NORDIO DIFFAMA I PM E TIFA PER L’IMPUNITÀ DEI POLITICI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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NORDIO DIFFAMA I PM E TIFA PER L’IMPUNITÀ DEI POLITICI da IL FATTO

Nordio diffama i Pm e tifa per l’impunità dei politici

Antonio Esposito  26 Gennaio 2025

L’ira funesta del fustigatore Carlo Nordio, ex procuratore aggiunto di Venezia assurto incredibilmente ai fasti del prestigioso incarico di Guardasigilli, si è nuovamente abbattuta, come avviene quasi giornalmente, sui magistrati allorquando nel Senato della Repubblica, novello Saint-Just, ha tuonato: “Quanto al timore che il pm diventi un super poliziotto la risposta è assai semplice: nel sistema attuale esso è già un super poliziotto, con l’aggravante che, godendo delle stesse garanzie del giudice, egli esercita un potere immenso senza alcuna reale responsabilità. Oggi, infatti, il pm non solo dirige le indagini, ma addirittura le crea attraverso la clonazione del fascicolo, svincolata da qualsiasi parametro e da qualsiasi controllo, che può sottoporre una persona a indagini occulte, eterne, che creano disastri finanziari irreparabili. Pensiamo a quante inchieste sono state inventate nel vero senso della parola e si sono concluse con ‘il fatto non sussiste’ e sono costate milioni di euro”.

Si tratta di affermazioni che hanno una devastante valenza diffamatoria perché si accusano i pm di “creare le indagini mediante la clonazione di fascicoli”, peraltro “svincolate da qualsiasi controllo”; di svolgere “indagini occulte” e di “inventarsi le inchieste nel vero senso della parola”. In sostanza, il Nordio accusa i magistrati di commettere gravi misfatti, addirittura reati.

Ciò posto, una prima domanda si impone: perché Nordio – che, per essere Guardasigilli, ha il potere di proporre l’azione disciplinare – non è intervenuto, con accertamenti e ispezioni, per far disciplinarmente processare e condannare i pm, autori, a suo dire, di così gravi misfatti e farli espellere dall’Ordine giudiziario siccome indegni di appartenervi? La risposta è molto semplice: perché a “inventarsi” l’esistenza di quegli abusi è stato proprio l’ineffabile ministro, laddove le “inchieste inventate” altro non erano che normali indagini nei confronti di uomini politici e personaggi importanti scaturite dall’obbligatorio esercizio dell’azione penale e sfociate in processi svoltisi secondo le regole di rito, nel rispetto della dialettica processuale e del principio costituzionale del giusto processo.

Ma una seconda questione si pone: se il pm è già oggi, secondo Nordio, un “super-poliziotto”, lo sarà ancora di più con la separazione delle carriere che creerà un corpo compatto, monolitico, di pm saldamente integrato con le forze di polizia giudiziaria – polizia, carabinieri, guardia di finanza, che strutturalmente sono alle dipendenze dell’esecutivo – portato necessariamente sempre di più ad appiattirsi alle logiche poliziesche. Ma questo non sembra preoccupare il ministro perché egli, nella sua prospettiva della separazione delle carriere e nel possibile prossimo avvento del “premierato forte” (da lui auspicato), forse ritiene che, prima o poi, la soluzione ineludibile sarà quella della previsione di un organo gerarchicamente superiore che dovrà esercitare quel controllo – della cui mancanza oggi si duole il ministro – sì da far cessare quelli che lui considera abusi e misfatti dei super-poliziotti. Potrà cioè impedire o bloccare quelle pericolose inchieste così poco gradite al potere esecutivo e a quella classe politica che, da anni insofferente al controllo di legalità, professa la supremazia del primato della politica sul primato della legge.

Danno giudiziario

marco travaglio  26 Gennaio 2025 

Mentre migliaia di magistrati con la Costituzione in mano uscivano dalle aule dell’anno giudiziario quando parlavano i rappresentanti dello sgoverno, più di tante parole colpiva un silenzio: quello del presidente Mattarella, garante supremo della Costituzione e dunque anche del potere giudiziario. Ma forse è meglio così: l’ultima volta che ha aperto bocca è stato per elogiare un ex premier pregiudicato per corruzione e finanziamento illecito che, dopo aver vilipeso la Giustizia del suo Paese, vi si era sottratto dandosi alla latitanza in Tunisia. Non resta che rimpiangere Pertini, Scalfaro e Ciampi che, quando i governi attaccavano la magistratura, trovavano sempre il modo di farsi sentire e, quando ricevevano leggi indecenti e incostituzionali, le rispedivano indietro anziché firmarle. Non è la prima volta che le toghe protestano: il primo sciopero fu nel 1991, contro le picconate di Cossiga; il secondo nel 2002, contro le porcate di B. e del suo ingegner ministro Castelli, che pochi mesi prima avevano indotto il grande Borrelli a lanciare il suo “resistere resistere resistere”. A riprova del fatto che oggi in Italia non c’è alcuna “svolta”, tanto meno “fascista”, “trumpiana” od “orbaniana”: solo gli ultimi cascami del berlusconismo.

L’altra differenza rispetto all’infame trentennio è che allora la società civile era viva e attiva: Girotondi, Popolo Viola, V-Day e MeetUp di Grillo. Oggi è addormentata, impotente, sfibrata, sfinita, rassegnata. Un po’ perché l’indignazione non è eterna, un po’ perché ci sono problemi di sopravvivenza più urgenti, un po’ perché la magistratura ha perso consenso per scandali veri e accuse false. Ma anche per gli errori dell’Anm, che non è riuscita a comunicare efficacemente i danni causati dalle schiforme ai cittadini. E ha perso credibilità criticando e isolando un ottimo ministro come Bonafede che realizzava le aspettative dei magistrati e delle persone perbene con le uniche serie riforme anticorruzione, antimafia e antievasione degli ultimi 30 anni, e poi balbettando sulle boiate della Cartabia, salvo scioperare tardivamente contro l’ordinamento giudiziario escogitato dalla ministra-sciagura dei sedicenti “migliori”. Poi ci sono le responsabilità della cosiddetta “sinistra” – il Pd e i suoi derivati – che oggi si batte a parole contro la separazione delle carriere dopo averla sdoganata varie volte in nome di un “garantismo” di cui ignorano financo il significato. Dalla Bicamerale del 1997 alla mozione congressuale presentata nel 2022 da Serracchiani, Delrio, Guerini, Alfieri, Malpezzi, Orfini &C.: “Il tema della separazione delle carriere appare oggi ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”. L’opposizione è una cosa troppo seria per affidarla a gente così.

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