L’EUROPA TRA BULLISMO E TIRANNI da IL FATTO e IL MANIFESTO
L’articolo 11 è ancora in vigore: poveri falchi
DANIELA RANIERI 19 MARZO 2024
Con l’aggravarsi della situazione in Ucraina, un Paese distrutto dalla spietatezza di Putin e dall’incoscienza dell’Occidente, si fanno più grandi e più disperate anche le panzane della propaganda, che fanno eco alla chiamata alle armi di Macron: Putin attaccherà un Paese Nato “entro 3 o 5 anni” (chissà perché non 4); l’Ucraina sta perdendo perché non le abbiamo mandato abbastanza soldi e armi (Crosetto su questo ha smentito sia Repubblica che Corriere); in Italia ci sono agenti al soldo del Cremlino da stanare con “strumenti ben più efficaci”, forse di polizia (come dispone un dissidente oligarca russo su Rep); prepariamoci alla guerra.
Forse questo clima ha spinto il presidente Mattarella, durante la commemorazione dell’80esimo anniversario della distruzione della città di Cassino, a ricordare l’argine ultimo, la diga etica e statutaria all’ipotesi della guerra: l’articolo 11 della Costituzione. Del resto, Mattarella citò questo articolo nel discorso d’investitura al Parlamento nel 2015: garantire la Costituzione, disse, significa tra l’altro “ripudiare la guerra e promuovere la pace”, ciò che non ci ha impedito di partecipare serenamente a tutte le guerre della Nato per esportare la democrazia, dai raid aerei sulla ex Jugoslavia ai bombardamenti anti-terroristi in Iraq e Afghanistan (1 milione di morti civili), Libia, Siria.
Per due anni i fanatici di missili e lanciarazzi – liberali, draghisti, terzopolisti, opinionisti e studiosi foraggiati dai fabbricanti di armi – hanno cercato di convincere gli italiani che quell’articolo fosse composto di due parti: una che sancisce il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; l’altra che stabilisce delle deroghe al principio generale. Affamati di retorica e di nullità semantiche, i giornali padronali hanno dato a intendere che poiché Putin era “un pazzo”, “un animale”, “un despota sanguinario” etc., l’art. 11 non fosse applicabile: tirarlo in ballo era inopportuno (anzi, era “putiniano”) perché la guerra russo-ucraina era un “crimine”, una “mattanza”, etc., non una “controversia internazionale”. Invece la guerra della Russia all’Ucraina rientra pienamente nella fattispecie della controversia internazionale, ma loro sono ancora convinti che i Costituenti abbiano scomodato un articolo della Carta per bagatelle, dispute verbali, incidenti diplomatici.
Siccome quel “ripudia” non è abbastanza forte, poi, e crederlo tale è una mollezza da “pacifinti”, i bellicisti ci hanno spiegato che l’art. 11 “bisogna leggerlo tutto”: la seconda parte, quella in cui si dice che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”, secondo loro è il via libera alla guerra alla Russia in accordo con altri Paesi. Se gli si fa notare che lì si parla di “pace”, non di “guerra”, tirano fuori l’art. 52, “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”, sicuri di metterci nel sacco. Quell’articolo, in effetti, legittima la guerra, ma solo se la Patria da difendere è la nostra, non un’altra. Non importa: i trattati internazionali, dicono, hanno la preminenza sulla Costituzione; messi di fronte all’evidenza che non c’è scritto in nessun trattato internazionale che dobbiamo difendere un Paese non Ue e non Nato, ci spiegano che è un dovere morale difendere tutti gli aggrediti. Se gli si obietta che, stante la nota filantropia dell’Occidente a guida Usa, non stiamo difendendo nessun Paese o etnia aggrediti da forze ostili (i curdi perseguitati da Erdogan, lo Yemen bombardato dall’Arabia Saudita, patria morale e pecuniaria di Renzi, etc.), rispondono che difendendo l’Ucraina stiamo difendendo “la democrazia” (così Meloni, la finta patriota che si fa baciare in testa da Biden), o aggiungono, sulla scorta di un’uscita dell’ex presidente della Consulta Amato, che il vincolo Nato ci impone la guerra, sancendo di fatto l’invalidità della Costituzione.
L’altro giorno Mattarella ha ricordato che è ancora in vigore. Ma nelle ore successive ecco ricomparire l’articolo 11-ombra dei giornali d’establishment: per Panebianco sul Corriere gli europei “credono di vivere ancora nel Paese dei balocchi” e “fanno gli struzzi” (e pensare che l’ombra della guerra atomica è così rassicurante) e a Otto e mezzo Severgnini, profeta dell’arrivo di Putin a Lisbona in caso di sconfitta dell’Ucraina, registrava con rammarico che per noi italiani la guerra “è inconcepibile” e “pur di avere la fine della guerra siamo disposti alla fine dell’Ucraina”. Che l’Italia ripudi la guerra è insomma un disdicevole segno dei tempi e una vigliaccata, non un comando costituzionale. Ai nostri falchi non resta che sostenere che l’art. 11 in realtà significa “L’Italia ripudia la pace”. La faccia per farlo ce l’hanno.
L’Europa tra bullismo e tiranni
MACRON E VON DER LEYEN. Democrazia corre il rischio di diventare il nome delle buone intenzioni che i governanti vogliono farci credere di avere. Guardo l’espressione compiaciuta di Ursula von der Leyen affiancata dal presidente […]
Mario Ricciardi 19/03/2024
Democrazia corre il rischio di diventare il nome delle buone intenzioni che i governanti vogliono farci credere di avere. Guardo l’espressione compiaciuta di Ursula von der Leyen affiancata dal presidente egiziano Abdel Fattah El-Sisi, soddisfatto come se avesse vinto la lotteria, e mi torna in mente questo avvertimento, letto in un libro di John Dunn dei primi anni Novanta, quando sembrava che tutti fossero destinati, prima o poi, a vivere in un paese la cui forma di governo poteva dirsi democratica. Oggi il trionfalismo di quegli anni sembra appartenere a un’epoca lontana, ma fa rabbia pensare, almeno per chi già c’era a quei tempi, quanto avremmo fatto meglio a prendere sul serio gli avvertimenti di Dunn.
Invocare la democrazia per i nemici e condonare l’autoritarismo degli amici non è certo una novità, come hanno scoperto a proprie spese tanti paesi di quello che oggi chiamiamo «il sud del mondo» nel corso della guerra fredda. L’attuale presidente egiziano non è che l’ultimo di una lunga serie di autocrati che esemplificano quello che un presidente Usa che aveva il dono della sintesi chiamava our son of a bitch. Franklin D. Roosevelt era Democratico, non Repubblicano, ma ragionava come il capo dello Stato di una potenza imperiale.
In questo la sua posizione non era diversa da quella di tanti capi di Stato europei che prima di lui avevano tentato di far quadrare il bilancio morale di un regime democratico che difende una posizione di dominio o di egemonia sul piano internazionale.
Colpisce che oggi a avere lo stesso atteggiamento sia la responsabile dell’Unione europea, un’entità politica che ha costruito la propria legittimità sull’idea che i valori democratici fossero una conquista di civiltà. Un’idea su cui si è basata la promessa di un continente che si sarebbe lasciato definitivamente alle spalle l’imperialismo e la politica di potenza che avevano condotto a due guerre sanguinosissime e allo sterminio degli ebrei in nome della «purezza razziale».
Domenica al Cairo quella promessa è stata tradita, e non per la prima volta, in nome della difesa dei confini del «giardino» europeo.
Mi rendo conto che questo giudizio appare ingenuo agli occhi dei tanti realisti che oggi si danno da fare per difendere la tesi che l’Europa unita è, di fatto, una potenza che non può sottrarsi alla dura logica del conflitto che deriva da interessi incompatibili. L’Europa deve armarsi, ci dicono questi realisti, e prepararsi alla guerra, se necessario, per proteggere la propria sicurezza da altre potenze come la Russia, o domani la Cina, che hanno mire espansioniste. Questo imperativo strategico ci impone di non guardare tanto per il sottile, anche perché sappiamo di non poter contare più come un tempo sulla protezione degli Stati uniti, che da anni, e non solo durante la presidenza Trump, guardano al fronte del Pacifico come quello cruciale per i propri interessi nazionali.
Sono sufficientemente realista da prendere queste preoccupazioni sul serio, ma è proprio il mio realismo a alimentare il dubbio che non sia una realpolitik maldestra e venata di arroganza a metterci al sicuro dalle minacce.
Un esempio di come una postura bellicosa sia del tutto insufficiente a tutelare la sicurezza europea lo abbiamo avuto nei giorni scorsi nelle dichiarazioni di Emmanuel Macron che, da un lato ha lasciato intendere che la Francia potrebbe intervenire, in una qualche forma in verità poco chiara, nel conflitto tra Russia e Ucraina, e poi ha aggiunto che la sua dichiarazione era un esercizio di «ambiguità strategica» necessario per scopi di deterrenza.
Una situazione che ricorda quelle baruffe di paese in cui uno dei litiganti strepita e minaccia sfracelli contro l’avversario urlando «tenetemi» agli astanti. Un gioco pericolosissimo se, come accade talvolta, nessuno ti trattiene.
L’Europa a guida centrista di questi anni trasmette a chi la osserva, a Mosca o a Pechino, la stessa impressione. Un ometto spaventato da un bullo che sa bene di non essere in grado di affrontare.
Per essere forti le democrazie non possono basarsi solo sull’aumento delle spese militari. Devono far leva, come sono state in grado di fare quando hanno affrontato il fascismo e il nazismo, sui propri principi e sulle promesse che li esprimono: l’eguale libertà e la prospettiva di una vita decente per tutti i propri cittadini.
C’è poco da sorprendersi se persone spaventate per il proprio futuro, messo a rischio da politiche economiche di austerità che hanno eroso la sicurezza sociale e i diritti di cittadinanza, guardano con diffidenza al nuovo interventismo di leader centristi che inseguono la destra (sotto questo profilo l’attivismo di Giorgia Meloni fianco a fianco di von der Leyen e Macron dovrebbe far riflettere). Un’Europa ripiegata su se stessa, ossessionata dalla difesa dei propri confini da poche decine di migliaia di disperati che lascia morire di sete e di fame su un barcone, o lascia alla mercé degli sgherri di governi autocratici, non può avere la credibilità per farsi rispettare dai propri avversari e amare dai propri cittadini.
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