TRUMP, MELONI E LA LIBERA USCITA DELLE RISERVE AUTORITARIE da IL MANIFESTO
Trump, Meloni e la libera uscita delle riserve autoritarie
Usa-Europa I vincoli propri dello Stato di diritto democratico sono apertamente sotto attacco. Il presidente Usa ha impresso una fortissima accelerazione. E il governo italiano lo affianca
Alfio Mastropaolo 03/05/2025
Nelle viscere dei regimi democratici albergano da sempre abbondanti miasmi autoritari. Sono miasmi culturali e pure riserve di potere coercitivo. Governi parafascisti – diamo alle cose il loro nome – hanno arraffato il successo elettorale. E si sono installati al vertice di quei regimi, conducendo imponenti manovre per riportare alla luce i miasmi. Il costituzionalismo democratico era l’arma pensata per arginare il potere e impedire tale eventualità. Non fosse che all’alba del terzo millennio le difese da esso approntate ne stanno rivelando tutta la fragilità.
Si sapeva da molto che il voto a maggioranza fosse una difesa inaffidabile. Non per l’incompetenza e volubilità degli elettori, come vuole la vulgata corrente. Come ha spiegato Bernard Manin in un saggio memorabile, le elezioni sono un dispositivo semiaristocratico (o semioligarchico), perciò adottato per selezionare i governanti. Strutturalmente sono un dispositivo più propizio a chi già detiene risorse di potere.
Per farsi valere i partiti di sinistra suscitarono enormi energie collettive, oggi disperse. A maggior ragione le elezioni sono a rischio se, per sopprimere il pluralismo, si adottano regole elettorali adulterate, o discutibili premi di maggioranza, o si consente a qualche concorrente di fruire di finanziamenti privati smisurati e di poderosi supporti mediatici per manipolare gli elettori.
I successi elettorali del fascismo e del nazismo furono corroborati dalla violenza, ma provano comunque l’inaffidabilità delle maggioranze. Il costituzionalismo democratico (e antifascista) ha perciò rinnovato l’antico bastione liberale dello Stato di diritto, per farne un’arma volta a tutelare, oltre alle minoranze sconfitte nelle partite elettorali, chiunque si opponga, o sia inviso, al potere, specie il mondo del lavoro e i più deboli.
Non è stato un regalo. Le costituzioni democratiche del dopoguerra le hanno scritte dopo molte sofferenze i portavoce degli oppressi – in varia misura – dal fascismo e in America il costituzionalismo democratico l’ha imposto la straordinaria mobilitazione della popolazione afroamericana da metà anni Cinquanta in poi.
Anch’esso, tuttavia, è un’arma imperfetta. Dipende da chi scrive, interpreta e applica le norme. Le corti costituzionali dovrebbero vagliarne la conformità ai principi democratici. Ma subiscono anch’esse le vicissitudini della politica, lo spirito del tempo, i calcoli di convenienza.
Sono i motivi per cui solo limitatamente i miasmi autoritari sono stati bonificati. Nessuno è senza colpe. I governanti democratici si sono concessi molte forzature. Ma da qualche tempo i vincoli propri dello Stato di diritto democratico sono apertamente sotto attacco e l’estrazione delle riserve autoritarie procede di buona lena. Difficile dire quand’è iniziata. Ma l’elezione di Trump le ha impresso una mostruosa accelerazione. E il governo Meloni l’affianca.
E esemplare il rifiuto dell’amministrazione Trump di sottomettersi a una decisione della Corte suprema, com’è noto in piena sintonia politica con essa, che chiedeva di agevolare il ritorno di un cittadino per errore deportato in Salvador. In Italia fin dal suo esordio il governo Meloni si è impadronito di tutte le postazioni di potere disponibili e ha preso a riscrivere le regole che lo intralciano, pur se talora smentito dalla Suprema Corte. Ma l’esempio trumpiano gli ha messo invidia.
Il decreto legge sulla sicurezza adottato interrompendo la discussione parlamentare su un analogo disegno di legge e la dichiarazione, che sfida il ridicolo, del ponte sullo Stretto come opera militare strategica sono ciò di più simile a un executive order” che il governo Meloni sia riuscito a improvvisare. In attesa che maturi la richiesta alla Grecia di restituire il Dodecaneso.
Messo il costituzionalismo democratico sotto scacco, sono riapparsi i poteri di fatto, corroborati da altri poteri in mano privata. E questo aggiorna radicalmente lo scenario dell’opposizione. La forma tipica di un regime rappresentativo, condotta in parlamento, è vanificata. E infatti Bernie Sanders e Alexandra Ocasio-Cortez stanno valorosamente riesumando oltre oceano la resistenza “civile” delle piazze. Mentre l’ateneo di Harvard invita a ribellarsi il mondo dell’insegnamento e della ricerca. E il caso dunque anche in Italia di avviare una riflessione sulle tecniche d’opposizione “civile”. Stracciarsi le vesti non basta.
Si è rivista qualche piazza, talora d’incerta ispirazione, ma palesemente antigovernativa. C’è discreta voglia di protestare. Sono stati convocati dei referendum. Nelle attuali condizioni andrebbero generosamente sostenuti anche da chi non è d’accordo. Sarebbe un possente segno di resistenza al governo.
Libertà di stampa, il crollo è globale. L’Italia finisce al 49esimo posto
REPORTERS SANS FRONTIÈRES INDEX «Senza indipendenza economica non ci può essere stampa libera». A parlare è Anne Bocandé, direttrice editoriale di Reporters sans frontières (Rsf), commentando l’indice 2025 dell’associazione sulla libertà di stampa globale. […]
Annaflavia Merluzzi 03/05/2025
«Senza indipendenza economica non ci può essere stampa libera». A parlare è Anne Bocandé, direttrice editoriale di Reporters sans frontières (Rsf), commentando l’indice 2025 dell’associazione sulla libertà di stampa globale. La «difficile situazione» mondiale dei media, individuata come tale per la prima volta nella storia del rapporto, si concentra quest’anno sul fattore economico, che dei cinque presi in considerazione (politico, economico, legislativo, sociale, sicurezza) ha subito il crollo più drastico. L’indebolimento dei media è legato alla concentrazione della proprietà, alle pressioni degli sponsor e dei promotori finanziari e alla restrizione dei finanziamenti pubblici (assenti o opachi). Per oltre dieci anni Rsf ha riscontrato un declino mondiale nella libertà di stampa, ma il 2025 ha registrato un crollo inedito: la media di tutti i paesi analizzati è sotto 55 su 100, 112 paesi (6/10) hanno visto un declino complessivo nel punteggio.
Il nostro paese scende al 49esimo posto su 180, tre posizioni più in basso rispetto al 2024: «La libertà di stampa in Italia continua a essere minacciata da organizzazioni mafiose e gruppi di violenti estremisti. I giornalisti denunciano tentativi di ostruzione da parte dei politici per coprire i casi giudiziari», si legge nel rapporto. Non è passato inosservato il caso Paragon, che compare tra i primi documenti. Globalmente 34 paesi spiccano per la chiusura di massa dei media.
In 42 stati la situazione è classificata come «molto seria», a cominciare dalla Palestina dove dall’inizio del genocidio Israele ha ucciso oltre 200 giornalisti. La regione Medio Oriente-Nord Africa rimane la più pericolosa al mondo per i giornalisti.
Negli Stati uniti il fattore economico registra 14 punti in meno in due anni, con un peggioramento dall’insediamento di Donald Trump alla Casa bianca.
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