LE PAROLE SONO PIETRE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Meloni promette. La Cisl ci crede: mobilitazione finita
PARTI SOCIALI. A palazzo Chigi l’incontro governo-sindacati sancisce la rottura con Cgil e Uil. Sbarra gongola: buon inizio di un nuovo cammino. La premier: tavolo sull’inflazione. Bombardieri e Landini: niente nel merito, la lotta va avanti
Massimo Franchi 31/05/2023
La promessa di riattivare una lunga serie di «tavoli» con la novità di «un osservatorio sui prezzi a Palazzo Chigi» basta alla Cisl per sotterrare la mobilitazione sindacale. Come previsto, le parole di Giorgia Meloni – comprese «evitare il manifestarsi di una bomba sociale nei prossimi decenni» sulle pensioni – sanciscono la rottura della flebile unità confederale, con Cgil e Uil che rimangono critiche e guardinghe e annunciano la prosecuzione della mobilitazione.
DUE ORE E MEZZO DI CONFRONTO il Sala Verde finiscono con l’immancabile Ugl e la Cisl felici e contenti. Il segretario Capone – che giura sul fatto di «non voler diventare commissario dell’Inail» – è addirittura meno entusiasta di Gigi Sbarra. Il leader della Cisl esordisce davanti ai giornalisti che lo attendono sotto palazzo Chigi così: «È stato un incontro molto importante, capitalizziamo due mesi di mobilitazione. La presidente del consiglio si è impegnata a convocare tavoli di confronto a palazzo Chigi a partire dall’inflazione». In realtà sarà l’unico a essere ospitato lì, ma nell’euforia qualche errore ci può stare. Allo stesso modo i tavoli su previdenza e sicurezza sul lavoro c’erano già ma non sono stati più convocati da febbraio.
Il giudizio finale di Sbarra sintetizza la divaricazione con Cgil e Uil: «È un buon inizio di un nuovo cammino per un confronto strutturato tra governo e parti sociali», gongola. «La Cisl sarà ad ognuno di questi incontri per negoziare concreti avanzamenti per i lavoratori e i pensionati. Poi valuteremo senza sconti i frutti del confronto e sapremo regolarci di conseguenza», conclude.
SBARRA È SCESO DA SOLO, mentre Bombardieri e Landini lo hanno fatto assieme. «Abbiamo perso Gigi», è la battuta che scappa al segretario della Uil a certificare la spaccatura.
«La presidente del consiglio ha illustrato una serie di temi sui quali si impegna ad avere un confronto strutturato con il sindacato. Nel metodo apprezziamo ma nel merito non abbiamo discusso alcunché», attacca Bombardieri.
Se alla vigilia dell’incontro in Cisl ci si augurava che la Uil potesse avvicinarsi per isolare la Cgil, l’esito è molto diverso. «Siamo noi ad aver spiegato a Meloni che, per esempio, sulla delega Fiscale la flat tax è contro la progressività prevista nella discussione. E sulle pensioni gli incontri precedenti non hanno dato risultati tanto che le donne che chiedono almeno di ristabilire Opzione donna stanno ancora aspettando», attacca Bombardieri.
Dunque se l’auspicio è quello di «avere la possibilità di entrare nel merito nei tavoli che si faranno», la posizione della Uil è precisa: «La mobilitazione va vanti, di certo non ci fermeremo aspettando settembre e la legge di bilancio», precisa la segretaria confederale Ivana Veronese che accompagnava Bombardieri all’incontro.
A CHIUDERE I COMMENTI un combattivo Maurizio Landini: «Le mobilitazioni di maggio hanno prodotto questa convocazione del governo e questa disponibilità, che prima non c’era, a fissare tavoli specifici – esordisce – . Nel merito però oggi il giudizio non è naturalmente positivo, risultati non ci sono stati, non hanno dato risposte alle nostre rivendicazioni. Quindi per quello che ci riguarda bisogna proseguire la mobilitazione», ha aggiunto ricordando le mobilitazioni con una quarantina di associazioni sabato 24 giugno in difesa della sanità pubblica e del 30 settembre contro l’autonomia differenziata. «Il tema urgente e necessario è quello salariale», ricorda Landini. Che a Meloni che sostiene «se avessi le risorse avrei già fatto tutto, ma occorre fare delle scelte che puntano sul moltiplicatore più alto», Landini risponde: «Noi chiediamo di sapere quante risorse mette in campo e dove le va a prendere. Vuole fare accordi con noi? Benissimo, prenda la nostra piattaforma e le risorse le troverà tassando gli extraprofitti delle imprese».
All’accusa di Meloni di essere «prevenuto ideologicamente», il segretario della Cgil risponde: «Sulla base dei confronti decideremo tutto quello che è necessario, senza escludere alcuna iniziativa di mobilitazione. Noi facciamo il nostro mestiere».
Populismo Giorgia attacca il “pizzo di Stato” (che serve a sanità e scuola)
Alessandro Robecchi 31 MAGGIO 2023
Un caro pensiero va a tutti gli italiani che in questi giorni o settimane saranno sollecitati da un’associazione chiamata Agenzia delle Entrate a pagare il “pizzo di Stato”, come ha detto in un comizio a Catania il/la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Un vero e accorato appello contro un’organizzazione che vessa e deruba i cittadini, cercando di far pagare le tasse o di recuperare quelle non pagate. Tasse che poi dovrebbero servire a non chiarissimi scopi come per esempio sanità, scuole, servizi, insomma tutte cose di cui potremmo fare allegramente a meno tornando a curarci con erbe e radici, oppure pagando sanità, scuole e servizi privati (cosa che peraltro facciamo sempre più spesso). Potremmo ovviare a questa richiesta estorsiva anche prendendoci a colpi di clava e facendoci giustizia da soli, invece di chiamare carabinieri, magistrati e altri membri della stessa organizzazione che chiede il pizzo.
Fa parte dell’imperdonabile distrazione di questi tempi allegri che nessuno abbia usato a proposito delle esternazioni meloniane sul “pizzo di Stato” l’abusata parola “populismo”. Davvero strano: per anni e anni si è accusato di “populismo” chiunque avesse una visione del mondo appena un po’ discosta da quella consigliata e autorizzata dall’autorità costituita. Era “populista” aiutare i poveri, per esempio, mentre invece correre in soccorso di chi non paga le tasse, perdipiù durante una campagna elettorale, colpo di scena, non è “populista”. Bizzarro.
E ancor più populista, se possibile, è l’ottima intuizione del/della presidente del Consiglio, secondo cui la lotta all’evasione fiscale va fatta contro multinazionali e banche, e non contro il piccolo commerciante. Vero, sacrosanto, nemmeno da dire, ma anche un po’ comodo, visto che le multinazionali e le banche non votano per il sindaco di Catania, mentre invece molti piccoli commercianti sì.
A parte le considerazioni semantiche, però, c’è questo piccolo dettaglio che non è vero. Cioè, non è vero che l’evasione fiscale in Italia è in gran parte un’evasione di necessità (che pure esiste, data la crisi perenne, l’inflazione e altri doni del sistema economico vigente). Solo il venti per cento, infatti, è “evasione da versamento”, cioè dichiari le tue entrate e poi non hai i soldi per pagare il dovuto. L’80 per cento deriva invece da omesse dichiarazioni o dichiarazioni infedeli, cioè, diciamo così, da eroici resistenti al “pizzo di Stato” che si portano avanti col lavoro già in fase di dichiarazione dei redditi.
Esiste una cosa che si chiama “tax gap” e che misura la differenza tra le tasse che lo Stato si aspetta e quelle che arrivano veramente. Le cifre non sono sbandierate da picciotti con il rigonfiamento sotto la giacca, ma rese note dal ministero dell’Economia e delle Finanze e il tax gap per il 2020, per esempio, era di 89,8 miliardi. Non proprio noccioline: più di 28 miliardi di Irpef, più di 25 di Iva, 9 miliardi di Ires (questi sarebbero a carico delle imprese), oltre 5 miliardi tra Imu e Tasi (questi sarebbero i proprietari di immobili), più 4 miliardi e mezzo di Irap e poi giù per li rami con cifre meno eclatanti ma che, sommate, pesano quanto peserebbero tre o quattro manovre economiche all’anno. Tutte cose che però, in un comizio per sostenere un sindaco valgono poco e niente. Meglio il messaggio squillante, diretto e cristallino: se le tasse sono un pizzo e se a richiederle è un “intollerante sistema di potere”, come ha detto Meloni, si risolve così: non pagatelo. Niente male, per non essere “populismo”.
Il “nonvoluntary”, il 30% di italiani che lo rifiuta e il caso forte dei marmi
Daniele luttazzi 31 MAGGIO 2023
La lotta all’evasione fiscale si fa dove sta davvero l’evasione, non sul piccolo commerciante a cui chiedi il pizzo di Stato (Giorgia Meloni, chiusura della campagna elettorale per le elezioni amministrative, Catania, 25 maggio)
I dati smentiscono Meloni. La maggior parte dell’evasione fiscale in Italia non è commessa dalle grandi aziende, ma da quelle più piccole (Pagella politica, 29 maggio)
In Italia il fenomeno del pizzo di Stato (o, come viene detto in burocratese, della “nonvoluntary”) è ancora molto presente. Solo il 30% degli italiani si rifiuta di sottomettervisi, poche le estorsioni denunciate dalle vittime. Non è solo una questione di paura: molti pagano per convenienza, cioè per avere servizi (sanità, scuola, difesa, ordine pubblico, giustizia, viabilità, ecc.), pensioni, sussidi (assegni familiari, cassa integrazione, assegno di disoccupazione) ed esenzioni, come se il pizzo di Stato fosse un abbonamento a un’entità che risolve i problemi. Non è una novità, ma solo di recente la situazione è stata descritta pubblicamente e con chiarezza. Pippo Contumace, socio fondatore e avvocato dell’associazione Nonsolopizzo, spiega che “c’è chi paga il pizzo di Stato perché ha paura, ma anche chi lo fa perché ha interesse a pagarlo, perché così si assicura un servizio da parte dell’organizzazione statale, oppure perché vive e lavora in quella zona da 30 anni e così è stato abituato a fare”. Se a un certo punto queste persone rifiutassero di pagare il pizzo di Stato, con ogni probabilità andrebbero incontro a ritorsioni (multe, galera), ma non è questo il motivo principale per cui pagano: la storia e le condizioni sociali ed economiche di alcune zone d’Italia hanno reso il pizzo di Stato parte del panorama, una tassa cui è normale adeguarsi. Nel mandamento di Forte dei Marmi, per esempio, non una sola vittima di estorsione di Stato si è fatta avanti a denunciare, e questo caso è emblematico. Eppure qualsiasi esercizio commerciale nella zona deve pagare il pizzo di Stato: supermercati, concessionarie di auto, autodemolitori, bar, farmacie, discoteche, panettieri, imprese edili; addirittura, dalle intercettazioni telefoniche ordinate dalla magistratura, risultò che anche i balneari dovevano pagarlo. A gestire le estorsioni sono funzionari a cui l’organizzazione non fa mancare un regolare stipendio, e che hanno il controllo del territorio. Finora, tra gli estorsori, non c’è stato alcun pentito. Quanto agli estorti, le intercettazioni spiegano bene i motivi su cui si basa la decisione di sottomettersi al pizzo di Stato. “In Italia”, dice Contumace, “il territorio è caratterizzato da una forte relazione di contiguità culturale ed economica tra vittime ed esattori. Un commerciante pagava le tasse a suo cognato: l’estorsore lavorava all’Agenzia delle entrate ed era suo parente. Pensate che ne avesse paura? No, semplicemente è una cosa che andava fatta. Non bisogna pensare sempre che chi paga è un vigliacco terrorizzato. Le situazioni sono diverse, di volta in volta. Capita pure che l’estorto sia come affetto dalla Sindrome di Stoccolma: la vittima vede il pagamento delle tasse come un obbligo di solidarietà, per pagarne tutti di meno e per ridurre l’indebitamento del Paese. A tutti questi spieghiamo che chi evade il pizzo di Stato risulta a basso reddito, quindi non paga i ticket sanitari, e neppure le rette e le mense scolastiche; in più prende i bonus. E può mettere da parte un sacco di soldi per pagarsi scuole e ospedali privati, dato che senza pizzo lo Stato deve fare tagli sul diritto allo studio e alla salute. Restano sempre piacevolmente sorpresi. Poi indovinate per chi votano”.
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