PONTE SULLO STRETTO E AUTONOMIA DIFFERENZIATA: ARMI DI DISTRAZIONE E DISTRUZIONE da IL MANIFESTO e ILFATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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PONTE SULLO STRETTO E AUTONOMIA DIFFERENZIATA: ARMI DI DISTRAZIONE E DISTRUZIONE da IL MANIFESTO e ILFATTO

Riecco il Ponte sullo Stretto, arma di distrazione di massa

Nessun privato è disposto a rischiare sull’incertezza e Bruxelles ha già fatto sapere che non si può attingere al Pnrr perché l’opera dovrebbe essere finita entro il 2026

Tonino Perna  22/11/2022

Una sorta di accanimento terapeutico, puntuale a ogni cambio di governo di centro-destra. Il Ponte sullo Stretto come panacea, che risolverà tutti i mali del Sud. La questione meridionale è fuori dall’agenda politica e dalle vere priorità dei governi della Repubblica dagli anni ’90 del secolo, quando divenne il centro del dibattito politico la “questione settentrionale” con l’emergere della Lega Nord di Bossi.

Ancora il Ponte anche se si sa che lo Stretto di Messina è un territorio fragile, che Sicilia e Calabria si staccano di un centimetro ogni 5 anni (per questo c’è chi ha pensato persino ad un ponte elasticizzato),che siamo in una delle zone sismiche più pericolose del mondo, dove nel 1908 morirono centomila persone, il numero di vittime più alto nel secolo scorso.

Non c’è ancora un progetto definitivo, non si sa quanto costa e chi ci mette i soldi, ma in compenso escono i numeri al lotto su alcuni organi di stampa: 7 miliardi dieci anni fa e quattro miliardi adesso, alla faccia dell’inflazione. Nessun privato è disposto a rischiare un soldo su un opera con questi gradi di incertezza e Bruxelles ha fatto già sapere che non si può attingere alle risorse del Pnrr perché l’opera dovrebbe essere completata entro il 2026. Ovviamente non è possibile: per l’ammodernamento della Salerno- Reggio Calabria ci son voluti trent’anni.

Soprattutto, nessun progetto finora si è visto che consenta solo di immaginare come si colleghi il Ponte alle autostrade e stazioni ferroviarie sulla sponda calabrese e siciliana. Tutti i mass media presentano da anni una foto- rendering (sempre la stessa) che poggia il Ponte sulle due sponde. Bellissimo. Ma come ci si arriva? Dalla parte siciliana la ferrovia arriva a sud della città e Ganzirri, dove dovrebbe sorgere il pilone portante, è situato nella parte opposta a circa 20 km. Per portare i binari a 90 metri in quota bisognerebbe rifare un bel pezzo di tracciato ferroviario e passare sopra la testa delle case sulla collina o scavare gallerie in un terreno di sabbia pura che procura da diverso tempo danni alle abitazioni esistenti, con frequenti smottamenti.

Ugualmente dalla sponda calabrese, la ferrovia dovrebbe ripartire da Gioia Tauro e passare dentro le montagne di Palmi, Bagnara, Scilla per sbucare sulla testa degli abitanti di Cannitello. Per non parlare dell’autostrada. Un costo enorme, un impatto ambientale spaventoso, una pura follia.
Il Ponte sullo Stretto è diventato una possente “arma di distrazione di massa” come la definì Alessandro Bianchi, ex ministro dei Trasporti e Rettore della Università Mediterranea agli inizi di questo secolo. Purtroppo, non sono solo le forze politiche del centro-destra ad essere dei fan del Ponte, ma anche una parte del Pd è favorevole, e non da adesso. Ricordo quando durante la campagna elettorale del 2001 l’allora candidato del centro-sinistra Giorgio Rutelli intervenendo nella Facoltà di Scienze Politiche a Messina dichiarò: Il Ponte lo farò io e verrò qui ad inaugurarlo nel giugno del 2011.

Quello che mi stupisce è il silenzio dei presidenti delle altre Regioni meridionali. Nel momento in cui stanno tentando di espellere dal welfare italiano il Sud, dandogli il colpo di grazia con l’autonomia fiscale differenziata, stanno scippando in silenzio le risorse del Pnrr che l’Ue ci ha dato proprio per il basso reddito pro-capite e alta disoccupazione del Mezzogiorno, la classe politica meridionale sembra si sia svegliata solo ora con la proposta di legge Calderoli, quando erano chiarissime le priorità di questo governo.

Il Ponte sullo Stretto come suprema opera di regime, come simbolo del primo governo di destra-destra della Repubblica italiana, come specchietto per le allodole meridionali: non potete lamentarvi, vi stiamo per regalare un’opera che farà decollare il Mezzogiorno, che porterà milioni di posti lavoro e miliardi di turisti. E i sindacati? O meglio Cgil e Uil perché la Cisl è diventata la ruota di scorta del governo. Non si rendono conto delle condizioni del Mezzogiorno, di come siano peggiorate negli ultimi anni! Basterebbe guardare i dati dell’inchiesta di Italia oggi sulla “qualità della vita” nelle province italiane: nella graduatoria finale, sintesi di 92 indicatori, le prime migliori 64 province sono del centro-Nord, non ce n’è una sola del Mezzogiorno. Ugualmente rispetto ai tassi di disoccupazione: si passa dal 2-3% di Pordenone, Bergamo, Livorno ai 22% di Messina, Napoli, Crotone (ben ultima), con le prime migliori 60 province tutte del Centro-Nord.

L’autonomia differenziata sarà irreversibile. Cari partiti, abbiate coraggio e ammettete l’errore

Anna Maria Bianchi  21/11/2022

Su impulso del ministro leghista Roberto Calderoli, l’autonomia regionale differenziata sta avanzando a grandi passi, mentre all’opposizione il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle non prendono una posizione netta, anche perché entrambi i partiti l’hanno portata avanti, in misura diversa, nei governi precedenti.

Tutto è cominciato dalla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 ad opera di governi del centrosinistra per fronteggiare le spinte federaliste della Lega Nord, forse senza comprendere appieno i rischi a cui la sua attuazione avrebbe esposto l’unità della Repubblica e i diritti dei cittadini. Rischi che però erano invece già molto chiari quando il governo Gentiloni, quattro giorni prima delle elezioni politiche del 2018, aveva sottoscritto le pre intese con Lombardia, Veneto, Emilia Romagna.

Non sappiamo quanto abbia sufficientemente valutato le conseguenze, soprattutto per il suo bacino elettorale del Sud, il Movimento Cinque Stelle, che ha sottoscritto il progetto nel patto con Salvini nel 2018 , ma che l’ha portato avanti anche nei governi con il Partito Democratico, fino a Draghi. Sicuramente non sapevano cosa i vari governi stessero apparecchiando i cittadini, a cui nessuno l’aveva raccontato, dato che le voci contrarie che si sono levate in questi anni non hanno mai trovato eco nel dibattito politico e ben poco sui media*.Ma ormai da tempo sappiamo che il regionalismo differenziato, che avrebbe dovuto valorizzare le peculiarità dei territori, è in realtà un micidiale strumento di divisione e di disuguaglianza. E non si tratta solo della ingiusta ridistribuzione delle risorse e delle inevitabili differenze nei servizi – anche con i famosi LEP Livelli Essenziali delle Prestazioni, che per l’appunto non garantiscono prestazioni omogenee già dalla definizione anche se fossero introdotti – ma della distruzione dell’identità comune, così faticosamente raggiunta da una nazione di soli centocinquant’anni, che ha saputo riconoscersi e affrancarsi grazie alla sua straordinaria Costituzione.

Se l’autonomia diventerà realtà, non renderà solo incolmabile la distanza tra il ricco nord e il povero sud, ma consegnerà ciò che il nostro Paese ha di più prezioso – l’ambiente, i beni culturali, la scuola, la cura delle persone – alle maggioranze politiche regionali del momento, che potranno piegarle a ideologie e convenienze, deciderne privatizzazioni, usarne il potere per estrarre consenso. Non ci vuole molta immaginazione: basta guardare, dietro al velo squarciato dalla pandemia, come è stata ridotta la sanità anche nelle ricche regioni del nord.

E si tratterebbe di una scelta irreversibile: una volta smontato lo Stato, divise le competenze, attribuiti gli edifici, avviate le assunzioni del personale, non si potrà più tornare indietro. L’Italia sarà definitivamente divisa in tante piccole repubbliche con leggi e regole diverse, guidate da potentati che su una enormità di materie potranno decidere i destini dei territori, dei lavoratori, delle persone, senza alcun ente sovraordinato come contrappeso e garante del destino comune.

Ma anche di fronte a un quadro così terribilmente chiaro, i partiti sembrano non avere il coraggio di fare marcia indietro, di ammettere che la riforma del titolo V è stato un errore dovuto a un momento in cui la prospettiva sembrava diversa, o dire almeno che attuare oggi l’autonomia, in un Paese provato dalle conseguenze di una serie di eventi negativi inimmaginabili, sarebbe una catastrofe di cui pagherebbero il prezzo soprattutto i più deboli.

DAL BLOG DI MARINA BOSCAINO

L’autonomia differenziata accrescerà le diseguaglianze: dalla Cei parole importanti

Non è mai troppo tardi per cambiare una strada sbagliata, soprattutto se porta alla distruzione di tutto quello che è stato costruito da tante donne e uomini che si sono battuti – spesso sacrificati – per fare dell’Italia un Paese democratico e giusto, dove le risorse fossero distribuite in base ai bisogni e non agli interessi, e dove le persone avessero pari diritti e dignità, indipendentemente dalla classe sociale o dal luogo di nascita.

Forse la maggioranza che oggi è al governo del Paese approverà comunque l’autonomia differenziata – nonostante, tra l’altro, sia agli antipodi della linea da sempre seguita dal primo partito della coalizione – ma i partiti che avranno il coraggio di dire con forza che è una scelta profondamente sbagliata avranno fatto il primo importante passo per riconquistare la fiducia di tutte quelle persone che ancora testardamente vogliono battersi per un mondo migliore per tutti. Che sono le uniche con cui si può lavorare per un vero cambiamento, che tutti invocano, ma che nessuno si mette davvero a costruire.

* con l’eccezione di Il Manifesto, Il Fatto quotidiano e alcune testate locali: al nord per informare entusiasticamente dei progressi, al sud per segnalare i rischi

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