MA DAVVERO LEVI HA FATTO TUTTO DA SOLO? da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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MA DAVVERO LEVI HA FATTO TUTTO DA SOLO? da IL MANIFESTO e IL FATTO

Cialtroni «kafkiani» di regime

BUCHMESSE. A proposito della esclusione di Carlo Rovelli, poi rientrata, dalla Fiera di Francoforte

Tommaso Di Francesco  14/05/2023

Ma il fisico Carlo Rovelli non doveva ricevere un invito a pranzo dal ministro Crosetto, dopo il suo discorso del Primo maggio a Roma contro la guerra in Ucraina e contro i piazzisti di morte e di armi? Nel quale chiamava in causa, senza nominarlo, il ministro della Difesa, storico rappresentante del complesso militare-industriale?

Per buoni tre quarti della giornata di ieri, invece dell’invito a pranzo, a Carlo Rovelli è arrivata una scomunica insieme italiana e internazionale: è stato cancellato il suo discorso in rappresentanza dell’Italia, quest’anno Paese ospite, alla Buchmesse, la grande Fiera del libro di Francoforte, con una lettera di Ricardo Franco Levi, commissario straordinario del governo per la Buchmesse 2024, già sottosegretario con il governo Prodi.

Una missiva kafkiana, tra Metamorfosi e Il processo: «Bisogna evitare che un’occasione di festa e di giusto orgoglio nazionale si trasformi in un motivo di imbarazzo per chi quel giorno rappresenterà l’Italia»; aggiungendo significativamente dopo il ben servito: «E non le nascondo la speranza che il nostro Paese sia rappresentato al massimo livello istituzionale».

Parole chiare, specchio di una Cultura vergognosamente subalterna al potere, dalle quali traspariva che la decisione non era del solo «commissario» se già auspicava e prevedeva un cambio, preparato e indicato da chi se non «dall’alto», visto anche che la Buchmesse è tra le istituzioni culturali più rappresentative al mondo. Puzza di regime è dire poco.

Si sono strappati i capelli, Crosetto e il ministro della «cultura» Sangiuliano per dire che loro non c’entravano. Eppure il Primo maggio la Rai prendendo le distanze da Rovelli, denunciava il «mancato contraddittorio»: come se un intellettuale che accusa pubblicamente il clima di guerra imperante possa essere messo sullo stesso piano di un ministro il cui governo a man bassa assume tutti i posti chiave dell’informazione; impegnato com’è nell’operazione «egemonia cultuale» senza idee – se non quelle xenofobe e razziste alla Lollobrigida – o di revisionismo storico anti-antifascista.

Poi il colpo di scena finale in serata: il «commissario per il governo» ha invitato di nuovo Carlo Rovelli a partecipare all’inaugurazione della Buchmesse «per condividere con noi la bellezza della ricerca e il valore della conoscenza». I neo-egemonici di destra hanno capito, ma proprio alla fine, che così facendo avevano costruito un vero caso politico boomerang. Quando la pezza è peggiore del buco.

Servitù volontaria

Marco Travaglio  14 MAGGIO 2023

Va letta e riletta, la lettera di Ricardo Franco Levi, “Commissario Fiera del Libro di Francoforte del 2024”, che comunica al “professore carissimo” Carlo Rovelli di aver annullato la sua lezione alla Buchmesse dell’anno prossimo per i delitti di pacifismo e leso Crosetto. “Con grande pena, ma senza infingimenti”. Per non trasformare “un’occasione di festa e giusto orgoglio nazionale in motivo di imbarazzo per chi rappresenterà l’Italia… al massimo livello istituzionale”. Il dolente scrivente avverte tutto “il peso di questa lettera, che mai avrei voluto scrivere” (sic) e spera “che possa contribuire a non farmi perdere la sua amicizia”. Gran finale: “Con l’augurio di poter presto leggere un suo nuovo libro… le invio il migliore dei saluti”. Manca solo l’epigrafe che Longanesi voleva stampare sul Tricolore: “Tengo famiglia”.

La lettera è un reperto d’epoca, anzi d’epoche, perché avrebbe potuto scriverla qualunque prototipo d’intellettuale italiano in uno qualsiasi degli ultimi sei o sette secoli. È un capolavoro di servitù volontaria, dunque non richiesta, che spiega perché qui l’unica cultura degna di nota è quella autoritaria, qualunque sia l’autorità: l’intellighenzia non si concepisce come contropotere, ma come protesi e lingua del potere. Ha sempre bisogno di un padrone da servire. Se il padrone ordina, obbedisce. Se l’ordine non arriva, lo previene. Se il padrone cade, se ne cerca un altro. E non cambia mai idea, non avendone di proprie: cambia soltanto padrone. Il tapino Ricardo (con una c sola) – già giornalista per insufficienza di prove di Sole 24 oreCorriereGiornoMessaggero e Stampa, fondatore-affondatore dell’Indipendente “liberal” (senza e), sottosegretario di Prodi, portavoce di Veltroni e ora presidente degli editori – è persino sincero, nella sua viscida cortigianeria censoria. Per lui, come per ogni maggiordomo, un intellettuale che critica il potere non è normalità democratica: è un’anomalia da stroncare prima che faccia precedente. Più del censore, che ora si rende due volte ridicolo con la retromarcia per ordine del governo, fanno pena i censori del censore (tipo Crosetto, che aveva invitato Rovelli a occuparsi di buchi bianchi e non del buco nero dei suoi conflitti d’interessi armati). Sono come Levi: per 15 mesi hanno stilato liste di fantomatici putiniani, silenziato e insultato i pacifisti, tentato di chiudere i programmi che li ospitano, ostracizzato artisti e autori russi (memorabile, ieri, il teatrino di Vespa e altri camerieri ai piedi di Zelensky). Ora la censura “liberal” e “progressista” si salda con quella della destra, che ne raccoglie i frutti senza neppure muovere un dito. Come disse Mussolini negli ultimi giorni di Salò: “Come si fa a non diventare padrone in un Paese di servi?”.

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