UN’INTESA SULLA PELLE DEI MIGRANTI da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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UN’INTESA SULLA PELLE DEI MIGRANTI da IL MANIFESTO

Meloni-Ue: con Saied un memorandum di carta

COMMENTI. La firma del Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione europea per un «nuovo partenariato per affrontare la crisi migratoria», è un «modello» nelle relazioni con i paesi nordafricani, secondo […]

Fulvio Vassallo Paleologo  18/07/2023

La firma del Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione europea per un «nuovo partenariato per affrontare la crisi migratoria», è un «modello» nelle relazioni con i paesi nordafricani, secondo quanto sostenuto dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, rimane all’interno di vecchie logiche, improntate alla cosiddetta «condizionalità migratoria», già lanciate in Europa ai tempi di Sarkozy, ma che oggi hanno dimostrato un fallimento completo. Come del resto si era già dimostrata una prospettiva perdente lo scambio tra una manciata di ingressi legali ed una maggiore disponibilità nelle politiche di rimpatrio forzato, già al centro degli accordi conclusi nel 1998 da Napolitano con la Tunisia di Ben Alì.

La Tunisia beneficiava già, dopo l’Accordo di Associazione (firmato dalla Tunisia – primo dei Paesi dell’area – già nel 1995 ed entrato in vigore nel 1998 di aiuti da parte dell’Unione Europea con il cd. Strumento Europeo di Vicinato e Partenariato (ENPI), che fornisce assistenza ai Paesi destinatari della Politica Europea di Vicinato. Il Piano Indicativo Nazionale 2011-2013, ad esempio, stanziava a favore della Tunisia 240 milioni di euro destinati a riforme politiche per democrazia, diritti umani, stato di diritto e buon governo; gestione dei flussi migratori e dell’asilo, lotta al crimine organizzato, al terrorismo e al riciclaggio; sviluppo di condizioni propizie all’investimento privato; sviluppo sostenibile ambientale, sociale ed economico; sostegno all’istruzione, alla formazione superiore e alla ricerca; rafforzamento dei programmi sociali; agevolazioni per lo scambio di beni e servizi; sviluppo dei trasporti, del settore energetico e della società dell’informazione. Oggi siamo rimasti a questa stessa generica enunciazione di principi.

La «linea Meloni sulle migrazioni», dunque, non è affatto nuova. Si possono ricordare il Processo di Khartoum ed i Migration Compact lanciati da Renzi nel 2014 alla fine dell’operazione Mare Nostrum. Oppure si può paragonare il Memorandum d’intesa concluso da Gentiloni e Minniti con il governo di Tripoli nel febbraio del 2017, o gli accordi intergovernativi del 2016 tra gli Stati europei e la Turchia, con il Memorandum d’intesa concluso ieri tra la Tunisia e l’Unione Europea.

Non ci sono nuovi impegni operativi vincolanti, ma solo dichiarazioni di principio, che adesso, come ha dichiarato la Meloni «dovranno essere messe a terra». Forse si spera in ulteriori progressi con la visita a Roma del ministro dell’interno tunisino prevista per i prossimi giorni, o con la Conferenza dei capi di governo africani che la Meloni ha indetto per domenica 23 luglio a Roma.

Manca di certo nel Memorandum d’intesa l’obiettivo principale che si proponeva il governo italiano: la possibilità di riportare in Tunisia, dopo «procedure accelerate in frontiera» i migranti sub-saharani arrivati in Italia dopo essere transitati da quel paese. In Tunisia non hanno ancora dimenticato l’esperienza fallimentare, un vero disastro umanitario, che si verificò dal 2011 al 2013, quando in collaborazione con l’Unhcr venne istituito il campo di transito di Choucha, vicino a Ben Guardane, alla frontiera con la Libia. Saied ha imposto nel Memorandum la clausola secondo cui la Tunisia non diventerà piattaforma per i rimpatri dall’Unione europea, ed ha ottenuto invece una promessa di supporto dall’Unione europea, per i respingimenti collettivi che già sta attuando verso i paesi confinanti.

Non si vede però come l’Unione Europea, anche attraverso Frontex, possa partecipare con il supporto finanziario, se non operativo, ad operazioni di intercettazione in mare o di rimpatrio forzato in violazione del divieto di respingimenti collettivi o degli obblighi di soccorso e di sbarco in un porto sicuro affermati dal Regolamento UE n.656 del 2014. La Tunisia non è oggi un «paese terzo sicuro» per la maggior parte degli Stati membri dell’Ue.

Le prassi attuate dalla polizia tunisina ed i respingimenti collettivi nel deserto, ai confini con la Libia e l’Algeria, sono in contrasto con gli standard minimi di tutela dei diritti fondamentali della persona sanciti dalle Convenzioni internazionali. La collaborazione nelle attività di ricerca e salvataggio (SAR) con le autorità tunisine non si potrà certo risolvere nella delega di ulteriori respingimenti collettivi, sempre che la guardia costiera tunisina voglia davvero riportare a terra tutti i migranti subsahariani in fuga verso l’Europa.

Quello che continua a mancare è una vera organizzazione di ricerca e soccorso europea che costringa gli Stati costieri a salvare vite umane ed a garantire un porto di sbarco sicuro. Una maggiore «effettività» delle politiche di rimpatrio, in assenza di consistenti canali legali di ingresso in Europa e di possibilità realistiche di evacuazione dei migranti sub-sahariani, come pure un contrasto più violento dei tentativi di attraversamento del Mediterraneo, non potranno che fare esplodere altro conflitto sociale in Tunisia e travolgere le sue relazioni con i paesi dell’area subsahariana, come la Costa d’Avorio ed il Gambia.

Un’intesa sulla pelle dei migranti

MEMORANDUM UE-LIBIA. La Tunisia si aggiunge alla lista dei regimi con cui l’Ue tratta per fermare i barconi

Leo Lancari  18/07/2023

E tre. Dopo la Turchia e la Libia l’Unione europea aggiunge anche la Tunisia alla lista dei regimi con cui è disposta a trattare pur di impedire l’arrivo dei migranti in Europa. Regimi che potrebbero essere quattro se si considera anche la Libia orientale controllata dal generale Haftar, accolto solo due mesi fa a Roma dalla premier Giorgia Meloni. Per rendere quindi più «sicure» le sue frontiere, Bruxelles blinda a suon di milioni di euro quelle dei paesi mediterranei riservandosi di estendere il «modello» Tunisia (la definizione è della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e di Meloni) ai paesi di origine dei migranti. Cosa che sembra essere uno degli obiettivi ai quali punta la conferenza internazionale sull’immigrazione che si terrà il 23 luglio a Roma.

Al di là dei soliti proclami di vittoria con cui in Italia e a Bruxelles si saluta la fine di una trattativa durata più a lungo del previsto, l’intesa siglata domenica scorsa nel palazzo presidenziale di Cartagine tra Giorgia Meloni, von der Leyen e il premier olandese Mark Rutte con il presidente Kais Saied rappresenta sicuramente una vittoria per quest’ultimo. L’Ue verserà alla Tunisia 150 milioni di euro entro quest’anno a sostegno del suo bilancio, più altri 105 milioni, sempre entro il 2023, perché rafforzi i controlli delle sue coste, intercetti i barconi carichi di migranti e li riporti indietro. Il lavoro sporco che in Libia fa la cosiddetta Guardia costiera di Tripoli. Per questo Bruxelles è già pronta a fornire a Tunisi 17 imbarcazioni riequipaggiate più altre otto nuove finanziate – stando a quanto riferito da una fonte Ue – con il budget europeo per il 2023. Prevista anche la fornitura di droni alle autorità tunisine. Inoltre dall’Europa verranno rimandati indietro solo migranti irregolari di origine tunisina (operazione per la quale sono previsti 50 dei 105 milioni stanziati per le gestione delle frontiere) e non tutti coloro che sono passati nel paese nordafricano prima di approdare in Europa, come invece previsto dalle modifiche al patto immigrazione. Punto sul quale Saied ha insistito fin dall’inizio ribadendo di non voler trasformare la Tunisia in un paese di «insediamento di migranti» irregolari.

Resta la questione del rispetto dei diritti umani. Da settimane la Tunisia è scenario di una caccia al migrante subsahariano che ha visto uomini, donne e bambini cacciati dalle loro abitazioni e deportati verso i confini con Libia e Algeria senza che il presidente facesse nulla per mettere fine alle violenze. Nel memorandum c’è un impegno scritto al rispetto del diritto internazionale da parte della Tunisia, il cui valore è tutto da verificare. Nel 2020, quando si trattò di rinnovare il Memorandum tra Italia e Libia, l’allora premier libico Fayez al Serraj consegnò a Luigi Di Maio, all’epoca ministro degli Esteri, un documento nel quale la Libia si impegnava a rispettare le convenzioni internazionali garantendo protezione ai migranti. Quanto quella promessa sia stata mantenuta è sotto gli occhi di tutti.

Saied si comporterà diversamente? Ieri Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ha chiesto agli Stati che sono anche membri dell’Ue di «fare pressioni per un chiarimento immediato sulle garanzie per i diritti umani che saranno messe in atto». Certo è che le premesse lasciano spazio a più di un dubbio. Domenica infatti, durante la conferenza stampa con Meloni, von der Leyen e Rutte, il presidente tunisino non si è fatto scrupolo di accusare le ong locali di fornire informazioni false sulle violenze subite dai migranti.
Il memorandum di intesa, che oltre all’immigrazione riguarda anche l’economia, il commercio e la transizione energetica, verrà adesso discusso nel prossimo consiglio europeo dagli altri Stati membri che dovranno approvarlo all’unanimità. Passaggio delicato, visto che nelle scorse settimane più di un paese, specie del nord Europa, non avrebbe nascosto dubbi sul finanziare il regime tunisino.

Resta, infine, ancora sospeso il prestito da 1.9 miliardi di dollari che il Fondo monetario internazionale dovrebbe concedere alla Tunisia in cambio di una serie di riforme economiche che vanno dalla cancellazione delle sovvenzioni per pane e benzina, alla vendita di gran parte delle aziende pubbliche con relativo taglio del personale. Riforme che fino a oggi Saied si è sempre rifiutato di avviare.

Meloni-Ue-Saied: un accordo nel disprezzo dei diritti umani

COMMENTI. L’accordo di domenica col presidente tunisino Kaïs Saïed è, per molti versi, una fotocopia del Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia promosso nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti

Riccardo Noury *  18/07/2023

La politica estera dell’Unione europea è dominata da un interesse e da un’ossessione, a scapito della tutela e della promozione dei diritti umani.

L’interesse è legato alle risorse, l’ossessione (che nasce dalla politica interna e che quella estera esegue) riguarda l’immigrazione.

Questo è particolarmente vero nelle relazioni con la sponda sud del Mediterraneo: vogliamo il pesce dal Marocco (o meglio dalle acque del Sahara occidentale occupato, e chissà che la Corte di giustizia dell’Unione europea, proprio per questo motivo, non si metta di traverso) e gli idrocarburi da Algeria ed Egitto. Paghiamo da tempo la Libia e, ora, la Tunisia perché fermino le partenze dei migranti e dei richiedenti asilo.

L’accordo di domenica col presidente tunisino Kaïs Saïed è, per molti versi, una fotocopia del Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia promosso nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti. Il suo obiettivo, adottato entusiasticamente dal governo italiano, è quello di risolvere la nostra ossessione: soldi in cambio di controllo delle frontiere, soldi per pattugliare le acque territoriali, soldi per migliorare il sistema di ricerca e soccorso in mare (una formula orwelliana che si traduce: intercettare e riportare a terra), soldi per favorire i rimpatri dei tunisini arrivati irregolarmente in Europa, soldi infine per facilitare i ritorni, dalla Tunisia verso paesi terzi, di cittadini non tunisini.

Nell’accordo col presidente tunisino Saïed non manca, naturalmente, quella «retorica dei diritti umani» che serve a tranquillizzare le inquietudini di facciata: si cita, infatti, peraltro in modo del tutto vago, il rispetto dei diritti umani e delle norme del diritto internazionale.

Nelle fitte interlocuzioni di questi mesi con Tunisi, nessuno ha fatto presente a Saïed che le norme interne e internazionali sui diritti umani, a partire dall’estate del 2021, le ha progressivamente smantellate lui: un profondo giro di vite nei confronti del dissenso pacifico e della libertà d’espressione (gli oppositori indagati e, in alcuni casi, agli arresti, sono una settantina), l’annullamento delle garanzie sull’indipendenza del potere giudiziario e, da ultimo, all’inizio dell’anno, il ricorso al discorso d’odio, che ha generato un’ondata di violenza contro i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati dell’Africa subsahariana.

Ricordiamo le parole pronunciate da Saïed il 21 febbraio, durante una riunione del Consiglio per la sicurezza nazionale: «Orde di migranti irregolari provenienti dall’Africa subsahariana [sono arrivati in Tunisia] con la violenza, i crimini e i comportamenti inaccettabili che ne sono derivati»; una situazione «innaturale», parte di un disegno criminale per «cambiare la composizione demografica» e trasformare la Tunisia in «un altro stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico». Nessuno stupore se, immediatamente dopo, folle di facinorosi sono scese in strada aggredendo «i neri». Decine e decine sono stati arrestati e poi espulsi. Per arrivare agli ultimi giorni, quando centinaia di migranti, bambine e bambini inclusi, sono stati abbandonati al loro destino nelle aree desertiche alle frontiere con Libia e Algeria.

«Notizie false», ha attaccato Saïed riferendosi ad Amnesty International e ad altre organizzazioni non governative. Tutto, purtroppo, tragicamente vero. Com’è vero che le fallimentari politiche dell’Unione europea continuano a espandersi. Com’è vero che l’Unione europea si renderà nuovamente complice, attraverso questo mal-concepito accordo con la Tunisia, di violazioni dei diritti umani.

* Portavoce di Amnesty International Italia

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