TREGUA ISRAELE-HAMAS A PORTATA DI MANO. BIBI SCEGLIE LA GUERRA da IL MANIFESTO e IL FATTO
Tregua Israele-Hamas a portata di mano. Bibi sceglie la guerra
STRISCIA DI SANGUE. Il premier continua a invocare la distruzione del gruppo islamico. Le famiglie degli ostaggi chiedono di accettare la roadmap di Joe Biden
Michele Giorgio, GERUSALEMME 02/06/2024
Prima delle manifestazioni, ieri sera, il Forum delle famiglie degli ostaggi a Gaza ha chiesto alla Knesset di accettare la proposta di accordo tra Israele e Hamas avanzata venerdì da Joe Biden. Poche ore prima il segretario di Stato Antony Blinken aveva avuto colloqui con i ministri degli Esteri di Arabia saudita, Giordania e Turchia a sostegno della proposta illustrata dal presidente americano. La popolazione di Gaza, stremata da otto mesi di bombardamenti e massacri, in queste ore spera nel cessate il fuoco. E si aspetta una posizione morbida da Hamas che, riferisce al Jazeera, pare orientato ad accettare il piano, che ha già detto di «considerare positivamente», anche se l’ultima parola, nella struttura decisionale del movimento islamico, spetta ai leader a Gaza, Yahya Sinwar e Mohammed Deif. In questo quadro a resistere alla «roadmap» di Biden che potrebbe portare alla fine dell’offensiva israeliana, allo scambio di prigionieri e al cessate il fuoco a Gaza, è proprio il governo israeliano che pure, secondo il presidente Usa, avrebbe formulato la proposta resa nota due giorni fa.
NETANYAHU che venerdì aveva accolto senza entusiasmo il discorso di Biden ieri è tornato a ribadire che «Le condizioni di Israele per porre fine alla guerra non sono cambiate: la distruzione delle capacità militari e di governo di Hamas, la liberazione di tutti gli ostaggi e la garanzia che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele». Condizioni che, ha aggiunto, dovranno essere soddisfatte prima che venga proclamato il cessate il fuoco permanente. Parole che servono anche a placare l’agitazione che regna nel suo governo. I ministri dell’ultradestra Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich sono tornati a minacciare di far cadere il governo se Israele interromperà l’offensiva che ha già fatto oltre 36.379 morti palestinesi. Netanyahu che ha costruito sull’alleanza con l’ultradestra e i partiti religiosi il suo futuro politico non può e non vuole sganciarsi da chi di fatto lo tiene in sella. Certo, potrebbe prendere le distanze da Smotrich e Ben Gvir accettando la «rete di protezione» – una sorta di appoggio esterno – che si dice pronto ad offrirgli il centrista Yair Lapid, leader del partito Yesh Atid, in cambio dell’accordo sugli ostaggi. Ma non si fida, sa che Lapid gli concederebbe pochi mesi ancora al potere e poi sceglierebbe la via delle elezioni anticipate. Accettare o non accettare un cessate il fuoco temporaneo che gli Usa sostengono di poter trasformare in una tregua permanente, è il dilemma che lacera la leadership di Hamas. Quella all’estero lo vuole. Sinwar e Deif invece esitano, non hanno fiducia negli Usa.
Joe Biden ha annunciato un accordo in tre fasi. La prima prevede un cessate il fuoco di sei settimane durante le quali le forze israeliane si ritireranno dai centri abitati di Gaza. 33 ostaggi israeliani verranno scambiati con prigionieri palestinesi. Inoltre, potranno tornare alle loro città e villaggi, anche nella parte settentrionale della Striscia, centinaia di migliaia di sfollati. Il giornale saudita Majalla scrive che per ogni donna soldato, verranno rilasciati 50 detenuti palestinesi, di cui 30 condannati all’ergastoli. Se non ci saranno abbastanza ostaggi vivi per raggiungere le 33 liberazioni nella prima fase, verranno rilasciati i cadaveri degli ostaggi. Nella seconda fase, Hamas e Israele negozierebbero i termini della fine della guerra. La terza prevede un piano di ricostruzione per Gaza e un (vago) piano politico. Netanyahu con ogni probabilità pensa che al termine della prima fase – con l’avvenuta liberazione degli ostaggi più fragili – Israele riprenderà la guerra «per la distruzione totale di Hamas». Uno sbocco che, ovvio, il movimento islamico respinge con forza.
MENTRE LA DIPLOMAZIA procede a passi lenti, a Gaza si continua a morire sotto le bombe israeliane, per le ferite, le malattie e anche di fame. L’esercito israeliano afferma che i valichi di Kerem Shalom e Erez sono aperti al passaggio di aiuti umanitari. La Mezzaluna rossa al contrario denuncia che Kerem Shalom è rimasto chiuso per il secondo giorno consecutivo e che da 48 ore non entra alcun genere di prima necessità via terra. Continua l’offensiva terrestre e aerea su Rafah dove gli abitanti hanno riferito di bombardamenti di aerei e carri armati e di un intenso fuoco di artiglieria a Tel al Sultan e nella parte orientale e centrale della città. Colpito anche il campo profughi di Nusseirat e Zeytoun (Gaza city). Ieri i media egiziani hanno annunciato che oggi si terrà un incontro tra delegazioni di Egitto, Israele e Stati uniti sul valico di Rafah, chiuso da quando è stato occupato dall’esercito israeliano ai primi di maggio. A causa della chiusura, afferma l’ufficio stampa governativo di Gaza, circa 20mila malati e feriti palestinesi, tra cui numerosi bambini, restano in attesa e non possono andare in Egitto e in altri paesi a curarsi.
SI INTENSIFICANO gli scontri a fuoco lungo il confine tra Libano e Israele. Il movimento sciita Hezbollah tiene sotto pressione l’alta Galilea con lanci di razzi e ieri ha abbattuto un drone israeliano Hermes 900 del valore di 5 milioni di dollari. Le forze aeree israeliane hanno colpito più obiettivi in Libano facendo due morti e diversi feriti nelle ultime 48 ore. Tensione alta in Cisgiordania dove proseguono i raid israeliani in varie città. A Balata (Nablus) sono stati feriti tre giovani.
“Non ci fidiamo di Netanyahu, non se ne andrà”
IL SABATO DI PROTESTA – I familiari degli ostaggi. Tra i manifestanti, un tassista palestinese: “Ok il piano americano”
MANUELA DVIRI 2 GIUGNO 2024
Tel Aviv (Israele). Munita di cartello con la scritta “Elezioni subito!” e una traccia della proposta Biden e della risposta Netanyahu, mi incammino per il 33° sabato sera verso la via Kaplan a Tel Aviv, che si somma ai miei precedenti nove mesi di protesta contro la riforma giuridica. Un lavoraccio. Tutto un andare su e giù a piedi per Tel Aviv che in ebraico vuol dire collina di primavera. E non c’è dubbio che lo è. Collina.
Le persone che incontro ogni settimana ormai sono diventate parte della mia vita. Anche se non le conosco proprio tutte essendo centinaia di migliaia. È una protesta molto atipica. Non è mai stata rotta una vetrina, né attraversata una strada col rosso, o alzata una mano contro un poliziotto. Tutti hanno l’aria molto per bene, direi quasi tranquillamente borghese, tranquilli, c’è molta creatività, molti cartelli fantasiosi, il massimo della violenza è ogni settimana il tentativo di bloccare una strada principale. Molti veterani della guerra del Kippur, molti giovani, non mancano gli attori, gli artisti, gli ex generali, ex politici, i cantanti. Oggi, per caso, ne incontro alcuni.
Al teatro Habima, lungo la strada, incontro una giovane donna che sta organizzando un gruppo di ragazzini, tutti truccati come ostaggi feriti. Andare a destra o a sinistra? verso la protesta in piazza degli ostaggi o verso la protesta in via Kaplan? Si avviano verso la pazza degli ostaggi.
In via Kaplan i più arrabbiati sono i “Contro l’occupazione” che si sgolano in coro “ a Gaza e a Sderot i bambini vogliono vivere”. “La proposta di Biden secondo me non è abbastanza chiara” commenta, Shiri, 33 anni, “e lascia troppe possibilità a Bibi di riuscire a sgattaiolarne fuori. Non succederà nulla, purtroppo. Ma spero davvero di sbagliarmi, per i gazawi e per noi stessi”. Un signore che ci passa accanto ascolta ed esplode improvvisamente con una sola parola: “Mentirà!”. E poi ci ripensa: “È quello che sta facendo da sette mesi e anche da prima, non cambierà nulla”. Hanush, cinquantenne la pensa differentemente: “Lui accetterà la proposta di Biden naturalmente, gli ostaggi torneranno , ci saranno elezioni e lui verrà di nuovo eletto”. David: “La proposta di Biden è in realtà la proposta di Bibi stesso. Come farà ora a dire che non la accetta? E Hamas la accetterà?”.
E nel gruppetto che mi si forma attorno è adesso Iohai, quarantenne, a commentare: “La sua paura, anzi il suo terrore è che con il progetto di Biden si presuppone alla fine uno Stato palestinese, Biden ha dato ossigeno alla nostra protesta che è liberale e democratica, ma non siamo ancora abbastanza, dobbiamo arrivare ad essere un milione”, la popolazione israeliana conta nove milioni di anime.
“Biden è stato grandioso”, aggiunge Ziva, settantenne: “Io lo sento qui con noi che protestiamo. Non avremmo potuto immaginarci un amico migliore. Resta da sperare che quell’angelo della distruzione di Bibi non riesca in qualche modo a sciogliere anche questo accordo. Ha troppa paura dei suoi Smotrich e Ben Gvir”. Malka, 37 anni: “Ma anche a questo Biden ha pensato, la sua dichiarazione l’ha fatta di sabato, sapendo che Smotrich e Ben Gvir, essendo ebrei osservanti e quindi con televisione, radio, computer e cellulare spento, non avrebbero avuto la possibilità di potere dare una loro furiosa e immediata risposta pubblica, ma lo faranno tra poco e Bibi morirà di paura all’idea che gli facciano cadere il governo”, “e quello del processo per corruzione e di un eventuale arresto ha più paura che dello Stato palestinese”, aggiunge un passante.
Decido di cercare un taxi per tornare a casa in tempo e scrivere queste righe. Miracolosamente, lo trovo. Riapro i miei appunti e faccio la stessa domanda al tassista. Lui si gira e scoppia a ridere: “Mi chiamo Muhammad, sono palestinese israeliano. Certo che sono con Biden, e certo che sono per il ritorno degli ostaggi. E scriva che sono musulmano credente e che ciò che hanno fatto a quei poveri ostaggi è terribile. La nostra religione non è così. Lo scriva, ci tengo”.
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