L’IMPERIO D’AMERICA CHE PURE MACHIAVELLI SPIEGA A GUICCIARDINI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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L’IMPERIO D’AMERICA CHE PURE MACHIAVELLI SPIEGA A GUICCIARDINI da IL FATTO

L’imperio d’America che pure Machiavelli spiega a Guicciardini

GIOVANNI VALENTINI  26 Ottobre 2024

Un popolo corrotto non conserva a lungo la libertà (da “Discorsi d’osteria” di Piero Bevilacqua – Castelvecchi, 2024)

Che cosa direbbero Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini sull’Italia e sul mondo di oggi se, per un prodigio o un sortilegio, tornassero sulla terra 500 anni dopo la loro scomparsa? Come giudicherebbero a cinque secoli di distanza il nostro Paese, l’Europa, l’America, le guerre in corso? Con il rigore dello storico e la fantasia dello scrittore, Piero Bevilacqua firma un dialogo immaginario fra l’autore del Principe e quello della Storia d’Italia e dei Ricordi, nel saggio citato all’inizio su cui dibatteranno lunedì prossimo a Roma (Libreria Eli – ore 18) due politici contemporanei come Giuseppe Conte e Nichi Vendola.

È sorprendente l’attualità della conversazione fra Machiavelli e Guicciardini, mediata dal professor Bevilacqua come in una seduta spiritica, mentre i due amici cenano in un’osteria toscana. Niccolò rievoca il “particulare” su cui insisteva in vita il suo interlocutore, richiamandosi “all’agire diviso degli individui, che li spinge alla ricerca del tornaconto, al proprio limitato vantaggio”. Francesco cita “l’uomo Guicciardini” che lui stesso definisce “un prototipo della nostra stirpe da mandare all’Inferno”. Poi Niccolò lamenta che “oggi machiavellico è diventato un moto quasi fanciullesco al cospetto degli aggettivi da usarsi per i governanti del mondo, mandanti di massacri, uccisioni a migliaia di bambini, di malati nei letti degli ospedali”. Entrambi convengono quindi su “l’animo guasto degli italiani, l’indifferenza con cui si tengono lontani dagli affari civili e dal pubblico bene.” (Machiavelli). E Guicciardini chiosa sulla condizione dell’Italia: “Ma oggi di nuovo, come ai nostri anni, il suo stato non dipende solo dalla dappocaggine dei suoi governanti”. Dal nostro sventurato Paese, la riflessione postuma dei due personaggi – interpretata da Bevilacqua – si estende quindi all’Europa e al resto del mondo. Ai tempi del Rinascimento, Guicciardini si augurava che il nuovo ordine tra gli Stati europei “aprisse una nuova era per l’Italia”. Ma, a distanza di cinque secoli, sembra ricredersi: “È degno di meraviglia vedere come oggi gli Stati d’Europa, dopo aver signoreggiato per tanti secoli in tutti i paesi della Terra, padroni e maestri di tutti i popoli, son piegati da così tante servitù”. E ora “agiscono e governano i propri popoli secondo le disposizioni dell’Imperio d’America”. Machiavelli rincara la dose: “Gli Americani hanno posto il danaro a misura del valore degli uomini e bandita la vecchia nobiltà di sangue, che in Europa era legge e dominio”.

A questo punto, però, la penna dell’autore finisce per prevalere sulla rappresentazione letteraria dei due personaggi, “affacciati sul caos” come recita il sottotitolo del saggio. Ed è “grazie al solerte lavoro degli istorici” che Bevilacqua lancia il suo j’accuse per interposta persona (Machiavelli): “L’Imperio d’America è un potere sanguinario, ha armato feroci assassini e rovesciamenti di Stati nell’altra America, portato guerra ai popoli contadini d’Asia, seminando d’incendi e di cadaveri le selve dei tropici, consumato di recente massacri in Africa e nell’Oriente a noi vicino, fomentato la guerra d’Ucraina per schiantare la Russia, aiutato, non è molto, lo Stato d’Israele a consumare lo sterminio del popolo di Palestina”. Il libro si conclude, dunque, con un giudizio fortemente critico sull’America alla vigilia delle prossime elezioni presidenziali. Quella stessa nazione che molti, in un impeto d’enfasi contrapposta, hanno considerato finora “la più grande democrazia del mondo”. Tanto più a confronto con i regimi autoritari delle altre superpotenze, dalla Cina di Xi Jinping alla Russia di Vladimir Putin.

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