LE PUNIZIONI COLLETTIVE ALLARGANO IL CONFLITTO da IL MANIFESTO
Le punizioni collettive allargano il conflitto
SANGUE SU SANGUE. Non esiste un «sì, però» ma la necessità di capire che il massacro di civili israeliani e palestinesi e l’ignoranza delle cause di fondo non porterà sicurezza e pace a nessuno
Riccardo Noury* 11/10/2023
Da un lato, il numero più alto di civili ebrei assassinati dopo l’Olocausto. Dall’altro l’ennesima punizione collettiva ordinata contro la popolazione civile di Gaza. La storia si ripete, e si ripete in peggio. All’orizzonte non c’è ancora, come in passato, un tentativo di negoziato, una tregua in vista. C’è, al contrario, il rischio di un allargamento della guerra. Chi si occupa di diritti umani e vuole avere uno sguardo imparziale su quanto accade durante la guerra deve concentrarsi sulle azioni e non sugli attori. Chi guarda agli attori, troverà sempre una giustificazione per il comportamento del lato per cui parteggia.
Se invece guardiamo alle azioni, ci troviamo di fronte a crimini di diritto internazionale, per l’esattezza crimini di guerra, perpetrati da una parte e dall’altra. Non può esservi altra sensazione se non quella dell’orrore nel vedere le immagini dei miliziani palestinesi che atterrano coi parapendii a motore su un rave facendo un Bataclan moltiplicato per tre o per quattro.
NÉ VALE l’artificiosa distinzione tra «civili» e «civili anormali», fatta da un portavoce di Hamas, secondo cui gli israeliani e gli stranieri uccisi o presi in ostaggio sarebbero tutti «coloni armati», dunque bersagli legittimi. Tra questi ultimi, peraltro, c’erano e ci sono attivisti e pacifisti noti per la solidarietà espressa nei confronti dei palestinesi, così come bambini e lavoratori migranti.
L’espressione «civili anormali» è speculare a quella, usata dal ministro della Difesa israeliano il 9 ottobre, di «animali umani» contro i quali sarebbe di lì a poco partito l’attacco militare contro Gaza.
Le azioni, dunque, sono crimini di guerra, senza se e senza ma. Quelle di Hamas e quelle dell’esercito israeliano. L’annuncio di sospendere forniture essenziali (elettricità, acqua, cibo, carburante) a Gaza rischia di condannare alla fame due milioni di persone, tra cui moltissimi bambini. Il diritto internazionale la chiama «punizione collettiva».
A Gaza, l’aviazione israeliana sbriciola edifici su edifici in pieno centro urbano. La popolazione è intrappolata e non ha alcun posto per mettersi al sicuro. Dicono: «La popolazione viene preavvisata per avere tempo di evacuarli». Siamo sicuri? I bambini, le persone anziane e quelle con disabilità riescono a fare in tempo? E, quando a causa della sospensione delle forniture di elettricità, i telefonini non potranno più essere caricati, come si potrà ricevere l’sms che avvisa dell’imminente bombardamento?
E, AMMESSO che l’sms arrivi e che il palazzo si evacui per tempo, dove andranno i residenti che non avranno più un alloggio? Resteranno parcheggiati per tempo immemore nell’ennesimo campo profughi, stavolta in Egitto, che non pare esattamente uno stato amico?
Le responsabilità di Hamas e Israele per quanto sta accadendo in questi giorni non devono farci ignorare le «cause di fondo»: il decennale controllo della potenza occupante, quale è Israele nei confronti di Gaza (e della Cisgiordania occupata, Gerusalemme est compresa) fatto di oppressione, uso ripetuto della forza letale, spossessamento, frammentazione, acquisizione illegale di terra, narrazione criminalizzante nei confronti dei palestinesi, inclusi i gruppi per i diritti umani; impunità per i coloni e per le forze armate. Le organizzazioni israeliane, palestinesi e internazionali che si occupano di diritti umani definiscono questo sistema con un nome, apartheid.
PARLO DI QUESTO solo alla fine dell’articolo, per ribadire che non c’è un «sì, però» da sollevare in questi giorni. C’è solo da condannare l’orrore, da pretendere il rispetto del diritto internazionale umanitario, da sollecitare la protezione dei civili su ogni lato del conflitto. Una cosa è chiara: il massacro di civili israeliani e palestinesi non porterà sicurezza e pace a nessuno.
*Portavoce di Amnesty International Italia
La vendetta, la sorpresa e la memoria
ISRAELE/PALESTINA. Come rispondiamo alla domanda sulla sorpresa? Su come sia stato possibile tutto questo per un rodato e costosissimo apparato di sicurezza riconosciuto come inviolabile nel mondo?
Tommaso Di Francesco 11/10/2023
Non esitiamo a definire l’attacco di Hamas come terrorista e barbaro. Uccidere a sangue freddo civili o sequestrarli, offendere i vinti, devastare i corpi delle donne.
E di chi non è della tua religione, non corrisponde ad alcun principio di liberazione e nemmeno di guerra asimmetrica; al contrario, per la sua efferatezza, rischia di legittimare l’oppressione che si vorrebbe combattere e di alimentare nuovo odio. E non c’è bisogno di ricordare il dolore di nostri interlocutori e collaboratori che in questo momento piangono cari e amici uccisi, per provare orrore. L’unica vera ideologia che sembra sorreggere questo crimine è la «vendetta», così la chiamano, per «l’usurpazione dei luoghi sacri di Al Aqsa», a cui i palestinesi associano i torti, le umiliazioni, le uccisioni subite da chi da decenni sta chiuso nella Striscia di Gaza, definita non a torto «prigione a cielo aperto» per più di due milioni di persone, un orrore esistenziale quotidiano – il manifesto titolò il 7 aprile 2018 Poligono di tiro quando l’esercito israeliano mirava ai corpi di giovani palestinesi indifesi.
Ora si avvia l’operazione militare di Israele che, dalle parole di Netanyahu, anch’essa è motivata dalla «vendetta». Mentre si sprecano gli esempi con l’11 settembre, varrebbe invece la pena ricordare le guerre scellerate che produsse, in Afghanistan – anche quella per «vendetta dell’11 settembre, non per la democrazia afghana» dichiarò Biden nell’estate 2021 del drammatico ritiro Usa-Nato -, e poi in Iraq per le armi di distruzione di massa che non c’erano. Ma l’odio e le distruzioni provocate hanno intanto motivato altro odio, altra vendetta e altro integralismo religioso.
Ma come rispondiamo alla domanda sulla sorpresa? Su come sia stato possibile tutto questo per un rodato e costosissimo apparato di sicurezza riconosciuto come inviolabile nel mondo? Israele si scopre vulnerabile, dov’era l’apparato d’intelligence – e quello Usa anch’esso violato?
Semplicemente non c’era, perché le forze di sicurezza israeliana da mesi sono impegnate nella repressione interna dei Territori palestinesi occupati dove dall’inizio del solo 2023 i morti palestinesi sono 206 e dove è nata una pericolosa stagione che vede i giovani armarsi. Giacché la questione palestinese non è nata 48 ore fa, ma almeno dal 1967 con l’occupazione di Gaza e della Cisgiordania da parte dell’esercito israeliano, che dura tutt’ora in violazione del diritto internazionale e di due Risoluzioni Onu. Nel silenzio della comunità internazionale che l’ha lasciata marcire dopo il ‘95, quando un estremista ebreo uccise Rabin firmatario di Oslo, e con l’uscita di scena – ucciso anche lui – di Yasser Arafat.
Da allora è stato buio sulla Palestina e su un intero popolo, senza diritti, chiuso da muri -: nel suo ultimo libro Patrie Timothy Garton Ash lamenta tra l’altro la nascita di tanti muri dopo il crollo del Muro di Berlino: ecco, il primo è stato proprio il Muro di Sharon che taglia n due la terra palestinese. E poi ancora diviso da reticolati e check point, impedito nel lavoro e nella coltivazione, con la sua acqua e la sua terra rubate quotidianamente; e con la fine della continuità territoriale di uno Stato palestinese auspicato dalla pace di Oslo.
E questo per le centinaia e centinaia di insediamenti ebraici promossi dai governi israeliani che hanno mobilitato i coloni, legati politicamente ad una destra integralista religiosa che in Israele chi è sceso in piazza contro Netanyahu non esita a definire «fascista». Di quella pace sono rimaste solo le riprese televisive. E il tanto annunciato da Trump – e continuato da Biden -, patto di Abramo tra Israele e la «democratica» Arabia Saudita, ha come grave corollario il riconoscimento da parte Usa di tutta Gerusalemme, in parte occupata, come capitale d’Israele, passando sopra gli interessi dei palestinesi e dell’Anp.
Insomma un patto sulla Palestina ma senza i palestinesi. Così è cresciuta una protesta diffusa della società palestinese. Ma la tragedia non è finita: colonne di carri armati si muovono per assediarla verso Gaza, già senza cibo, luce e soccorsi, ma anche verso la Cisgiordania. Si muove la flotta Usa nel Mediterraneo. E si propone la pericolosa «protezione» dell’Iran.
Così il rischio evidente è che le gesta terroriste di Hamas alla fine un risultato l’avranno: seppellire definitivamente la questione palestinese, i diritti democratici e laici di un popolo intero – il popolo dei campi profughi del Medio Oriente – che, delegittimato nelle sue aspettative di vita e di pace, accetta pur subendola la leadership di Hamas, nato apposta per indebolire Al Fatah e nemico giurato della sinistra palestinese, ma che nel 2006 vinse le elezioni anche in Cisgiordania. Vorrebbe dire mettere una pietra tombale, così come tutto il mondo ha fatto finora. Eppure smemorato l’Occidente, compresa l’Ue che non ha fatto nulla per la pace, condanna ma non si ritiene responsabile.
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