L’AUTONOMIA E IL PRESIDENZIALISMO FANNO A PUGNI da IL MANIFESTO
L’«autonomia» e il presidenzialismo fanno a pugni
COMMENTI. La proposta di legge di iniziativa popolare, che ha raccolto almeno 90.000 firme, verrà presentata al Senato per contribuire a bloccare la proposta Calderoli
Alfiero Grandi 18/05/2023
Ho il mandato degli elettori, afferma Giorgia Meloni. Non è così. Anzitutto le elezioni del 25 settembre hanno registrato il 10% in meno di votanti e la destra con il 44% dei voti ha ottenuto un premio di maggioranza del 15 %, gonfiandola al 59 % di deputati e senatori.
Ammesso che tutti gli elettori di destra condividano l’elezione diretta del Presidente o del Premier, il 56% di loro non ha dato alcun mandato, 16 milioni contro 12. Quindi Meloni rappresenta una minoranza del corpo elettorale. Le regole elettorali in vigore hanno regalato una maggioranza alla destra, ma questo non la autorizza a fare tutto.
Cambiare la Costituzione richiede prudenza ed equilibrio. Non sempre in passato è stato così. Ci ha provato la destra senza riuscirci. Nel 2001 lo ha fatto il centro sinistra, cambiando il titolo V con una maggioranza risicata e sbagliando alcuni articoli, il 116 e il 117, che oggi Calderoli usa come un piede di porco per contraddire principi costituzionali fondamentali, come il diritto universale all’istruzione e alla salute.
La proposta di legge di iniziativa popolare, che ha raccolto almeno 90.000 firme, verrà presentata al Senato per contribuire a bloccare la proposta Calderoli che, con la secessione dei ricchi, rischia di iniziare il falò del Risorgimento e della Resistenza al nazifascismo, da cui è nata l’Italia di oggi e di cui la Costituzione è l’alfa e l’omega. Per troppo tempo anche a sinistra c’è stato chi con approssimazione ne ha promosso modifiche.
La Costituzione non può diventare l’alibi per le difficoltà a governare, neppure per la destra. Se non ce la fa non è colpa della Costituzione. È ora che l’opposizione riparta dalla Costituzione, non solo per difenderla dagli assalti, ma per attuarla. Già questo sarebbe un programma avanzato, progressista. La sede in cui discutere modifiche alla Costituzione è il parlamento, il cui compito è centrale nella nostra democrazia, che non si riduce ad un voto ogni 5 anni per designare il capo che decide, ma è una complessa e articolata vita di partecipazione.
Dopo il voto del parlamento dovrà sempre esserci il pronunciamento delle elettrici e degli elettori attraverso il referendum costituzionale, anche se il parlamento arrivasse ai 2/3 dei voti, indispensabili per evitarlo. Questo dovrebbe essere un impegno di tutti per garantire che alla fine decideranno gli elettori.
Sarebbe meglio che le decisioni venissero affidate al futuro parlamento, da eleggere con una nuova legge elettorale, quella attuale è una follia, produce risultati erratici che mandano all’opposizione la maggioranza degli elettori. Un parlamento che decide modifiche della Costituzione dovrebbe essere eletto in modo proporzionale per rappresentare tutte le posizioni.
L’obiettivo di cambiare la legge elettorale va posto ora. Ci sono aspetti insopportabili. I parlamentari sono di fatto nominati dai capipartito e non rispondono del loro comportamento agli elettori, che nemmeno li conoscono, ne risentono autonomia e qualità perché sono scelti per fedeltà.
La Costituzione prevede un equilibrio tra i poteri realizzato con regole pensate per leggi proporzionali. Oggi il maggioritario premia con il 15 % il vincitore e altera i quorum previsti per scelte importanti. Eleggere direttamente il Presidente della Repubblica, nella variante americana o francese, oppure il capo del governo, porterebbe ad uno stravolgimento della Costituzione del 1948 perché le regole condizionano i principi fondamentali. Solo una destra che accetta malvolentieri la Costituzione può puntare a queste modifiche.
La stessa proposta Calderoli sull’autonomia regionale differenziata prepara la «secessione dei ricchi» ed è incompatibile con la Costituzione, perfino con il presidenzialismo. La destra ha posizioni diverse, che stanno insieme per il potere, cerca di risolvere le contraddizioni sommando le posizioni e stravolgendo la Costituzione. L’alternativa al presidenzialismo è rilanciare il ruolo del parlamento, affidando agli elettori la scelta dei parlamentari che li debbono rappresentare.
Parlamentarismo contro Presidenzialismo. Più partecipazione anziché delega al capo.
L’opposizione consideri seriamente che il referendum abrogativo può essere il veicolo necessario per spingere a cambiare la legge elettorale.
Discutiamo, ma sembra l’unica via per uscire dal vicolo cieco di un maggioritario costruito per scegliere un parlamento di fedeli esecutori, che ha aperto la strada al presidenzialismo.
I patrioti di Meloni nella rete di Calderoli
RIFORME . L’Ufficio bilancio del Senato non deve scuse ad alcuno. Deve scusarsi chi ha prevaricato strutture che sono al servizio non della maggioranza ma della istituzione
Massimo Villone 18/05/2023
Non era mai successo. Come leggiamo su queste pagine, nessuno ha conoscenza o memoria alcuna di «bozze provvisorie» uscite dagli uffici della Camera o del Senato. Ma la voglia di innovazione della destra di governo produce l’impensabile. Che poi l’erronea pubblicazione di un testo non verificato sia credibile è tutt’altra faccenda.
Opportunamente Andrea Fabozzi precisa che il dossier è rimasto online per ben quattro giorni prima che si aprisse il caso. L’Ufficio bilancio del Senato non deve scuse ad alcuno. Piuttosto, deve scusarsi chi ha prevaricato su strutture che sono al servizio non della maggioranza ma della istituzione.
Quanto è accaduto conferma che Meloni ha commesso un errore lasciando in mani leghiste i ministeri chiave: Calderoli alle autonomie, Giorgetti all’economia, Salvini alle infrastrutture. Poi ha sbagliato lasciando Calderoli libero di scegliere tempi e modi delle sue mosse. Probabilmente ha perso l’ultima occasione di rallentare caterpillar Calderoli quando ha consentito il disco verde in Consiglio dei ministri senza uno straccio di discussione nel merito.
Forse la misura è stata colma quando Calderoli ha presentato il suo disegno di legge (AS 615) con la sola sua firma, e, ancor più, quando è emerso che aveva probabilmente già avviato contatti e trattative per la elaborazione delle future intese. Si è appreso, ad esempio, che il ministero dell’istruzione aveva stigmatizzato come inaccettabile l’ipotesi di ruoli regionali per i docenti.
Il punto è che la risposta del ministero comporta che qualcuno abbia posto sul punto una domanda. E chi può aver chiesto, se non il ministro delle autonomie? Sollecitato da chi? E quante altre domande ha posto a chi, di cui non sappiamo? È la nuova Italia, a firma Calderoli.
Ora Meloni deve aver capito che il suo partito di “patrioti” non può essere strumento decisivo nella costruzione di una patria nuova in salsa leghista. Ma fermare il treno in corsa è certo più difficile. Il dossier incriminato in fondo nulla dice che non sia stato già detto da esperti, studiosi, prestigiosi istituti di ricerca come la Svimez, soggetti istituzionali non sospetti di partigianeria come l’Ufficio parlamentare per il bilancio, la Corte dei conti, e persino la Banca d’Italia.
D’altra parte, quando si parla di una spesa regionalizzabile di circa 280 miliardi di euro, destinati ad andare in misura prevalente alle regioni più forti, è chiaro che alle altre non rimane che stringere la cinghia, con buona pace dell’eguaglianza dei diritti, del riequilibrio territoriale e della coesione sociale. L’Italia si frantuma, mettendo in discussione non solo la Costituzione del 1948, ma 160 anni di unità.
Che fare? Anzitutto, chiedere a Calderoli una piena informazione sull’operato del suo ministero. Inoltre, emendare l’AS 615 riportando nelle aule parlamentari ogni decisione nel merito delle intese e dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep). In parallelo, far emergere nel dibattito parlamentare la necessità di rivedere in modo mirato il framework costituzionale dell’autonomia, oggi scritto in modo tale che il rischio per l’unità del paese e l’eguaglianza esiste anche senza autonomia differenziata.
Per questo può essere utile la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare volta alla modifica degli articoli 116.3 e 117, sostenuta dal Coordinamento per la democrazia costituzionale. Abbiamo raccolto oltre 100000 firme, di cui solo poche migliaia andranno perse per le difficoltà incontrate nella certificazione.
Un grande risultato, ottenuto su un oggetto per larga parte misterioso per un’opinione pubblica tenuta per anni all’oscuro dal silenzio dei mezzi di comunicazione di massa, e dall’assenza di un vero dibattito in parlamento e nei partiti. Ma proprio le firme raccolte ci dicono di un paese diviso. In tutto il Nord, dal Friuli-Venezia Giulia alla Liguria aggiungendo anche l’Emilia-Romagna, le firme raccolte sono pochissime. Tante, invece, dal Sud. Ed è mai possibile che con i tradizionali banchetti il Molise raccolga più firme dell’Emilia-Romagna?
Bisogna spiegare e dimostrare che l’autonomia differenziata non è la via giusta. E che l’unità e la coesione convengono a tutti, e sono il solo vero modo di rafforzare la competitività del sistema-paese sul piano europeo e globale. Calderoli minaccia dimissioni, ma se ne faccia una ragione. E Meloni dimostri di saper fare il necessario su fronti di guerra che non sono in paesi lontani, ma dalle parti di Palazzo Chigi.
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