L’EUROPA DAL WELFARE AL WARFARE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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L’EUROPA DAL WELFARE AL WARFARE da IL MANIFESTO

L’Europa dal welfare al warfare

RIARMO E RESILIENZA. Non solo non usciamo dalla guerra, ma la sua agenda diventa sempre più onnivora e si allarga come del resto avviene sul campo di battaglia. Il voto di ieri dell’Europarlamento […]

Tommaso Di Francesco  02/06/2023

Non solo non usciamo dalla guerra, ma la sua agenda diventa sempre più onnivora e si allarga come del resto avviene sul campo di battaglia. Il voto di ieri dell’Europarlamento che ha approvato la relazione della Commissione europea denominata Asap (Act to Support Ammunition Production) dice che i governi nazionali potranno impegnare a man bassa fondi già destinati dal Pnrr (Il Piano di Ripresa e resilienza) per l’avvio del Next generation Eu e indirizzarli invece direttamente sul riarmo.

Si può dire che questa scellerata decisione era attesa, visto che nessuna delle leadership europee si pone il problema di come fermare il disastro della guerra russo-ucraina e visto che l’unica prospettiva, emersa anche ieri dal vertice internazionale in Moldavia, è l’ingresso dell’Ucraina nella Nato – come se questo non precipitasse ancora di più nella voragine la crisi ucraìna: alla criminale guerra di Putin si risponde con la guerra atlantica. Nessuno avverte che la soluzione non si trova in più armi e più guerra, garanzia di ulteriore morte e distruzione.

Ma il voto di ieri, che tace e insieme allontana anche la prospettiva di un cessate il fuoco e di un negoziato, è particolarmente grave. Perché all’ordine del giorno non c’era nemmeno l’invio di armi sì oppure no – su cui gli interrogativi dopo un anno e tre mesi di guerra sono aumentati: ci si poteva pure dividere all’inizio dell’invasione russa su questo, ma ora che gli arsenali con i tanti invii si sono vuotati è chiaro che questo vuol dire solo accettare la politica di riarmo che i governi stanno imponendo ai vari Paesi; e poi non c’era forse anche dentro il Pd un’area significativa che chiedeva che le armi da inviare dovessero essere solo di difesa, mentre ora la guerra dilaga in Russia? Tant’è: la deterrenza nucleare è finita e non fa a quanto pare più paura la ripetuta minaccia atomica che incombe. No. Ieri l’Europarlamento ha votato sì all’’autorizzazione ad un prelievo forzato, ad una distrazione di fondi che non è prevista nemmeno dai Trattati europei.

Che impediscono di finanziare con soldi comunitari le industrie militari nazionali. Perché l’Europa fin qui ancora – ma fino a quando? – è segnata dai fondamenti della sua costruzione che allontana le ragioni della guerra ricordando la tragedia di due guerre mondiali. Stavolta infatti la decisione presa è quella di attingere, per la produzione di armi, ai fondi destinati alle Regioni per sostenere le politiche sociali, il lavoro e il diritto allo studio, l’ambizione ambientalista della transizione ecologica e, dopo tre anni di pandemia, il nuovo, ineludibile, assetto della sanità, in più l’attenzione al dramma delle migrazioni epocali e al diritto d’asilo. Ecco perché anche le neosegretaria del Pd Elly Schlein ormai ripete che «non sarà l’ultimo fucile a porre fine a questa guerra». Ieri Schlein e tutto il gruppo Pd erano per emendamenti contrari, ma alla fine il voto è stato di 10 a favore all’Asap, 4 astenuti e uno contrario. Una spaccatura: il Pd resta sospeso anche sulla guerra.

La decisione di ieri dell’Europarlamento mette in discussione tutto: sia il fatto che nuovo armamento può essere prodotto utilizzando fondi che erano destinati a migliorare la vita delle persone dopo le costrizioni da pandemia, sia i fondamenti stessi dell’Unione europea.

L’indirizzo è chiaro, visto che la prospettiva è quella di una guerra di anni se non infinita, l’obiettivo praticato è passare dal welfare al warfare. Un indirizzo non solo europeo ma mondiale. Lo conferma il trend della spesa globale del 2022 – ricordava sul manifesto Massimiliano Smeriglio l’eurodepudato di S&D che è protagonista di questo scontro nelle istituzioni europee: la spesa militare globale ha raggiunto la cifra record di 2.200 miliardi dollari con Stati uniti, Russia, Francia, Cina e Germania – che ha deciso un riarmo di ben 100 miliardi di euro – in prima fila, e l’Italia “crosettiana” è sesta nel campionato mondiale degli esportatori di armi.

Sarà nuovo alimento per quel fronte di paesi autoritari – più atlantisti che europeisti -, Visegrad e non solo, che stanno diventando la nuova trazione dell’Unione europea aspettando la nefasta conferma che si avvicina- vedi il voto spagnolo e greco – delle prossime elezioni continentali. E una manna per il governo italiano di estrema destra-destra che ha nella guerra e nella sua continuità una polizza assicurativa a vita. Ora il ministro Fitto, incapace di spendere i soldi del Pnrr per opere civili e sociali, dice che questo il governo non lo accetta: provi a chiedere a Crosetto? E al fronte di Giorgia Meloni che con i Conservatori ha votato sì, insieme ai Popolari di Weber, ai Socialisti europei e a tutto il centro e alle destre.

La partita però non è chiusa. Non tanto perché il voto finale sull’atto è previsto per luglio, ma perché per la prima volta cresce l’area di dissenso verso queste scelte scellerate: oltre ai 446 sì, ci sono state ben 116 astensioni – che coinvolgono il voto del Pd – e 67 no, tra cui i Verdi italiani, il M5s e il gruppo della sinistra europea del Gue. A fronte di una opinione pubblica secondo ripetuti sondaggi, contraria in Italia e dubbiosa in Europa, bisognerà alzare ancora più forte la voce contro la guerra, perché si fermi il massacro di vittime civili ormai dell’una e dell’altra parte, come ieri di tanti bambini e indifesi, la stessa ecatombe di militai mandati al macello . E perché il riarmo di 27 eserciti europei non avvenga sulla pelle degli ultimi e delle nuove generazioni.

L’Europa nell’economia di guerra, la voce della pace

GUERRA IN UCRAINA. Il voto del Parlamento europeo conferma che siamo entrati dentro l’economia di guerra senza se e senza ma. Poco importano regolamenti e trattati, manco a dirlo l’opinione e la volontà […]

Sergio Bassoli *  02/06/2023

Il voto del Parlamento europeo conferma che siamo entrati dentro l’economia di guerra senza se e senza ma. Poco importano regolamenti e trattati, manco a dirlo l’opinione e la volontà popolare. Silenzio assordante rispetto al rischio di incidente o utilizzo di armi nucleari. 446 voti a favore, 112 astensioni e 67 voti contrari, con questi numeri il Parlamento europeo ha approvato il mandato, proposto dalla Commissione europea, per negoziare con gli stati membri le modalità per produrre, «nel più breve tempo possibile», munizioni da inviare oggi in Ucraina e domani chissà dove.

Ma non essendo questa una posta di bilancio prevista, il Parlamento conviene che le risorse possano essere stornate dai fondi destinati alla «ripresa e resilienza» dalla crisi sanitaria e da quelli destinati alle politiche di coesione sociale, in una Europa che è sempre più divisa tra i pochi che accumulano ricchezze ed i tanti che si aggiungono agli elenchi delle tante povertà. Il messaggio è chiaro: la priorità oggi è vincere la guerra e per questo servono le munizioni. Iniziamo con un chip da 500 milioni di Euro dal bilancio comunitario, e vediamo quanto saprà rilanciare l’industria bellica e gli stati membri. Nel frattempo, via libera a questi di reperire i fondi da ogni dove; dalla sanità, all’educazione, agli investimenti per l’autosufficienza energetica e per le rinnovabili, dalla messa in sicurezza del territorio, alla spesa sociale e deroghe ai contratti collettivi, e se serve, che si aumenti pure la giornata lavorativa ed il precariato.

Ha fatto bene la Rete italiana Pace e Disarmo a denunciare, assieme ad altre realtà, la violazione dell’articolo 41 del Trattato che vieta l’uso dei fondi europei per spese militari e di difesa, annunciando una mobilitazione ed un’azione legale contro questa decisione. Ma una riflessione collettiva su quanto stia avvenendo in Europa e nel nostro paese è doverosa ed opportuna in vista del prossimo appuntamento del 2024 quando saremo chiamati ad eleggere il nuovo parlamento europeo.

Innanzitutto va ribadito che il sostegno all’Ucraina ed alla sua popolazione, vittima della brutale ed assurda invasione da parte dell’esercito russo e delle varie brigate di mercenari, trova piena condivisione da parte di tutto il movimento pacifista che si è unito alle mobilitazioni di Europe for Peace. La differenza con le scelte e le decisioni prese dall’Unione Europea e dai suoi stati membri è di tradurre questo sostegno nell’obiettivo di vincere la guerra con la guerra, e non come sostegno a fermare la guerra, per salvare le vite, per fermare la mattanza, le distruzioni, il dilagare dell’odio etnico e del nazionalismo più radicale. E’ bene ribadire che costruire la pace giusta per la via del negoziato, della politica e diritto internazionale, non ha nulla a che vedere con la resa.

Sembra che tutto ciò che abbiamo appreso e costruito dalla fine della seconda guerra mondiale nei confronti della guerra non sia più il monito a cui attenersi visto che alla guerra torniamo a rispondere con le armi e non più con gli strumenti della politica e della diplomazia. Neppure il rischio di un cataclisma nucleare è in grado di sollevare dubbi e un dibattito nel nostro parlamento ed in quello europeo. Anzi, nelle sedi istituzionali si discute con molto interesse di ricostruzione mentre la guerra miete morti e distruzioni ogni minuto senza soluzione di continuità ed assistiamo ad attentati e ad azioni oltre confine che aumentano caos e ritorsioni. Le diverse iniziative per avviare un negoziato tra le parti sono state tutte derubricate e cestinate come impossibili e ed inutili, compreso quelle del Vaticano.

La decisione del Parlamento europeo rappresenta l’ennesimo segnale di una politica che ha perso per strada i principi ed i valori su cui costruire la convivenza tra i popoli, e di fronte a questa deriva occorre che la società civile sia unita, organizzata e mobilitata.

Il 10 ed 11 giugno a Vienna le reti pacifiste europee ed internazionali si riuniranno per discutere e costruire alleanze e mobilitazioni per il cessate il fuoco ed il negoziato con il coinvolgimento delle popolazioni coinvolte nella guerra. Il 30 settembre ci sarà una grande mobilitazione a Roma, promossa da una grande alleanza di società civile per chiedere l’applicazione della costituzione ed iniziati e simili si realizzeranno nelle capitali europee e di altri continenti.
La pace è possibile solo in una società responsabile, democratica e universale.

* Coordinamento di Europe for Peace
Responsabile Pace – Area Internazionale CGIL

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