LE URNE, I 2 PILASTRI DELLA DEMOCRAZIA E 300 MILIARDI “NERI” da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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LE URNE, I 2 PILASTRI DELLA DEMOCRAZIA E 300 MILIARDI “NERI” da IL FATTO

Le urne, i due pilastri della democrazia e 300 miliardi ‘neri’

 

GIAN CARLO CASELLI    7 GIUGNO 2024

La nostra Costituzione (quella ancora vigente; e si spera che lo sia ancora per moltissimo tempo, vincendo le seduzioni propagandistiche di chi vorrebbe modificarla a colpi di premierato, autonomia differenziata e separazione delle carriere) stabilisce che la sovranità va esercitata entro binari prestabiliti e con l’obiettivo di realizzare una “democrazia emancipante”, cioè una democrazia nella quale il compiuto riconoscimento dei diritti di libertà è integrato dalla solenne affermazione del principio di uguaglianza in senso sostanziale, assunto non come semplice aspirazione o obiettivo ma come dato normativo fondamentale. In questa democrazia la cittadinanza è diventata uno status, fondato su due pilastri: il diritto-dovere di andare a votare quando è ora; e insieme un reddito decoroso che consenta di condurre una vita civile, a tutti: anche quando si è ammalati o vecchi o disoccupati o stranieri che rispettino le nostre leggi. In questo modo i principi di giustizia distributiva sono diventati “diritti” e le politiche per realizzarli “atti dovuti”, sottratti alla negoziazione politica.

La situazione reale del nostro Paese, però, è diversa. Il secondo pilastro traballa, soprattutto per effetto dell’impoverimento colossale causato alla nostra comunità e quindi a ciascuno di noi dal “fatturato” di evasione fiscale, corruzione e mafie, che ammonta (calcolato sicuramente in difetto) ad almeno 300 miliardi di euro l’anno. Una montagna di risorse che ci vengono rapinate, senza le quali la qualità della nostra vita e del nostro futuro sono inesorabilmente destinate a peggiorare. E conseguentemente diminuiscono la fiducia e la voglia di partecipare di chi chiede una più incisiva lotta all’illegalità economica nelle sue tre principali declinazioni. Quanto al primo pilastro, se i corpi degli uccisi e dei feriti nelle guerre che sono in corso diventano macabri gettoni giocati nella competizione elettorale, di nuovo diminuiscono nei cittadini (che vorrebbero invece seri negoziati di pace) fiducia e voglia di partecipazione. In sostanza, per la democrazia italiana non è un buon momento e il recupero di credibilità presso i cittadini deve essere la prima preoccupazione della Politica che abbia davvero a cuore il buon governo. Tutta la Politica che sia davvero al servizio degli interessi generali e non solo di cordata. Utopia? Forse. Ma comunque premonizione di quanto potrebbe accadere se non ci tirassimo su le maniche.

Severino e Bonafede, due gocce nel mare

IL SISTEMA – Mentre i media forniscono una prospettiva alternativa alla storia di Tangentopoli, sorvolando sulle mazzette, il legislatore prova in ogni modo a ostacolare i magistrati che provano a indagare

CARLO BERTI E PIERCAMILLO DAVIGO  7 GIUGNO 2024

Abbiamo visto come l’atteggiamento dell’opinione pubblica, desumibile in parte anche da sondaggi e dati statistici, sia orientato alla rassegnazione: è infatti diffusa la sensazione che poco o nulla sia cambiato negli ultimi 30 anni, mentre una parte della popolazione, quando interrogata, valuta la corruzione come ancora in aumento.

I dati del Global Corruption Barometer 2021 ci raccontano però anche di una cittadinanza che pensa di poter avere un ruolo attivo nella lotta alla corruzione. Una politica attenta e sensibile a questi umori potrebbe cercare nuove vie per affrontare il problema, coinvolgendo attivamente i cittadini nell’attività anticorruzione.

Stupiscono invece alcuni tentativi, provenienti in particolare dal mondo dell’informazione, di raccontare oggi la storia di Tangentopoli – e dunque, in un certo senso, della corruzione in Italia – con prospettive che sfiorano il revisionismo. Non è questa l’occasione per uno studio approfondito delle narrazioni e contro-narrazioni mediatiche del più grande scandalo corruttivo italiano, ma riteniamo utile fornire una manciata di esempi relativi al trentennale di Mani Pulite: il 2 gennaio 2022, il quotidiano Libero pubblica un articolo intitolato “Mani Pulite nel fango: la verità sulle toghe, 30 anni dopo Tangentopoli”; il 16 febbraio dello stesso anno, Il Riformista pubblica un editoriale di Piero Sansonetti dal titolo “Tangentopoli fu un colpo di Stato fatto dai Pm”. Entrambi gli articoli, più che aggiungere nuove informazioni rilevanti, sembrano mirati a fornire una prospettiva alternativa alla storia di Tangentopoli. Si potrebbero fare molti altri esempi, in cui non di rado vengono utilizzati toni forti e titoli roboanti da stampa scandalistica. (…) L’impressione è che una certa informazione sia poco interessata al tema della corruzione, e più rivolta a indicare (e forse acuire) una frattura tra magistratura e politica. Ciò si può associare in taluni casi a tentativi politici di ridurre i poteri di controllo della magistratura, per esempio in tema di intercettazioni telefoniche e telematiche, revisione o abrogazione di alcune fattispecie penali, separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti e abrogazione dell’obbligatorietà dell’azione penale (queste ultime due con proposte di modifiche della Costituzione della Repubblica). A vigilare su eventuali tentativi di questo genere ci sono organismi internazionali e sovranazionali quali Ue, Consiglio d’Europa, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Onu, Ocse (…).

L’attenzione sul tema della corruzione in Italia andrebbe mantenuta alta anche alla luce di considerazioni meramente economiche: siamo notoriamente afflitti da un enorme debito pubblico e da mancanza di risorse economiche, che non consentirebbero certo gli sprechi e l’inefficienza che una corruzione diffusa determina. Occorre quindi porre attenzione ai meccanismi che possono determinare il persistere del fenomeno nonostante lo smantellamento dei precedenti centri di corruzione accentrata incardinati sul finanziamento ai partiti. Due autorevoli studiosi suggeriscono che una “lente interpretativa utilizzabile per comprendere le dinamiche dello scambio occulto guarda alle caratteristiche del capitale sociale che ordina le relazioni tra gli attori della corruzione, ossia all’evoluzione dei meccanismi di governance extralegale capaci di contenere i costi di transazione”. Il permanere di un capitale sociale endogeno alle reti corruttive può contribuire a spiegare il persistere dei comportamenti illeciti, in contesti vari e con modalità diverse.

In Italia, a fronte di iniziative legislative e politiche inefficaci o addirittura d’ostacolo a indagini e processi, le uniche due normative volte a contrastare la corruzione successive allo scandalo di Tangentopoli sono state la legge 6 novembre 2012, n. 190 (detta “legge Severino”, dal nome dell’allora ministro della Giustizia) e la legge 9 gennaio 2019, n. 3 (definita “legge spazzacorrotti”).

Quanto alla prima, vi furono polemiche specialmente relative alla decadenza da cariche pubbliche per i condannati in via definitiva (peraltro dovuta in tutti i casi in cui fosse inflitta la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici). La norma fu sottoposta a referendum abrogativo che non raggiunse il quorum. Questa legge non si focalizzò soltanto sulla repressione della corruzione, ma anche su misure preventive come l’introduzione dei piani triennali anticorruzione obbligatori per tutti gli enti pubblici e le società partecipate, e basati sul Piano nazionale anticorruzione. Tuttavia, almeno fino a questo momento, l’impatto di queste misure preventive non è parso particolarmente significativo, mentre si è notato che molti piani triennali anticorruzione sono di scarsa qualità e svolgono una funzione di mero adempimento, senza dunque la capacità di instillare una vera cultura di contrasto alla corruzione. Quanto alla “legge spazzacorrotti”, le polemiche furono ancora più accese, soprattutto in tema di prescrizione (a dispetto del fatto che l’Italia è uno dei pochissimi Paesi europei in cui la prescrizione decorre anche dopo l’esercizio dell’azione penale) e di operazioni sotto copertura in materia di reati contro la Pubblica amministrazione. In particolare, si cercò a volte di confondere tali operazioni (che consistono nell’inserimento di un ufficiale di polizia giudiziaria o di una persona interposta in un’attività criminale presumibilmente già in atto) con la figura dell’agente provocatore (che è colui che induce qualcuno a commettere delitti), ignorando che le operazioni sotto copertura in materia di corruzione sono previste dalla Convenzione Onu di Merida. La figura dell’agente sotto copertura solleva questioni di natura etica da affrontare (…), nonché difficoltà pratiche nelle fasi di addestramento e infiltrazione, ma non è certo automaticamente sovrapponibile a quella dell’agente provocatore.

A questo punto (…) abbiamo innanzitutto osservato il persistere della corruzione sistemica: pur attraversando una fase di “decentralizzazione”, che ha portato le reti corruttive ad abbandonare il sistema dei partiti (comunque già in crisi per altri motivi) per andare ad annidarsi a livello regionale o locale, la corruzione sembra resistere. Resiste anche la percezione di un Paese in balia della corruzione (…). Percentuali importanti della popolazione dimostrano un atteggiamento rassegnato o affermano che la corruzione sta persino aumentando. In questo ambiente a tinte piuttosto fosche, la politica si è dedicata negli ultimi anni ad alcuni tentativi di riforma, spinti in un caso da un governo “tecnico” (quello di Mario Monti) e nel secondo caso dalle proposte politiche del Movimento 5 Stelle. Queste riforme hanno in parte avuto successo, ma sono anche state ostacolate da altre forze politiche: se, dunque, qualcosa si è mosso in una buona direzione, v’è stata anche una certa dose di indolenza e, in alcuni casi, persino una spinta opposta, che ha spesso trovato sponda in una narrazione manichea e polarizzata del rapporto tra politica e magistratura.

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