L’OCCIDENTE IMPARI DAI “BRICS”: AFFARI E CONVIVENZA PACIFICA da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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L’OCCIDENTE IMPARI DAI “BRICS”: AFFARI E CONVIVENZA PACIFICA da IL FATTO

L’occidente impari dai “Brics”: affari e convivenza pacifica

Angelo D’Orsi   13 Marzo 2025

Un acronimo si aggira per il mondo, paroletta sonora e misteriosa, che suscita inquietudine in Occidente, speranza in Oriente, in Sudamerica e in Africa: Brics! Di che si tratta? Nata come Bric nel 2009 dalle iniziali dei Paesi fondatori (Brasile, Russia, India Cina), due anni dopo è stata arricchita dall’adesione del Sudafrica. Dopo un lungo periodo sottotraccia, cominciano le richieste di altri Stati, alcuni accettati (Indonesia, Iran, Emirati Arabi, Egitto, Etiopia, Arabia Saudita, che poi ha congelato l’ingresso), e ora si può dire che ci sia una fila d’attesa di “partner” che prima o poi diventeranno membri a tutti gli effetti.

Questa libera associazione, che non è (ancora) un’alleanza politica né militare rappresenta una potenza economica e commerciale di cui l’Occidente dovrebbe cominciare a tener conto. Un libro appena uscito è un prezioso vademecum che ogni politico e commentatore farebbe bene a tenere in borsa: lo ha scritto Margherita Furlan, una giornalista che ha lavorato a lungo con Giulietto Chiesa e oggi dirige La Casa del Sole Tv. Il titolo, Brics. Scacco matto. L’ultima scelta: vivere o morire, certamente ridondante, ricorre all’espediente retorico per sottolineare l’urgenza di un cambiamento epocale. L’autrice è stata – unica italiana e unica occidentale – al vertice di Kazan (quarta città, per abitanti, della Federazione russa e capitale della Repubblica del Tartastan) nell’ottobre 2024. I Paesi partecipanti sono stati 36 più sei organismi internazionali (tra cui l’Onu). Il libro racconta, in un reportage che è un tentativo di analisi geopolitica, questa associazione dei Brics che procede verso una progressiva aggregazione produttiva, commerciale e finanziaria (e prima o poi giungerà a espellere il dollaro), a forte velocità, superando di gran lunga la potenza del G7 ormai in declino, il cui Pil complessivo è passato dal 52% del 1990 a un modesto 29% di oggi, mentre i Brics hanno superato la quota del 40% della ricchezza globale. I suoi membri, che rappresentano ormai circa la metà della popolazione mondiale, sono leader in molti settori decisivi: petrolio, principali colture primarie (grano, mais, olio, patate…), minerali strategici (ferro, rame, nichel…), gas naturale e sono in testa anche nelle energie rinnovabili.

“Se i Brics riusciranno a coordinarsi con successo e ad agire collettivamente cambieranno il mondo”, scrive l’autrice. La quale dedica poi alcune preziose pagine al Paese ospitante, la Russia di Putin, principale e primo motore dei Brics. Questa parte del libro la dedico ai nostri giornalisti impregnati di russofobia. Senza eccedere in lodi, ma andando oltre la fredda logica dei numeri che conserva tuttavia la sua importanza (Mosca è considerata dal Brookings Institute “la sesta città più potente del mondo” con i 600 miliardi di dollari di Pil: cifre che fanno scomparire la quasi totalità delle città europee), Furlan fa emergere un fatto su cui oggi noi occidentali, a cominciare dagli europei e proprio dagli italiani, dovremmo riflettere: dopo decenni di reciproco sforzo di avvicinamento tra Russia e Europa, tra Russia e Occidente, gli eventi succedutisi almeno dal colpo di Stato di Euromaidan del 2014, la guerra nel Donbass e infine la risposta russa del febbraio 2022, quella entente cordiale, divenuta collaborazione vera e propria in tanti settori, con il mondo russo, è andata in frantumi. Lo sforzo di far entrare pienamente il mondo russo nella koinè europea, mentre una parte dei russi stessi e una quota predominante degli europei consideravano la Russia “asiatica”, è crollato come un castello di carte. E la responsabilità è soltanto nostra. Ma da qui, mentre noi abbiamo rinunciato ai benefici di un corretto rapporto con Mosca, patendo conseguenze pesanti su ogni piano, loro, i russi, hanno superato lo choc iniziale delle sanzioni e del furto dei loro asset finanziari. E mentre il consenso di Putin cresceva, hanno orgogliosamente portato avanti la costruzione di una nuova identità, non asiatica ma non più europea, bensì “euroasiatica”: a dimostrazione che, come scrive la giornalista, “l’Occidente sa rispettare solo le prove di forza… Ma non comprende la forza dello spirito dei popoli”. Impareremo qualcosa adesso che finalmente uno spiraglio di pace si apre? Il lavoro sarà lungo e difficilissimo e forse non si tornerà mai più al “prima”, ma almeno, c’è da augurarsi, da una parte e dall’altra, si potrà ristabilire un clima di competizione e non di conflitto. In fondo la vituperata “coesistenza pacifica” non era poi così male.

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