REFERENDUM SULL’AUTONOMIA, LE BUONE RAGIONI DELL’AMMISSIBILITÀ da IL MANIFESTO
Referendum sull’autonomia, le buone ragioni dell’ammissibilità
La legge Calderoli ha un collegamento solo formale con la legge di bilancio e non è costituzionalmente necessaria (lo dice anche Zaia). Il quesito poi è da considerarsi omogeneo
Gaetano Azzariti 14/11/2024
A gennaio, infatti, esauriti le verifiche di competenza della Cassazione, la stessa Corte costituzionale dovrà valutare se il referendum richiesto da 1.300.000 persone sia ammissibile. Per chi ritiene di dover contrastare non solo le incostituzionalità, ma il complessivo disegno politico di divisione dell’Italia che l’attuale maggioranza promuove è questo il passaggio decisivo.
Ci sono rischi che la Corte chiuda la porta al referendum, dichiarandone l’inammissibilità? Vista la storica indeterminatezza della giurisprudenza costituzionale in materia di referendum non può escludersi nessun esito. È però vero che tutte le obiezioni che vengono avanzate sembrano infondate, alla luce della stessa, pur controversa, giurisprudenza costituzionale. Appare pertanto utile esaminare i principali argomenti che dovrebbero indurre la Corte a non impedire che il corpo elettorale possa pronunciarsi ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione, esercitando un suo diritto costituzionale.
In primo luogo, si sostiene che la richiesta non sarebbe ammissibile perché «collegata con la legge finanziaria». In tal caso si dimentica però che la Corte ha sempre tenuto a precisare che per dichiarare inammissibili i quesiti referendari la connessione con la finanziaria deve operare «al di là della loro qualificazione formale». Non basta, dunque, una relazione solo apparente che, come scrive la Corte, «di per sé non idonea a determinare effetti preclusivi in relazione alla sottoponibilità a referendum» (così la sentenza n. 2 del 1994). La Consulta è del tutto consapevole che altrimenti basterebbe includere un qualunque disegno di legge tra i «collegati» alla finanziaria per impedire il referendum. Ora, è proprio questo il nostro caso: che il legame con la legge finanziaria sia puramente formale, è esplicitatamene confessato dalla dichiarazione di invarianza finanziaria (all’articolo 9, della legge n. 86 del 2024). La legge Calderoli è una legge di natura procedurale e non di spesa. Essa rinvia espressamente ad altre fonti le eventuali variazioni di bilancio. Dovrebbe, dunque, essere evidente che – usando le parole della stessa Corte – non sussiste il presupposto necessario per dichiarare l’inammissibilità.
In secondo luogo, è stato sostenuto che si tratterebbe di una legge «a contenuto costituzionalmente necessario». Senza però considerare che l’inammissibilità dei relativi quesiti è stata in passato causata dal timore manifestato dalla Corte che l’abrogazione determinasse «la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo Costituzione» (sentenza n. 35 del 1997). Non è questo il nostro caso: la legge Calderoli è una legge – lo si ripete – di natura procedurale, per nulla necessaria per dare attuazione all’articolo 116, terzo comma della Costituzione. Tanto è vero che le intese tra Stato e Regioni le si voleva approvare – tanto dal governo Gentiloni quanto dal successivo governo Conte I – anche in assenza di legge attuativa. Da ultimo è stato lo stesso maggior fautore dell’autonomia differenziata – il presidente Luca Zaia – ad affermare con arroganza che anche nel caso vincesse il referendum l’autonomia differenziata si può fare: reo confesso.
In terzo ed ultimo luogo, si denuncia una presunta «disomogeneità del quesito». Ma in questo caso non mi sembra si tenga conto che il referendum contro l’autonomia differenziata ha natura dichiaratamente abrogativa. Da questo punto di vista assolutamente in linea con quanto imposto dall’articolo 75 della nostra Costituzione, che prevede espressamente l’abrogazione totale dell’intera legge. Non è applicabile, dunque, al caso di specie tutta quella ampia e controversa giurisprudenza (ad iniziare dalla sentenza n. 16 del 1978) relativa alla necessaria «omogeneità» della richiesta referendaria, elaborata per limitare i referendum manipolativi o di abrogazione parziale della legge. Nel nostro caso, il rischio della disomogeneità è negato in radice, avendo la legge una matrice o finalità unitaria e non avendo i promotori operato alcuna artificiosa manipolazione del testo.
La scelta dei promotori del referendum è stata improntata alla chiarezza della domanda da sottoporre al corpo elettorale: unitaria e onnicomprensiva. Sarebbe contraddittorio ora imputare a tale univoca scelta di volere confondere l’elettore. Insomma, abbiamo buoni argomenti da far valere dinanzi alla Corte. Poi ad essa, certo, spetta l’ultima parola.
Sui temi di questo intervento si terrà stamattina a Roma, presso la facoltà di Giurisprudenza della Sapienza, un convegno di costituzionalisti dedicato appunto all’ammissibilità del referendum. Parteciperanno anche ex giudici della Corte costituzionale e due presidenti emeriti della Corte.
Avvocati della legge Calderoli in aula, tecnici dei Lep nella commissione
Il caso dei prof. Bertolissi e Giovanardi. Davanti alla Corte costituzionale hanno sostenuto le ragioni dell’autonomia
Domenico Cirillo 14/11/2024
Avvocati difensori della legge Calderoli e contemporaneamente componenti del Comitato tecnico di esperti che deve decidere la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), la chiave di volta per dare l’avvio al processo di «secessione dei ricchi» su cui spinge, più di altri, la Lega. L’udienza pubblica di martedì in Corte costituzionale è stata l’occasione per far cadere definitivamente il velo sulla presunta neutralità tecnica del Comitato Cassese, che da un anno e mezzo sta lavorando alla scrittura dei Lep e proprio in questi giorni ha deciso di accelerare per anticipare le decisioni sull’autonomia che arriveranno proprio dalla Corte costituzionale.
Andiamo con ordine. La Corte costituzionale dovrà esprimersi due volte sulla legge Calderoli. La prima valutando il ricorso diretto presentato da quattro regioni a guida di centrosinistra – Campania, Sardegna, Toscana e Puglia – che ritengono siano state violate le loro competenze. La seconda a gennaio ammettendo o meno la richiesta di referendum abrogativo presentata da 1.300mila elettori. I ricorsi diretti sono stati discussi in udienza martedì, la Corte ha fatto informalmente sapere che la decisione arriverà probabilmente a dicembre. In udienza si sono costituite contro le regioni che contestano la legge Calderoli, dunque in difesa della legge quadro che regola le intese tra Stato e regioni, tre regioni del nord a guida centrodestra: Lombardia, Piemonte e Veneto. La sorpresa è arrivata proprio dal Veneto, capofila delle regioni autonomiste. A rappresentare l’ente guidato da Luca Zaia infatti si sono alzati davanti ai giudici costituzionali gli avvocati e professori Andrea Giovanardi e Mario Bertolissi. Cioè due componenti del comitato presieduto da Sabino Cassese sui Lep.
Non è il caso di parlare di conflitto di interessi, anche perché c’è al contrario convergenza: il Comitato Cassese lavora a una definizione dei Lep tanto vaga da non offrire alcuna garanzia contro un aggravamento degli squilibri Nord Sud nelle prestazioni, dunque la difesa anche ufficiale e pubblica della legge Calderoli è del tutto coerente. Ma nulla più resta però della maschera tecnica e neutrale. Tanto più che la doppia veste del professor Giovanardi era già venuta alla luce, dal momento che si è trovato a far parte tanto del Comitato Cassese quanto della delegazione che rappresenta il Veneto nelle trattative per la devoluzione delle materie con il ministro degli affari regionali Calderoli. E non finisce neanche qui, visto che il professor Bertolissi e il professor Giovanardi, i due difensori della legge Calderoli davanti ai giudici costituzionali, come diverse settimane fa aveva raccontato il manifesto, fanno parte anche della Commissione tecnica sui fabbisogni standard. Una posizione chiave dal momento che si tratta di un ristretto gruppo di «tecnici» che dovranno riempire di sostanza (e di quantificazioni economiche) quei Lep che il Comitato Cassese, vuoi per fretta vuoi per convenienza, si avvia a lasciare scarsamente definiti.
Il Veneto a guida leghista dunque è al cuore della «convergenza di interessi» dei sostenitori dell’autonomia differenziata. Del resto dal Veneto e dalla medesima delegazione trattante con lo Stato veniva anche la professoressa Elena D’Orlando, che della Commissione tecnica è persino la presidente. Per le polemiche ha lasciato un incarico, uno solo, quello di rappresentante della regione al tavolo con il governo. Meno decisivo.
No Comments