TERRORISMO NON GUERRA. L’ERRORE CHE CONDIZIONA LA RISPOSTA da IL MANIFESTO
Terrorismo, non guerra. L’errore che condiziona la risposta
ISRAELE/PALESTINA. Annullare l’asimmetria tra le istituzioni politiche e la criminalità abbassa le prime al livello della seconda. Missili e bombe accrescono l’odio e rafforzano il terrore
Luigi Ferrajoli 10/10/2023
La guerra provocata dall’aggressione di Hamas è la conferma di un’ovvietà: la violenza genera solo violenza, l’aggressione violenta e disumana soltanto vendetta e rappresaglia.
Vendetta e rappresaglia di cui pagherà un prezzo altissimo il popolo palestinese. Gli attacchi di Hamas sono stati delle terribili azioni criminali, che hanno colpito centinaia di persone inermi e innocenti. Sono stati anche un regalo al premier Netanyahu, dato che hanno tacitato le proteste di piazza contro il suo governo, hanno neutralizzato l’opposizione, hanno fatto dimenticare le tensioni e i conflitti generati dalla sua assurda riforma giudiziaria e i suoi processi per corruzione e gli hanno conferito i pieni poteri. Naturalmente è vero anche il contrario. Queste politiche di Netanyahu, a loro volta, hanno enormemente rafforzato Hamas.
La questione di fondo che un approccio pacifista e soprattutto razionale ha il dovere di affrontare riguarda pertanto la natura delle aggressioni, sia pure atroci e altamente organizzate, quali sono state quelle di Hamas. Si è trattato di un atto di guerra o di un atto criminale di terrorismo?
Non è facile, in queste ore di angoscia e di orrore per le stragi disumane provocate da Hamas, insistere sull’importanza delle parole. Ma proprio questi orrori impongono di chiarire che le due qualifiche sono tra loro incompatibili perché diverse, anzi opposte sono le risposte che la nostra civiltà giuridica ha apprestato nei confronti dei due fenomeni. A un atto di guerra – quale soltanto gli Stati e i loro eserciti regolari, come insegnano i classici del diritto internazionale, possono compiere – si risponde con la guerra. A un crimine, sia pure gravissimo, si risponde con il diritto, cioè con l’identificazione e la punizione dei colpevoli. Fu un enorme regalo al terrorismo la qualificazione come «atto di guerra», anziché come crimine efferato, della strage dell’11 settembre 2001, che provocò la risposta della guerra dapprima contro l’Afghanistan e poi contro Iraq, i cui unici effetti furono decine di migliaia di morti innocenti e lo sviluppo del terrorismo jihadista, divampato da allora in tutto il mondo ed elevato, come aspira qualunque terrorismo, al rango di uno Stato in guerra.
Fu un altro stupido regalo chiamare «Stato» – «Isis» o «Stato islamico» – anziché semplicemente «organizzazione criminale» il successivo terrorismo jihadista e usare contro di esso, di nuovo, il linguaggio della guerra. Giacché è appunto la «guerra santa» che è voluta dai fondamentalisti, ed è come guerra santa che essi legittimano i loro assassinii e la loro ferocia.
Ma la politica non ha imparato nulla dalle tragedie del passato. È così che di nuovo, oggi, è un regalo di Netanyahu alle bande di Hamas qualificare con la parola guerra i loro eccidi terroristici. Chiamare «guerra» un atto criminale e conseguentemente la reazione nei suoi confronti equivale infatti ad annullare l’asimmetria tra le istituzioni politiche e la criminalità e a generare tra esse un’insensata simmetria, la quale abbassa le prime al livello della seconda o, che è lo stesso, innalza la seconda al livello delle prime.
La sola risposta razionale, oggi come in passato, dovrebbe essere invece quella asimmetrica – tanto più efficace e delegittimante quanto più asimmetrica – che si conviene ai crimini contro l’umanità: non quindi i missili e i bombardamenti, che provocando morte e terrore tra le popolazioni civili servono solo ad accrescere l’odio e le capacità di proselitismo dei terroristi, bensì le ben più difficili azioni di polizia, attuate naturalmente con mezzi militari adeguati ma dirette soltanto all’identificazione e alla neutralizzazione delle organizzazioni criminali.
È poi evidente che se configuriamo il terrorismo come un fenomeno criminale, dovremo anche comprenderne le cause, onde rispondere a esso non solo con i mezzi della repressione ma con politiche idonee a rimuoverne le ragioni. Le origini del terrorismo di Hamas sono assolutamente evidenti. Non si possono tenere milioni di persone, l’intero popolo palestinese, in una condizione di oppressione e di apartheid senza che a un certo punto una parte di questo popolo esploda in forme criminali.
È chiaro che la violenza non risolverà mai nulla. Può solo, come l’esperienza insegna, inasprire il conflitto, accrescere gli odi e la volontà di vendetta. La sola soluzione è politica. E qualunque soluzione politica non può che consistere nel capovolgimento della politica dell’attuale destra israeliana: nella promozione della convivenza pacifica, basata sui principi di uguaglianza e di laicità e perciò sul reciproco rispetto di tutte le differenze di identità, siano esse nazionali, o religiose, o politiche o culturali. È la stessa risposta razionale, del resto, che occorrerebbe dare alle tante sfide globali che minacciano il futuro dell’umanità.
Naturalmente, come sempre, la pace e l’uguaglianza, le loro condizioni e le loro garanzie sembrano soltanto un sogno. Ciò che, come sempre, il realismo politico preferisce è l’incubo.
Nove mesi di malgoverno sfruttati dalla destra religiosa
SANGUE SU SANGUE. È chiaro che da un lato in alcune aree si combatte ancora e allo stesso tempo la minaccia sembra essere data da diverse decine di palestinesi che si trovano ancora nel paese
Zvi Schuldiner 10/10/2023
Quando domenica si è saputo che i morti israeliani erano 700 e i feriti più di 2.200, l’orrore è dilagato. Nelle prime ore di lunedì, le fonti militari hanno cominciato a prepararci a numeri molto più alti, ma senza specificarli.
Mentre l’esercito annunciava la sua presenza in diversi punti del sud del paese e il ripristino delle protezioni che chiudevano la striscia di Gaza e avevano consentito di credere che tutte le conquiste della tecnologia avrebbero permesso di prevenire qualsiasi invasione e incursione, oggi è chiaro che da un lato in alcune aree si combatte ancora e allo stesso tempo la minaccia sembra essere data da diverse decine di palestinesi che si trovano ancora nel paese. Si sospetta che possano attaccare in diversi punti, magari anche lontano dal sud.
IL COMANDANTE dell’esercito in un’intervista pubblica dice di comprendere le reazioni popolari ma afferma che l’esercito israeliano saprà come ripristinare la situazione di sicurezza; non c’è posto per il terrore diffuso, un sentimento che sarà curato con il rimedio già ben noto: la guerra in cui l’esercito israeliano vincerà.
Chi sono i responsabili?
Anche se alcune fonti di destra già pretendono che l’effetto sorpresa si dipeso dal fatto che la polizia e altre forze dell’ordine erano assorbite dalle eccessive manifestazioni dell’opposizione israeliana, è abbastanza chiaro che un numero enorme di soldati era dedicato alla protezione dei coloni nei territori occupati.
Il malgoverno che tutti gli israeliani hanno dovuto subire negli ultimi nove mesi ha riguardato tutte le sfere dell’attività governativa, mentre i settori ultra-religiosi hanno continuato a sfruttare l’inazione del governo per attribuire centinaia di milioni alle casse di organismi le cui regole sono il super-indottrinamento e un’infinita corruzione, insieme allo sfruttamento dei settori più poveri.
NON SOLO sono sempre più numerose le voci sulla responsabilità del premier Benjamin Netanyahu, ma la tensione tra i settori ultrareligiosi e quelli laici progressisti si è enormemente acutizzata.
L’effetto devastante della tragedia nel sud del paese, le voci dei familiari delle vittime e di interi settori sociali, villaggi, kibbutz, popolazioni che non ricevono alcuna risposta ai loro bisogni, rende più facilmente comprensibili le problematiche discussioni circa il fatto che la «gravità della situazione» e il numero di morti, feriti e ostaggi nelle mani di Hamas, richiedano un cammino verso un «governo di emergenza nazionale».
IL GENERALE in pensione Benny Ganz sta già profilandosi come possibile associato, mentre il leader dei moderati, Yair Lapid, chiede l’esclusione dei ministri di estrema destra Smotrich e Ben Gvir: una richiesta abbastanza logica che Netanyahu non potrebbe accettare.
Smotrich e Ben Gvir non sono solo ministri: sono i leader politici dei gruppi di coloni più estremisti nei territori occupati. Smotrich ha già parlato della necessità di bruciare Hawara; insomma questo sarebbe necessario oggi – anche senza incendi – per «ripulire» la regione ed estendere il dominio dei coloni estremisti in Cisgiordania.
PER QUESTI grandi obiettivi e per la difesa dei coloni israeliani, minacciati dal «terrorismo palestinese», è necessario agire. E il grande piano di azione consisterebbe nell’espulsione dei palestinesi dalla loro terra, nell’esproprio delle loro proprietà. Ripulire e consolidare.
È evidente che la distanza territoriale e l’enorme shock del massacro di questi giorni, nascondono il fatto che si tratta sempre della stessa questione, con tutte le possibili differenze territoriali. Ma non si può nascondere la brutalità della guerra. Più di 400 palestinesi morti preludono a una maggiore violenza nei prossimi giorni e forse settimane. Lunghe settimane.
Necessità imperiali stanno spingendo gli Stati uniti a consolidare l’alleanza con l’Arabia saudita, che avrebbe già assicurato un aumento della produzione di petrolio. L’Iran ha molto aiutato Hamas in quest’azione, preparata nel corso dell’ultimo anno; si teme che spinga Hezbollah a riprendere gli attacchi contro Israele.
LA VIOLENZA e in alcuni casi la crudeltà delle uccisioni hanno suscitato, per la prima volta dopo molti anni, simpatia nei confronti di Israele. È comprensibile, di fronte alle immagini di prigionieri maltrattati e di persone massacrate. Ma questo non deve impedire un’azione chiara e forte a favore della cessazione di una guerra che potrebbe portare a gravissimi crimini contro i palestinesi.
La sorte degli ostaggi civili e dei prigionieri militari dovrà essere una delle possibili carte da giocare per aiutare a far pressione a favore del cessate il fuoco.
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