TRUMP ALL’ANNO ZERO DELLE PROMESSE DI PACE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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TRUMP ALL’ANNO ZERO DELLE PROMESSE DI PACE da IL MANIFESTO e IL FATTO

Trump all’anno zero delle promesse di pace

Scenari «Portare allo stesso tavolo Ucraina e Russia» e porre fine al massacro in Medio Oriente – per il quale ha pesanti responsabilità -, non sembrano obiettivi davvero a portata di mano

Alberto Negri  09/11/2024

Con Trump comincia l’anno zero della politica estera Usa e mondiale. Ma le guerre non finiscono in un giorno neppure a Hollywood, «la parte di intrattenimento del complesso militar-industriale americano», come diceva Frank Zappa. E per altro da qui al suo insediamento alla presidenza il 20 gennaio ci sono oltre due mesi – un’eternità in politica e in guerra – durante i quali su fronti come Ucraina e Medio Oriente può accadere di tutto.

Eppure a Fox News la portavoce della sua campagna Karoline Leavitt, ha dichiarato che l’agenda di Trump per il “Giorno 1” include il “riportare Ucraina e Russia al tavolo dei negoziati per porre fine a questa guerra. Trump ha affermato che il conflitto non sarebbe mai scoppiato se lui, o un altro presidente «rispettato da Putin», fosse stato alla Casa Bianca, e ha sostenuto di poter porre fine alla guerra in 24 ore, sebbene non abbia spiegato come intenda riuscirci né si è mai espresso chiaramente se desideri la vittoria dell’Ucraina.

Queste frasi ci dicono tutto della sua visione primitiva della politica estera che si risolve in un rapporto diretto fra i leader, non importa se democratici o autoritari; l’idea guida di Trump è che un accordo diretto fra “uomini forti” sia sufficiente a risolvere le principali crisi globali. L’altro strumento contemplato da Trump in politica estera è la diplomazia del denaro, che secondo lui tutto compra e tutto appiana.

Il fatto che la politica estera sia fatta dai diplomatici, con viaggi, negoziati, trattative, è un aspetto scontato ma che Trump, da businessman sbrigativo, vive con evidente fastidio. Figuratevi come Trump giudichi Bruxelles e la sua burocrazia, dove tutti e 27 gli stati dell’Unione vogliono dire la loro. È evidente che agiterà la possibile imposizione di nuovi dazi commerciali sulle esportazioni verso gli Usa per intavolare trattative bilaterali con gli europei, con l’obiettivo di dividerli e indebolirli, usando anche l’ eventuale paralisi della Nato come spauracchio.

Trump, per altro non diversamente dai presidenti democratici, ritiene gli europei degli «scrocconi» (parola usata da Obama) perché approfittiamo dell’ombrello militare americano. Qui il suo credo è semplice: dovete mettere mano al portafoglio.

Trump in Ucraina vuole vincere facile? Per lo meno come nota il politologo Ivan Kratsev, membro permanente dell’Istituto per scienze umane di Vienna, l’Occidente dovrebbe capire prima quali sono gli obiettivi di Putin, pronto a trattare ma alle sue condizioni. Ascoltiamo solo per sentire quello che vogliamo sentire, e cioè che Putin è disposto a negoziare la fine del conflitto in Ucraina. Ma è davvero così? Come credono molti analisti e la maggior parte degli europei, la guerra si concluderà con un accordo. Kiev sarà costretta a barattare una parte di territorio in cambio di garanzie sulla sicurezza, come anticipava ieri anche il Wall Street Journal, un media vicino a Trump. Eppure, anche se i negoziati sono inevitabili, forse non siamo così vicini alla conclusione del conflitto.

La ragione è che la Russia e l’Ucraina sono in due situazioni molto diverse. Al momento il Cremlino è convinto di essere in vantaggio sul campo di battaglia. Crede di avere un considerevole spazio di manovra prima di mettere fine alla guerra. Il presidente ucraino Zelensky, al contrario, è in una situazione precaria. Gli insuccessi militari hanno indebolito il sostegno politico al suo paese. Kiev vuole che la guerra finisca il prima possibile, ma non è ancora pronta a cedere del territorio in cambio di pace. Perciò Zelensky è costretto a parlare di vittoria e allo stesso tempo a cercare il compromesso. Questa è un’equazione complicata: davvero Trump la risolve in un giorno come proclama?

Così come mettere fine al massacro in Medio Oriente non è un traguardo a portata di mano. Trump si vanta di non avere iniziato delle guerre ma nel suo primo mandato ha preso decisioni rovinose: ha stracciato l’accordo di Obama sul nucleare iraniano, ha fatto uccidere il generale Qassem Soleimani capo dei Pasdaran, ha spostato l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, ha riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture siriane sul Golan, il tutto contro ogni risoluzione dell’Onu, altra istituzione che lui disprezza. Non solo: suo genero Jarred Kushner aveva promesso a Netanyahu che gli Usa avrebbero certificato l’annessione israeliana del 30% della Cisgiordania.

Lo stesso Kushner questa primavera era il fautore di una deportazione dei palestinesi di Gaza nel deserto del Negev «per finire il lavoro», impiantare nella Striscia un business sul modello di Dubai, ed escludere, allo stesso tempo, qualsiasi soluzione per uno Stato palestinese.

Il tutto sullo sfondo del Patto di Abramo che Trump ha avviato durante la sua prima presidenza e che ora vuole concludere con l’ingresso dell’Arabia saudita. Forse non sarà il genero di Trump a definire l’accordo ma il fondo di investimento saudita è socio di Kushner negli investimenti turistici e immobiliari che sta trattando con Rama e Vucic in Albania e Serbia, facilitati dalla mediazione di Richard Grenell, ex ambasciatore a Berlino, ex inviato in Kosovo, ora menzionato come possibile segretario di Stato.

Come scriveva sul manifesto del 7 ottobre il direttore Andrea Fabozzi questi sono i progetti del capitalismo della sorveglianza di Trump ed Elon Musk sul piano internazionale. Ma la “pace” di Trump, in un mondo assai mutato dal 2016 quando vinse la prima volta, appare come un ramo di ulivo cosparso di spine sul destino dei popoli e delle nazioni.

Altro che Trump pacifista: non inizia nuove guerre, aumenta quelle esistenti

8 Novembre 2024 DANIELE LUTTAZZI

Eora, per la serie “La guerra è la prosecuzione della guerra con gli stessi mezzi”, la posta della settimana.

Caro Daniele, Trump quando è stato presidente non ha fatto alcuna guerra; decise pure il ritiro dei soldati americani dall’Afghanistan. Anche se può sembrare paradossale, è un pacifista. (Alessio M.)
La tua frase echeggia uno degli slogan di Trump 2016 e 2024 (“Sono l’unico presidente in 72 anni che non ha avuto guerre”): posa a pacifista per corroborare la sua immagine di outsider anti-establishment, e far presa sul ceto disinformato e suggestionabile. I propagandisti trumpiani ripetono quello slogan come un mantra, ma il pacifismo di Trump è una balla. Non ha iniziato nuove guerre, ma è un militarista che ha intensificato quelle esistenti. Tanto per cominciare, con Trump presidente il budget del Pentagono aumentò costantemente per quattro anni. In Afghanistan, Trump incrementò gli attacchi aerei, aumentando del 330% le morti tra i civili. Lo fece anche in Somalia, dove causò più morti di Bush e Obama insieme. Bombardò la Siria. In Yemen sostenne il massacro degli Houthi da parte dell’Arabia Saudita (2.243 attacchi di droni solo nei primi due anni della sua presidenza, rispetto ai 1.878 degli otto anni di Obama): usò il suo potere di veto per superare le maggioranze bipartisan che al Congresso cercavano di fermare il coinvolgimento Usa nel conflitto, dove morirono 250 mila persone (“la più grande crisi umanitaria del mondo”, disse l’Unicef). Per bloccare il suo sostegno alla guerra in Yemen, il Congresso approvò una risoluzione sui poteri di guerra; e quando Trump ordinò l’assassinio del comandante iraniano Qasem Soleimani il Congresso approvò un’altra risoluzione per evitare la guerra con l’Iran (le due misure ebbero un sostegno bipartisan). In quel frangente non si arrivò alla guerra con l’Iran non per merito di Trump, ma grazie alla ponderazione del governo iraniano. Senza dimenticare che Trump ordinò al Pentagono di preparare un piano di attacco contro la Corea del Nord. Scrive in proposito l’ex funzionario del Pentagono, Van Jackson: “Il mondo è stato più vicino alla guerra nucleare di quanto lo sia mai stato dalla crisi dei missili a Cuba”. Nel 2018 Trump si ritirò dall’accordo con l’Iran sulla non proliferazione nucleare (come volevano, per i propri scopi, Netanyahu e i neocon Usa), col risultato che l’Iran ha accelerato il suo programma: oggi ha materiale fissile per 3 atomiche. Trump ha stracciato il Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio, che imponeva a Usa e Russia di eliminare tutti i missili balistici con gittata tra 500 e 5.500 km; e si è ritirato dal Trattato “Cieli aperti” che consentiva la sorveglianza aerea reciproca fra Usa, Russia e gran parte dell’Europa. In patria il pacifista Trump ha peggiorato l’islamofobia, ha vessato migranti e richiedenti asilo, ha fatto reprimere con violenza le proteste per la giustizia razziale. Trump ha messo gli Stati Uniti contro la Cina, ed era favorevole al tentativo di colpo di Stato in Venezuela (poi fallito). Ha venduto armi a dittatori. Durante la sua presidenza ha tolto ogni limite all’uso bellico dei droni, rendendo più facile l’assassinio di civili innocenti nelle zone di conflitto. Tentò una nuova guerra con droni in Kenya. Nel 2016 affermò di essersi opposto all’invasione dell’Iraq: altra balla (la verità è che ha graziato soldati americani condannati per crimini di guerra in Iraq); ma il popolo americano volle credergli. E ha voluto credergli anche stavolta che ha promesso la fine della guerra in Ucraina. Poiché ha pure promesso raid aerei sul Messico, direi che è fatta. (Se Trump è un pacifista, Gandhi era un irrigatore da giardino).

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