UN PAESE OSTAGGIO DELLE MENZOGNE DEL PRIMO MINISTRO da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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UN PAESE OSTAGGIO DELLE MENZOGNE DEL PRIMO MINISTRO da IL MANIFESTO

Un Paese ostaggio delle menzogne del primo ministro

La crisi in Israele. Al primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu si attribuiscono, come è noto, eccelse doti di statista, di grande negoziatore e diplomatico, di fine oratore, politico navigato e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia, fin dagli inizi della cosiddetta rivoluzione giudiziaria che il suo governo ha voluto attuare, l’immagine del premier ha subito danni e provocato critiche violente, dentro Israele e fuori

Zvi Schuldiner  06/09/2024

Al primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu si attribuiscono, come è noto, eccelse doti di statista, di grande negoziatore e diplomatico, di fine oratore, politico navigato e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia, fin dagli inizi della cosiddetta rivoluzione giudiziaria che il suo governo ha voluto attuare, l’immagine del premier ha subito danni e provocato critiche violente, dentro Israele e fuori.

Con il 7 ottobre, il risveglio alla realtà è stato incredibilmente traumatico e inaspettato per la maggior parte degli israeliani. E’ stato quasi logico accusare in primo luogo Netanyahu. Al tempo stesso, davanti alle immagini dei cittadini assassinati, delle case incendiate, distrutte, saccheggiate, di uomini armati che liberamente e senza freni percorrevano il sud del paese, ci si chiedeva: d’accordo, il premier è lui, ma dov’era il famoso, intelligente, morale, invincibile esercito? In effetti, lo scorso aprile il capo dei famosi e ultramoderni servizi di intelligence dell’esercito ha ammesso le proprie responsabilità rassegnando le dimissioni. Dopo meno di 24 ore dall’attacco, ecco la risposta di Israele. Altrettanto barbara: niente trattative (come consigliavano invece, e invano, alcuni sprovveduti), solo vendetta; orgogliosa vendetta. Una lezione esemplare, ripetevano tanti. Ed ecco qua: è già stato versato il sangue di 40 mila palestinesi, mentre si continua a percorrere il sentiero dell’orrore. Chi mai legge Frantz Fanon di questi tempi? Siamo convinti che la violenza sia molto educativa.

Il sentimento dominante è il dolore o l’odio?

Dopo gli accordi di Oslo del 1993, anche fra i militanti di Hamas ci fu chi evocò la possibilità di negoziare la prospettiva dei due Stati. Niente da fare: Netanyahu fu più pratico, arrivando ad accordi segreti che consentirono al Qatar e ad altri donatori di far entrare a Gaza grandi somme di denaro, non solo per tamponare la difficile situazione economica, ma anche per aiutare Hamas a consolidarsi anche militarmente. Inoltre, in tempi recenti è risultato chiaro che gran parte delle armi dell’arsenale di Gaza sono state fabbricate nella Striscia stessa utilizzando anche le munizioni inesplose e le armi rubate alle basi militari.

La maggior parte dei cittadini ha compreso che, dei 120 prigionieri tuttora nelle mani di Hamas, quasi la metà potrebbe essere ormai morta. Il premier non ha mai mostrato grande attenzione ed emozione per le vittime e le loro famiglie in lutto, attirandosi critiche crescenti. Le operazioni che in precedenza hanno condotto l’esercito israeliano a liberare alcuni dei prigionieri hanno consentito a Netanyahu di presentarsi come un salvatore. Emblematico il caso di una donna ostaggio riuscita a tornare presso la madre pochi giorni prima che quest’ultima morisse. Insieme a suo padre, che per l’emozione sembrava sciogliersi davanti al grande leader, è stata portata al Congresso statunitense, il grande palcoscenico che Netanyahu è riuscito ad assicurarsi. Presenti fra gli altri un soldato israeliano di colore autore di atti eroici nella guerra, e naturalmente la moglie del grande leader, sorridente insieme all’ex ostaggio e al padre di quest’ultima.

Quando, malgrado la sempre più intensa mobilitazione delle famiglie degli ostaggi, Netanyahu ha annunciato il carattere sacro del controllo israeliano del corridoio Filadelfia, la risposta di Hamas non è stata molto umanitaria: sei ostaggi uccisi, tre dei quali erano nella lista dei candidati al rilascio in caso di accordo. Allora la rabbia popolare è diventata indicibile. Inutilmente Netanyahu ha detto: «Non li ho uccisi io, li ha uccisi Yahya Sinwar, li ha uccisi Hamas».

La collera contro il governo è diventata così palpabile e diffusa che il premier è tornato alla sua collaudata tecnica, annunciando un discorso alla nazione. Grande attesa, anche se lo svolgimento era già noto, comprese la grande mappa della regione e la bacchetta da insegnante. Il punto principale è stato chiaro: il carattere sacro del controllo del corridoio Filadelfia e del valico di Rafah. Ma i non credenti e gli ignoranti – a causa della loro appartenenza di sinistra o di altre patologie – devono essersi sentiti un po’ confortati quando alcuni dei più seri commentatori di diverse reti televisive hanno sottolineato errori e menzogne nella presentazione a cura del premier. La rabbia popolare è esplosa perché il messaggio è stato molto semplice: nessuno spazio per le trattative.
Ah no? Tornato dai negoziati in Qatar, il direttore del Mossad ha riferito che il premier era pronto a lasciare il corridoio Filadelfia. Ma nella notte Netanyahu in persona ci ha detto che è impossibile abbandonare quel luogo sacro. Nel frattempo i brutali attivisti del partito Likud attaccano i parenti degli ostaggi e dichiarano con orgoglio nazionale che sarebbe meglio che venissero uccisi.

Forse possiamo aiutare un po’ Donald Trump impedendo uno scambio di prigionieri che aiuterebbe Joe Biden? Ma il pericolo di una guerra civile?

Netanyahu rilancia: «A noi il Filadelfia». Rabbia in Egitto

Li fermi chi può. Il capo di stato maggiore egiziano ha visitato il confine con Gaza per ribadire l’opposizione del Cairo al piano del leader israeliano.

Michele Giorgio, GERUSALEMME  06/09/2024

Quante volte in questi ultimi mesi gli americani hanno annunciato che l’accordo di tregua a Gaza «è stato in gran parte concordato»? Innumerevoli, troppe. E ogni volta abbiamo visto come è andata. Ciò nonostante, l’Amministrazione Biden continua sistematicamente a descrivere un quadro positivo che non c’è, mentre il negoziato resta paralizzato su un paio di punti – il controllo del Corridoio Filadelfia e lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi – dove la distanza tra le due parti resta ampia. «Il 90% di questo accordo è stato definito», ha fatto sapere ieri il solito anonimo funzionario americano. Nulla di più fuorviante.

Mercoledì sera, accanto a una mappa digitale senza la Cisgiordania occupata, in cui Israele è unico sovrano nel territorio dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano, Benyamin Netanyahu è stato categorico nel ribadire che Israele non intende lasciare il Corridoio Filadelfia lungo il confine tra Gaza e l’Egitto. E lo ha ripetuto più volte qualche ora dopo in un’intervista alla Fox. «Non si potrà impedire il riarmo di Hamas e garantire che Gaza resti smilitarizzata senza il controllo israeliano del Corridoio Filadelfia», ha detto alla tv americana, accusando di fatto l’Egitto di non impedire il traffico di armi tra il Sinai e Gaza. In risposta alle dichiarazioni di Netanyahu, ieri il capo di stato maggiore egiziano, Ahmed Fathy Khalifa, ha visitato il confine con Gaza. «Abbiamo fiducia nella capacità dell’esercito di proteggere la frontiera internazionale», ha affermato Khalifa. Qualche ora dopo il quotidiano israeliano Haaretz ha avvertito che le manovre di Netanyahu stanno avvicinando l’Egitto alle posizioni della Turchia su Gaza. Il Cairo e Ankara per anni sono state divise da una reciproca avversione dovuta all’appoggio che Erdogan aveva dato ai Fratelli musulmani egiziani cacciati dal colpo di stato dell’esercito guidato da Abdel Fattah El Sisi, oltre che dal sostegno turco ad Hamas al potere a Gaza. Da un paio d’anni i due paesi sono tornati a dialogare e l’offensiva di Israele contro la Striscia li ha avvicinati ulteriormente.

«La sicurezza di Israele è un pretesto, la questione del Corridoio Filadelfia piuttosto è politica e ha un alto valore simbolico e di immagine per Benyamin Netanyahu», dice al manifesto l’analista Wadie Abu Nassar, «nella visione del primo ministro israeliano alla fine di questa guerra Israele dovrà assolutamente apparire vincitore agli occhi del mondo». Netanyahu, aggiunge, «occupando il Corridoio Filadelfia nel quadro di un cessate il fuoco potrà affermare di aver vinto poiché non ritirerà completamente le sue forze militari da Gaza. Hamas conosce questo obiettivo, sa che lo scontro riguarda anche la comunicazione e continuerà a chiedere un ritiro completo, anche in più fasi, delle truppe israeliane». Abu Nassar non crede che il cessate il fuoco sia «a portata di mano» come dicono gli Stati uniti: «Netanyahu punta a proseguire il conflitto ad oltranza o almeno fino alle presidenziali americane di novembre perché spera nella vittoria di Donald Trump. In quel caso è convinto che l’ex presidente Usa, una volta rientrato alla Casa Bianca, cesserà le pressioni americane su Israele e le sposterà sui paesi arabi alleati, affinché costringano Hamas ad accettare le condizioni israeliane». Quanto alla liberazione degli ostaggi, i cittadini israeliani dicono in un sondaggio appena pubblicato che il primo ministro privilegia la sua strategia di guerra al ritorno a casa dei circa 100 israeliani prigionieri a Gaza. Netanyahu reclama inoltre il potere di veto sui nomi dei 150 detenuti politici palestinesi che scontano l’ergastolo in Israele di cui Hamas chiede la scarcerazione in cambio degli ostaggi.

Nella «piccola Gaza» – come i palestinesi adesso chiamano Jenin, Tulkarem e le altre città del nord della Cisgiordania al centro dell’operazione militare «Campi Estivi» – ieri sei palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano. I droni hanno colpito il campo di Faraa poco prima delle 2 del mattino e verso le 4 hanno effettuato altri tre attacchi nella città di Tubas dove sono stati uccisi cinque combattenti palestinesi. Tra gli uccisi a Tubas c’è Mohammed Zubeidi, figlio di Zakaria Zubeidi, un noto ex comandante delle Brigate di Al Aqsa (Fatah) nella città di Jenin durante la seconda Intifada che tre anni fa fece notizia per la sua evasione dal carcere israeliano di Gilboa. Un sesto palestinese, un ragazzo di 16 anni, Majid Abu Zeina, è stato ucciso a Faraa. A Gaza un attacco aereo israeliano ha ucciso cinque palestinesi vicino all’ospedale Al Aqsa di Deir Al-Balah. Le vittime si trovavano in un accampamento di sfollati nel cortile dell’ospedale. Israele afferma di aver colpito un centro di comando di Hamas e del Jihad islami.

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