TUTTI I COLORI DELLA BANLIEUE da IL MANIFESTO
Tutti i colori della banlieue
IL VELO DE LA RÉPUBLIQUE. «È la Repubblica che vincerà». Lo ha dichiarato all’apice degli scontri il ministro degli interni francese, Gérald Darmanin, durante una visita alla polizia e ai gendarmi a Mantes-la-Jolie, nella banlieue […]
Filippo Barbera 09/07/2023
«È la Repubblica che vincerà». Lo ha dichiarato all’apice degli scontri il ministro degli interni francese, Gérald Darmanin, durante una visita alla polizia e ai gendarmi a Mantes-la-Jolie, nella banlieue parigina. «Non confondo le poche migliaia di delinquenti – ha aggiunto – con la stragrande maggioranza dei nostri connazionali che vivono nei quartieri popolari».
Da una parte le élite a difesa delle istituzioni liberal-democratiche, dall’altro la folla fuori controllo che minaccia l’ordine e la pace sociale. Una postura rassicurante, che espunge il tema trattandolo come un problema esterno al sistema “sano”, alla stregua di un agente patogeno che attacca un corpo altrimenti in buona salute. Il tentativo di etichettare chi si ribella come un altro-da-sé, un alieno esterno alla République.
Da questo punto di vista, gli scontri francesi svolgono un’importante funzione di “reagente” e mettono in luce i tratti profondi della società che li ha incubati. Una società, una classe dirigente e degli apparati ideologici di Stato, come li avrebbe chiamati Louis Althusser, incapaci di riflettere consapevolmente sui meccanismi interni di produzione del conflitto sociale. Sostenere che la République che si vorrebbe sana non ha “problemi”, in realtà, è proprio ciò che non va in Francia.
Il sociologo François Dubet in una perspicace intervista su Le Monde sostiene che nella storia francese moderna il conflitto sociale è stato a lungo supportato da un’organizzazione politica di qualche tipo, che a volte ne è stata la conseguenza e altre volte lo ha accompagnato nel suo percorso.
Il più recente conflitto urbano nelle banlieue, al contrario, segue una strada diversa.
Dubet contrappone la situazione delle “banlieues rouges” degli anni del dopoguerra, quando il partito comunista strutturava l’azione politica e la protesta sociale, a quella attuale. Dopo il maggio francese si formarono gruppi gauchiste volti alla ricerca dell’unità d’azione tra autoctoni e stranieri. Nel 1970 il gruppo maoista Vive la revolution, istituì un asilo nido proprio a Nanterre, teatro degli scontri di questi giorni. Il suo slogan fu: «Bambini francesi e immigrati stessa bottiglia», sulla falsariga dello slogan marxista del 1968 «Francesi e lavoratori immigrati stessa battaglia». Negli anni ‘80 appartenevano al Partito Comunista Francese 25.000 lavoratori immigrati, più di ogni altro partito dell’Europa occidentale.
Anche nelle fasi successive alcuni movimenti sociali hanno tentato di catturare/incanalare il malcontento, come nel caso del Mouvement de l’immigration et des banlieues (Mib) nato nel 1995.
Ancora nel 2008, i sindacati francesi sono stati i principali attori degli scioperi per la regolarizzazione. La preoccupazione per la condizione degli immigrati è stata quindi un aspetto qualificante del rapporto che la sinistra francese aveva instaurato tra movimenti/partiti, da una parte, e immigrati/autoctoni, dall’altra. Rispetto alla situazione odierna la protesta era più intermediata, organizzata e con un raccordo più robusto tra movimenti, sindacati e partiti. Attualmente, al contrario, il movimento dei Sans Papiers significa poco o nulla per i giovani di Nanterre.
La sinistra francese ha molte responsabilità a riguardo.
Il Pcf e il Ps hanno considerato le popolazioni “razzializzate” delle cités come una sorta di clientela naturalmente fidelizzata, senza mai adattare le loro modalità di azione alle specificità di queste popolazioni. Nel contempo, il “credo repubblicano” – alle radici della “Francia sana” – ha impedito di parlare di problemi di razzismo istituzionale o di violenza neocoloniale della polizia.
Da questo punto di vista la sequenza Hollande-Valls-Cazeneuve e l’antiterrorismo come unica linea politica hanno solo esacerbato il problema.
Come scritto su questo giornale, con riferimento al libro Rosso Banlieue (Ombre Corte), nelle banlieue parigine la contrazione delle organizzazioni politiche tradizionali riconducibili al movimento operaio è stata in parte sostituita da altre forme di organizzazione collettiva, con un focus sui bisogni primari: casa, diritto alla città, istruzione, razzismo istituzionale. Una politicizzazione del quotidiano certamente importante, ma che fatica a trasformarsi in un’azione mobilitante generale con connotati di classe e una visione generale.
La stessa France Insoumise non ha ancora un’organizzazione territoriale diffusa nella periferie, capace di funzionare da punto di riferimento ideologico e organizzativo per il conflitto sociale. Per andare in questa direzione, occorrerebbe che la protesta funzionasse non solo da “reagente”, ma anche da “agente”, contribuendo a cambiare – e non solo a mettere in evidenza – il debole raccordo tra movimenti sociali, partiti organizzati e azione pubblica nei territori che la République non vuole e non può vedere.
L’ultima parola non l’avranno loro
IL DISCORSO. Pubblichiamo in maniera quasi integrale il discorso tenuto dalla sorella di Adama Traoré sabato 8 luglio 2023 a Parigi. Un attimo dopo aver chiesto alla folla di andare via pacificamente, Assa Traoré è stata denunciata
Assa Traoré, PARIGI 09/07/2023
Pubblichiamo in maniera quasi integrale il discorso tenuto dalla sorella di Adama Traoré sabato 8 luglio 2023 a Parigi
Grazie per aver risposto presente al nostro appello. Non era previsto. Non dovevamo ritrovarci qui sulla place de la République, avremmo dovuto vederci a Persan et Beaumont-Sur-Oise, come ogni anno dalla morte del mio fratellino Adama Traoré il 19 luglio 2016, morto tra le mani dei gendarmi. Una perizia ha confermato che la polizia è responsabile della morte di Adama Traoré. Se non avesse incrociato i gendarmi, sarebbe ancora vivo.
Avremmo marciato quest’anno per il settimo anno consecutivo, per chiedere verità e giustizia per Adama. Abbiamo sempre manifestato con calma. Ma la prefettura oggi ce lo ha impedito col pretesto della situazione di queste settimane. Ma proprio questa situazione deve dare più forza al fatto di marciare, di organizzarsi insieme.
Oggi è un divieto politico quello che subiamo e riguarda direttamente il caso Adama Traoré. Perché non vogliono che il nostro comitato possa organizzarsi e marciare, che possa organizzare le nostre collere, e che noi possiamo costruire qualcosa insieme.
Hanno gettato olio sul fuoco. Hanno detto alla gioventù di fermare le rivolte la sera. Le sanzioni sono pesanti: hanno punito severamente questa gioventù. E ci puniscono quando proviamo a organizzarci, a fare appello a questa gioventù, a dirgli «venite, andremo a marciare a Beaumont-Sur-Oise per denunciare l’impunità poliziesca, per denunciare tutte le violenze della polizia».
Ricordo che in tre settimane, ci sono stati quattro morti: Alhoussein a Angoulème, Mozamba a Sarcelles, Mohamed a Marsiglia, Nahel a Nanterre.
Oggi è accettata la violenza che viene dall’altro lato, ma non viene accettato il fatto che noi vogliamo organizzarci, che vogliamo manifestare. È inammissibile e inaccettabile.
VOGLIONO FERMARCI. E per farlo hanno messo in campo un arsenale di guerra. Da due giorni gli elicotteri sorvolano Beaumont-sur-Oise, hanno messo un coprifuoco, ci sono dei poliziotti con i cani nel nostro quartiere. Con la complicità della Sncf (le ferrovie francesi, ndt), hanno bloccato i treni. Hanno bloccato i bus.
Assa Traoré
Oggi è accettata la violenza che viene dall’alto. Vogliono fermarci. E per farlo hanno bloccato i treni e hanno messo in campo un arsenale di guerra
Ma l’ultima parola non ce l’hanno loro. Ce l’abbiamo noi. Perché noi marciamo, contro l’ingiustizia e per la giustizia; contro l’impunità poliziesca e per la libertà; per la democrazia. Oggi, la nostra libertà è violata. Oggi, la Francia non può più dire di essere uno stato democratico. È falso. Ci hanno vietato di marciare. Ci hanno detto che non ci sono abbastanza poliziotti: ma Beaumont-Sur-Oise è piena fino all’orlo di poliziotti da 3 giorni. Oggi, qui sulla piazza attorno a noi c’è una quantità enorme di poliziotti. Hanno talmente poco da fare che fanno le multe alle persone che portano la maglietta del Comité Adama.
E ci dicono, che non potevano assicurare l’ordine oggi. Bisogna filmare tutto ciò, che le telecamere del mondo intero mostrino quello che succede in Francia. Vogliono nascondere i nostri morti. I nostri morti non possono nemmeno esistere. Vogliono nascondere le violenze della polizia. Vogliono nascondere la negazione della giustizia. Vogliono nascondere il silenzio dello Stato francese davanti ai nostri morti.
Soprattutto, non vogliono mostrare una marcia dove ci sono tutti: ci sono i quartieri popolari, ci sono i centri città, poco importa la provenienza, la religione, il genere: è questo che non vogliono mostrare.
Assa Traoré
Non vogliono che marciamo perché non vogliono che si senta il nome dei nostri morti. Noi siamo le famiglie delle vittime. Ma non saremo mai le loro vittime
GLI ABBIAMO DETTO: ci avete vietato Beaumont, ci avete bloccato i treni. Allora, Parigi è grande. E siamo qui, tutti, per la stessa cosa: per la libertà, la democrazia, la giustizia. E per continuare a denunciare le violenze poliziesche che aumentano senza sosta.
Oggi la Francia non può permettersi di dare alcuna lezione di morale agli altri paesi. Oggi, la polizia francese è razzista. La polizia francese è violenta. Oggi in Francia le telecamere del mondo intero devono mostrare che non c’è il diritto di manifestare. Ma si lasciano, invece, manifestare dei neonazisti.
In Francia non vogliono che marciamo perché non vogliono che si senta il nome dei nostri morti. Non vogliono sentire, «Adama Traoré». Non vogliono sentire il nome di tutti questi morti. I nostri morti, li cacciano finanche dentro la tomba! È una disumanizzazione totale. È inumano (…) L’ultima parola, l’abbiamo detto, ce l’abbiamo noi. E ce l’abbiamo perché siamo qui.
Nessuno può vietarci di marciare. Di riunirci. Nessuno può vietarci di pronunciare il nome dei nostri morti, di difendere la nostra libertà, il nostro paese, la democrazia del nostro paese.
Abbiamo il diritto di vivere. Tutti i nostri morti avevano il diritto di vivere, come chiunque è qui oggi. Non siamo animali. E non saremo mai le loro vittime. Siamo le famiglie delle vittime. Sono una famigliare di una delle vittime. Ma non sarò mai la loro vittima.
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