QUESTI “MODERATI” FANNO PIÙ DANNI DEGLI ESTREMISTI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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QUESTI “MODERATI” FANNO PIÙ DANNI DEGLI ESTREMISTI da IL FATTO

Questi “moderati” fanno più danni degli estremisti

FILORETO D’AGOSTINO  27 LUGLIO 2024

Nella voce “moderato” del dizionario della lingua italiana Devoto Oli si legge: “In politica, contrassegnato da un atteggiamento di centro, programmaticamente alieno da ogni estremismo e spesso da ogni novità”. Si configurano così soggetti politici caratterizzati da conservatorismo illuminato, prudenza ed equilibrio rispetto alle proposte sociali ed economiche dei partiti posizionati rispettivamente alla loro destra e sinistra.

Se si cerca la personificazione politica di quei concetti nell’attuale frangente, si scopre che mai come ora l’uso della parola “moderato” non trova corrispondenza perché chi tale si dichiara è esattamente l’opposto di quel modello. Lo prova anzitutto la legge sull’autonomia differenziata, votata con entusiasmo anche da Forza Italia e altri raggruppamenti “moderati”. È ormai pacifico che quella legge è destinata a stravolgere l’assetto della nazione, a determinare profonde disfunzioni e perfino la secessione morbida di alcune regioni.

Ciò era ben chiaro al presidente della Calabria Roberto Occhiuto, che da “moderato” si era rivolto ai suoi compagni di partito ed area per impedire lo sfacelo. Niente da fare. Soggetti “alieni da ogni estremismo” hanno benedetto l’apoteosi dell’estremismo antinazionale costituito dalla legge sull’autonomia differenziata. Un tradimento dell’idea di Nazione consumato anche dagli autoproclamati patrioti! Occhiuto propone una moratoria. Vediamo come se la caveranno i “moderati” di governo.

A costoro non è mancato l’entusiasmo anche quando hanno votato la riforma del premierato, sulla quale l’Europa manifesta serie perplessità (esposte in coro dalla generalità dei giuristi nonché da chi scrive). I moderati sono europeisti per definizione e, per la particolare sensibilità rispetto al patrimonio cultural-giuridico delle istituzioni comunitarie, non sarebbero mai dovuti cadere nell’errore di approvare un provvedimento destinato a comprimere forse in modo irreversibile la democrazia nel nostro Paese. Il premierato, comunque lo si guardi, è puro estremismo ideologico, presentato alla Meloni da un Dulcamara poco uso alla meditazione sui concetti giuridici come soluzione definitiva per tutti i mali della governabilità. Anche i veleni possono rivelarsi soluzioni definitive, ma di solito cagionano la morte.

Sempre i moderati nostrani non vanno d’accordo con la magistratura, con un atteggiamento che travalica i singoli episodi. Reati come l’abuso d’ufficio vengono eliminati con l’effetto di consentire agli amministratori ogni genere di sopruso e di nepotismo ed anche qui l’Europa ci rammenta che quel reato sarebbe assai utile per la lotta alla corruzione. Sempre i moderati nel Csm non stanno muovendosi d’un millimetro per consigliare caldamente all’avvocato Natoli un ritiro doverosissimo come dimostra il professor Benedetti sul Fatto del 26 luglio. Non proprio il massimo per chi intende difendere le istituzioni contro ogni estremismo. Per non parlare del contegno assunto sulla vicenda Toti, presentato come l’uomo per tutte le stagioni del dramma di Robert Bolt, cioè un Tommaso Moro confinato ad Ameglia anzi che destinato alla torre di Londra.

Nessun moderato ha messo al primo posto la Regione Liguria, illegittimamente tenuta in scacco amministrativo e strategico per quasi tre mesi in violazione dell’art. 41, c. 2 dello Statuto Liguria secondo il quale la sostituzione del vicepresidente è ammessa solo “in caso di impedimento temporaneo” e l’impedimento di Toti fin dall’arresto non era assolutamente temporaneo! Sempre i moderati si occupano pochissimo di diritti civili e questo viene criticato con durezza da un personaggio del calibro di Marina Berlusconi. Perfino la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri (sulla quale chi scrive e molti giuristi concorderebbero) viene proposta al di fuori di un quadro organico di riforma: senza idee di fondo su come ristrutturare l’intero ordinamento giudiziario. Più che una riforma sembra una vendetta postuma contro quei cattivoni dei pm.

Mancano le idee e, prima ancora, manca il senso della prudenza e dell’equilibrio. A chi si professa moderato con quel bagaglio di decisioni per l’assoluto estremismo val bene replicare l’irriverente “Ma mi faccia il piacere” del grande Totò, maestro della risata.

Sanità: per ridurre le attese si riparta dalla riforma Bindi

GIANDOMENICO CRAPIS  27 LUGLIO 2024

Le liste di attesa, insieme alla crisi dei Pronto soccorso, sono il problema più serio della sanità pubblica, presa d’assalto da un sistema privato che vede aprirsi davanti a sé spazi di profitto insperati, come dimostrano i sempre maggiori investimenti nel settore di molte aziende provenienti da altri comparti. Il recente decreto del governo è destinato a fallire, come denunciano le Regioni, perché privo delle risorse economiche e di personale necessarie; senza considerare che il medesimo decreto finirebbe per alimentare la crescita della sanità privata utilizzata per coprire le carenze di quella pubblica, alimentando così un circolo vizioso ai danni di quest’ultima.

Se vogliamo davvero affrontare una questione che mina alla radice il diritto del cittadino, qualsiasi sia il suo livello economico, di ricevere uguale assistenza per la sua salute, allora bisogna avere il coraggio di reintrodurre la norma che alla fine degli anni ’90 l’allora ministro Rosi Bindi varò per disciplinare l’attività dei medici del Ssn, norma che, vietando il part time, imponeva il tempo pieno ai sanitari pena l’impossibilità di fare carriera nel sistema pubblico: il che significò l’aumento della disponibilità in corsia e negli ambulatori specialistici di migliaia di unità di personale che non si voleva precludere la strada per un primariato o un posto apicale. La norma, oltre ad avere una ricaduta positiva perché aumentava le prestazioni offerte, visto che crescevano le ore di lavoro del personale sanitario dentro gli ospedali, aveva anche una sua ragione, diciamo, etica: uno Stato che spendeva molti soldi per provvedere alla formazione dei medici era giusto che fissasse dei paletti affinché questi restassero nello stesso ambito pubblico che li aveva formati anziché migrare verso il privato e alimentare la concorrenza.

Dunque basterebbe avere il coraggio di riproporre quella norma, che Berlusconi si preoccupò di cancellare non appena ritornato al governo nei primi anni duemila, per fare un deciso passo in avanti in direzione del taglio delle liste di attesa: più medici a tempo pieno, più ore di disponibilità nei reparti e negli ambulatori, più visite ed esami espletati. Si badi bene che non ci sarebbe nulla di illiberale o di coercitivo in un fatto del genere, anche perché i medici verrebbero lasciati liberi di optare, se lo volessero, per il part time, per poi magari andare a lavorare fuori dal sistema pubblico: verrebbe solo loro inibita la possibilità di assumere ruoli dirigenziali apicali. Ma tanto basterebbe ad incoraggiare verso il tempo pieno tanti medici, per lo più giovani, non disposti a rinunciare alla carriera.

Ritengo che questo sia un aspetto essenziale della battaglia sulla sanità che le sinistre ed il campo progressista hanno giustamente intrapreso, un aspetto però che nelle rivendicazioni delle opposizioni non è ancora stato sottolineato abbastanza. Ed invece occorrerebbe battere con forza su questo tasto, che poi è quello dell’incompatibilità, oltre che su quello delle risorse economiche insufficienti, se si vuole invertire la tendenza che vede la sanità pubblica languire tra carenze di personale e di soldi. Non è facile perché nel frattempo si è andati proprio nella direzione contraria, ma è necessario, se si vogliono cambiare le cose. Se si vuole davvero salvare il Ssn e scongiurare la deriva americana verso una sanità per soli ricchi, vergognosamente classista. L’opposizione deve avere il coraggio di riprendere e riproporre una delle (non moltissime) cose buone fatte nel passato, scontando, perché no, qualche possibile mal di pancia dentro il proprio schieramento, investito e confuso anch’esso dalla micidiale sbornia liberista che ha ubriacato la politica dell’ultimo quarto di secolo.

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