UNA PESSIMA LEGGE ELETTORALE CHE NON FA gli INTERESSI del PAESE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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UNA PESSIMA LEGGE ELETTORALE CHE NON FA gli INTERESSI del PAESE da IL MANIFESTO

Una pessima legge elettorale che fa comodo a tutti i partiti

L’extrema ratio di un cartello tecnico con adesione di tutte le forze politiche (con la propria autonomia) contro il trionfo del centrodestra nei collegi uninominali

Giangiacomo Migone  27/07/2022

Le elezioni in tempi ravvicinati sono una certezza. Che si risolvano in un tentativo di plebiscito improvvisato intorno alla figura di Mario Draghi o in una rivincita della destra unita per l’occasione, occorre innanzitutto salvaguardare l’essenza della democrazia che è la sovranità del popolo esercitata attraverso il voto. Persino la Costituzione potrebbe risultare a rischio. Perciò il superamento della legge elettorale vigente, il Rosatellum, torna di bruciante attualità, ignorata da tutti o quasi.

È inquietante il fatto che, nelle circostanze insolite determinate dallo scioglimento subitaneo delle Camere da parte del presidente della Repubblica, non se ne parli, dando per scontato che tale è e resta. Forse a qualcuno serve mantenere un parlamento nella condizione dequalificata attuale, con la complicità dei capi bastone partitici a cui fa troppo comodo scegliere liberamente tra i propri fedelissimi.

La legge attuale viene in ogni caso silenziosamente ritoccata – un ritocco spacciato per tecnico – perché la composizione del Parlamento è stata ridotta di oltre un terzo per via referendaria: 200 membri del Senato e 400 della Camera. Invece, la modifica radicale del Rosatellum costituisce una priorità perché con premio di maggioranza e listini, indipendentemente dall’esito prodotto nelle urne, priva i cittadini del diritto di scegliere una parte cospicua dei propri rappresentanti con conseguenze che sono sotto i nostri occhi e che non hanno nulla a che fare con l’approvazione o meno del governo Draghi.

Parlamentari vagolanti da un gruppo parlamentare ad un altro, alla ricerca di padroni in grado di assicurare la loro carriera futura, senza rispondere agli elettori in un ambito territorialmente definito; privi del potere che ne deriva, quello proveniente da una frazione di popolo solo più in teoria sovrano.

In altre parole, occorrerebbe una legge elettorale che sopprimesse i nominati, restituendo al cittadino il diritto di scegliere la parte politica, ma anche la persona, con la speranza che questa restituzione di poteri, attualmente menomati, contribuisca a motivare a recarsi alle urne. La priorità è questa, indipendentemente dalla scelta tra un sistema proporzionale e un sistema maggioritario.

Il ritorno ad una legge proporzionale con indicazione di preferenza (meglio se doppia, per assicurare l’equilibrio di genere), con una soglia minima, avrebbe il doppio vantaggio di generalizzare il potere dell’elettorato nella scelta dei propri rappresentanti – indispensabile soprattutto con una costituzione che, all’art. 67, esclude il vincolo di mandato, mentre resta inattuata la struttura democratica interna ai partiti, prevista dall’art. 49 – e di trovare i consensi necessari per essere approvata nei pochi mesi restanti di attività parlamentare.

È vero che quanto assomiglia ad un ritorno alla Prima Repubblica, con il pericolo di crisi endemiche di governo, non è allettante. Chi, come chi scrive, compreso Enrico Letta prima maniera, avrebbe preferito il maggioritario in una forma che al 75% assicurerebbe anche la scelta del parlamentare (il Mattarellum), farà bene ad attendere tempi migliori.

La legge vigente rischia di esprimere un governo di centrodestra – e questo è fisiologico in regime di democrazia – ma, grazie al premio di maggioranza e ai listini vigenti, chiunque vinca, in queste circostanze ripeto insolite, potrebbe totalizzare il quorum necessario per modificare la Costituzione con la semplice applicazione dell’art. 138. Forse da evitare.

Se, come sembra, ogni mutamento del Rosatellum fosse ormai politicamente impossibile – i tempi tecnici ci sarebbero – come sopravvivervi? Il rimedio di Antonio Floridia (cfr. il manifesto, 24 luglio) è quello di un cartello tecnico a cui aderirebbero tutte le forze politiche che, pur conservando la propria autonomia politica, impedirebbero il trionfo maggioritario dell’alleanza di centrodestra nei collegi uninominali previsti dalla legge vigente. Potrebbe costituire una extrema ratio a due condizioni.

In primo luogo, non è tollerabile che si dia per scontata l’applicazione di una legge elettorale di dubbia costituzionalità che menoma ab origine l’autorevolezza del futuro parlamento, senza alcun dibattito politico, attraverso un tacito pactum sceleris tra segreterie di partiti, piccoli e grandi, di destra e di sinistra. Lo stesso Presidente della Repubblica non ha nulla da dire in proposito?

In ogni caso occorre la presenza di una proposta politica che risponda ad una diffusa domanda popolare di chiarezza rispetto ad alcuni nodi essenziali del proprio convivere civile: una politica estera europea di pace che abbia come obiettivo immediato la cessazione delle guerre in corso, in primo luogo sul proprio territorio (Ucraina); una radicale redistribuzione del reddito, con un uso appropriato dei fondi europei disponibili, da una esigua minoranza privilegiata, dominata dalla finanza, alla maggioranza individualmente e territorialmente meno abbiente; la salvaguardia dei diritti del lavoro e di un’immigrazione a cui offrire vita, asilo e cittadinanza; il rafforzamento drastico dei servizi pubblici, a partire da quello della tutela della salute; la salvaguardia della sopravvivenza del pianeta, minacciato dalla distruzione dell’ambiente e dalla diffusione non controllata di armi di distruzione di massa.

La par condicio è diventata un vuoto. Agcom, dove sei?

RI-MEDIAMO. La rubrica a cura di Vincenzo Vita

Vincenzo Vita  27/07/2022

A guardare le innumerevoli edizioni dei telegiornali o le trasmissioni dedicate alla vicenda politica, un dato emerge con realistica crudezza: la legge n. 28 del 2000 (par condicio) è costantemente violata.
Agli smemorati va ricordato che la normativa è in vigore dalla serata dello scorso giovedì 21 luglio, allorché fu pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (online) il decreto firmato dal presidente Mattarella. Il testo della disciplina sulla parità di accesso ai mezzi di informazione nei periodi elettorali, tuttora in vigore e mai abrogata, introduce tempistiche differenziate per stabilire le modalità di rappresentazione dei soggetti in campo. I criteri sono stabiliti secondo le proporzioni mutuate dalle assemblee disciolte fino alla presentazione delle liste, per divenire egualitari nell’ultima fase.
Tra l’altro, le personalità politiche e il governo possono essere presenti se vi sono strette esigenze di notiziabilità, proprio per evitare forme improprie di cattura del consenso. Insomma, la comunicazione (news a parte) deve avvenire attraverso appositi contenitori collegati alle testate giornalistiche. E poi, naturalmente, vi sono le tribune e i messaggi autogestiti dei vari partiti.

Sull’insieme della materia sono attesi nelle prossime ore i regolamenti applicativi della legge varati dall’autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dalla commissione parlamentare di vigilanza. Che dio le assista.
A ben osservare ciò che sta accadendo, per di più di fronte ad un considerevole aumento dell’ascolto dei programmi (il racconto della crisi è insieme dramma e telenovela), siamo davanti ad una secca cancellazione della l.28/2000. Il delitto, forse, non era mai stato così perfetto. Sembra che tutto questo non susciti neppure quel minimo senso di colpa, che pure le infrazioni hanno sempre suscitato.
Tra l’altro, nell’attuale contesto in cui la politica è un format ampiamente utilizzato visto che è spalmato in trasmissioni lunghissime e a basso costo, la par condicio avrebbe un valore persino maggiore.

Non solo. La campagna elettorale si svolge in un caldissimo periodo estivo poco adatto ai già desueti comizi di piazza. I media faranno la parte del leone e la formazione del clima di opinione passerà molto dal video e dalle onde hertziane. I quotidiani, purtroppo, hanno un’influenza minore e la lettura della carta stampata è in costante caduta.
Ma non unicamente i media classici peseranno. Ormai, oltre la metà dell’universo informativo è costituito dai social. Da giorni è in atto qua e là, ad esempio, una (ironica?) richiesta di non andare a votare. Complessivamente, però, va sottolineato il ruolo crescente e pervasivo dei citati social, dove la gara vede in testa Salvini e Meloni, cui segue Conte. Le anime progressiste o di sinistra sembrano stentare ad entrare nelle logiche dell’istantaneità. Troppo spesso si ricorre a Facebook o a Twitter come mere bacheche elettroniche. TikTok è, almeno in parte, ignorato pur essendo il luogo di attrazione delle generazioni giovani.

Ecco, non è venuto il momento di regolare un comparto tanto magmatico, attraverso un indirizzo sui punti essenziali? Quante volte si è detto e quante volte è stato promesso di agire. Invano. In fondo, si tratta di poche questioni, talmente evidenti da non creare verosimilmente contrarietà verso un atto di indirizzo: silenzio elettorale prima del voto, divieto di ricorrere ai sondaggi negli ultimi quindici giorni, messa a punto di una cornice esplicativa per le dirette, trasparenza nei finanziamenti. In particolare, l’attenzione va rivolta, come ci ha svelato Cambridge Analytica, al cosiddetto data mining, il processo di estrazione di notizie utili sulle persone, per profilarne l’identità digitale e influenzarne -con iniziative mirate- le scelte. Sono tecniche sofisticatissime, guidate da algoritmi complessi, che andrebbero resi noti alle istituzioni competenti. Non è tollerabile che le campagne siano condotte da bot artificiali, coordinati da siti esteri. Russia, magari, ma non solo.
Attenzione. Non è un gioco, è una possibile tragedia in arrivo.

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