cioè di appena due mesi oltre l’attuale scadenza prevista a fine giugno, era assolutamente sensata e, a mio avviso, ancora necessaria. Si sono alzati scudi e steccati non in modo argomentato, ma pregiudiziale. La mediazione di Draghi ha aggiustato momentaneamente la situazione. Ma questa intesa può essere ulteriormente migliorata nel corso dell’esame parlamentare e attraverso il confronto con le parti sociali.
Le tutele destinate a imprese e lavoratori, soprattutto nel passaggio dalla crisi alla ripartenza, devono funzionare come un abito su misura. Infatti, in questa transizione si rende necessario un accompagnamento graduale, una “presa in carico” di chi rischia di essere licenziato, e non una cesura perché una brusca interruzione delle tutele potrebbe esporci al rischio di uno tsunami occupazionale che potrebbe oscurare la prevista ripresa da + 4%. Lo ha rilevato anche la Conferenza Episcopale Italiana suggerendo saggiamente di non chiudere all’improvviso l’ombrello delle tutele. Una soluzione più avanzata e soddisfacente si può e si deve trovare.
Da quando è iniziata la pandemia lo scambio tra impresa e lavoro è risultato semplice: da un lato lo Stato ha assicurato la cassa Covid, praticamente gratuita, che viene erogata anche alle aziende con un solo dipendente; dall’altro le imprese, in cambio, hanno accettato il blocco dei licenziamenti. Prorogare blocco e cassa Covid di altre otto settimane, a partire dal primo luglio, azzerando il contatore della Cig, equivale a una spesa inferiore al miliardo di euro, secondo i calcoli del Centro Studi di Lavoro & Welfare: una cifra assolutamente compatibile con la massa di risorse fin qui mobilitate. L’iniziativa assumerebbe anche un grande significato sociale. Personalmente, ho sempre creduto all’allineamento temporale e alla sincronia tra questi due provvedimenti.
Conti alla mano, analizzando tutte le misure messe in campo dall’inizio della pandemia tra interventi, manovre, scostamenti e decreti, al titolo ‘imprese’ sono andati più di 108 miliardi, mentre al titolo ‘lavoro’ poco più di 37, dei quali 20 di cassa Covid. Questa cifra potrebbe essere ulteriormente ritoccata: basterebbe un miliardo in più di Cassa Covid per garantire a tutti un passaggio più tranquillo e non traumatico, una sorta di ponte di collegamento tra crisi e ripartenza.
A marzo dell’anno scorso eravamo in pieno boom pandemico e ad aprile è cominciata la repentina salita della Cassa Integrazione, arrivata in quel mese a oltre 855 milioni di ore. Rispetto ad allora, si registra un crollo del 76%: infatti, aprile 2021 totalizza 204 milioni di ore autorizzate, con un prevedibile calo nei mesi successivi. Se aggiungiamo che luglio e agosto offrono possibilità sostitutive, come le ferie e che il consumo reale delle ore autorizzate (tiraggio) è, secondo l’Inps, del 42%, prolungare la Cassa Covid di due mesi non dovrebbe risultare particolarmente complesso.
Sappiamo che storicamente in Italia è più semplice procedere con la tutela passiva piuttosto che con quella attiva, soprattutto dopo l’indebolimento dei centri per l’impiego. Mi sembra però che il ministro Orlando stia lavorando bene. Penso all’abbassamento fino ai 100 dipendenti del contratto di espansione o alla nuova forma di contratto di solidarietà per chi riduce l’attività e l’orario senza ricorrere alla Cig.
È una azione che si muove su un doppio registro: tracciare un nuovo orizzonte, che è il compito del tavolo sugli ammortizzatori sociali, e intervenire sull’emergenza. Abbiamo bisogno di una spinta occupazionale, ma affinché questa sia efficace serve un ripresa dell’economia. Se non c’è crescita non c’è occupazione. Il Pnrr deve essere l’occasione per un cambio di paradigma del modello di sviluppo.
Diciamo che di macellai sociali ne abbiamo avuti tanti e non vedo perché dovremmo aggiungerne di nuovi avendo una massa enorme di risorse da gestire. Alla crisi del 2008 seguì una nuova onda liberista, come ben sa il Sud dell’Europa, dalla Grecia al Portogallo. Mi viene in mente il comico Ettore Petrolini che diceva: “I soldi bisogna prenderli dove ci sono. Dai poveri, perché è vero che ne hanno pochi, ma sono tanti’. Ecco, se qualcuno è disposto a lasciare per strada migliaia di disoccupati solo per vedere dove sono le maggiori criticità dei settori produttivi, dico che questo ragionamento mi fa ribrezzo.
All’interno della attuale maggioranza sicuramente il lavoro è terreno di scontro. E c’è voluta non poca fatica a togliere il massimo ribasso dalla “semplificazione” del Codice degli appalti. Quando l’offerta è inferiore al 50% è inevitabile che le tutele saltino, che il lavoratore sia pagato in tutto o in parte in nero, che la concorrenza sia sleale. Senza dimenticare la mano della malavita: massimo ribasso e riciclaggio di denaro vanno a braccetto.
Per un nuovo paradigma economico occorre che la transizione di Draghi non sia solo quantitativa, ma qualitativa e, soprattutto, attenta alla questione sociale e alle nuove fragilità emerse dalla crisi.
La protezione dei lavoratori nei paesi europei di fronte alla crisi post Covi
Misure straordinarie. In Francia 12,5 milioni di persone sono state pagate grazie al Plan France Relance
Le politiche che riguardano l’occupazione e il sociale sono di competenza nazionale nella Ue, quindi la Commissione non interviene, se non con eventuali «raccomandazioni». Ma ultimamente, con la crisi post Covid, Bruxelles ha messo in atto un meccanismo per aiutare i paesi più colpiti ad assorbire lo choc, per favorire la creazione o l’estensione di dispositivi nazionali di protezione dei lavoratori: il programma Sure (Support to Mitigate Unemployment Risks in an Emergency), dotato di circa 100 miliardi e 18 paesi sono interessati, dalla Francia alla Polonia, passando per Italia, Spagna, Portogallo, Romania, Belgio, Grecia (non la Germania).
Nel periodo Covid ne hanno beneficiato 25-30 milioni di lavoratori nella Ue, 1,5-2,5 milioni di imprese hanno avuto accesso al programma, che prevede garanzie e prestiti (con rimborsi a lungo termine). Accanto a Sure, la Commissione ha messo in atto misure per il lavoro dei giovani, una «garanzia giovani», investimenti per formazione ecc., oltre a una riflessione più generale su una base comune di diritti sociali nella Ue.
Ma le politiche sociali restano nazionali. I paragoni sono quindi complicati. I paesi hanno generalmente messo in atto misure straordinarie, per evitare l’abbattersi della crisi sui lavoratori, con più o meno generosità. Il ricorso a meccanismi simili alla Cig italiana sono in corso in molti altri paesi, ognuno con le proprie specificità.
La Francia è il paese che è intervenuto più massicciamente, 12,5 milioni di lavoratori del settore privato sono stati pagati dallo stato grazie al Plan France Relance dotato di 100 miliardi e il meccanismo resta in vigore fino all’autunno per i settori ancora in crisi, mentre per gli altri da questo mese c’è una progressiva diminuzione della percentuale di rimborso dei salari. In Francia chomage partiel è un sistema alternativo ai licenziamenti, che sono esclusi se c’è stato ricorso all’Apdl (attività parziale di lunga durata), concesso nel caso di una perdita di almeno il 40% dell’attività, per una durata di 24 mesi: questo meccanismo ha evitato la disoccupazione di massa e il livello di reddito dei lavoratori è stato mantenuto (salari pagati fino al 100%), ma oggi la principale preoccupazione dei sindacati è per quello che succederà quando il meccanismo avrà fine e le imprese dovranno ricominciare a navigare nel mercato con le proprie forze.
L’intervento massiccio dello stato è stato accompagnato da alcuni vincoli, come l’obbligo per le imprese di impegnarsi a una diminuzione di emissioni di gas serra.
In Germania, il Kurzarbeit ha permesso di pagare i salari al 60% e più per certi settori e la fase eccezionale resta in vigore fino a fine anno. Qui i licenziamenti sono possibili nel periodo del Kurzarbeit solo per motivi diversi da quelli che hanno portato al lavoro parziale. La Cig in Olanda si chiama Now (1,2 e 3) e scatta dalla diminuzione del 20% di attività. I licenziamenti sono proibiti per Now 1 e Now 2, mentre sono possibili nel caso di Now 3, ma il datore di lavoro deve comunque impegnarsi ad aiutare il dipendente a trovare un altro posto di lavoro.
In Svezia il Korttdarbete, che scatta con la diminuzione del 20% dell’attività, non ha misure specifiche sui licenziamenti. In Spagna, l’Erte, che garantisce il 70% del salario, esclude i licenziamenti durante il periodo della sua applicazione e per 6 mesi dopo la ripresa dell’attività normale. In Portogallo i licenziamenti sono proibiti durante l’applicazione del dispositivo di protezione del lavoro e per i 60 giorni seguenti la sua fine e il ritorno alla normalità.
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