L’ATTACCO AI MAGISTRATI NELLE “DEMOCRATURE” da IL FATTO
Da Erdogan a Orbán: l’attacco ai magistrati nelle “democrature”
ANCHE IN UE – Minacce e condizionamenti dalla politica. Ovunque fanno paura i Pm indipendenti
SABRINA PROVENZANI 3 OTTOBRE 2023
Negli ultimi 10 anni casi di scontri fra governo e magistratura si sono verificati in diversi Paesi, dentro e fuori l’Unione europea. Due le tipologie tipiche: i giudici si mobilitano contro proposte di riforma del sistema giudiziario, oppure il primo ministro o presidente di turno, sotto inchiesta, accusa la categoria di persecuzione giudiziaria. Molto più raro è il caso di esponenti politici di vertice che attaccano un singolo magistrato per una sua decisione in contrasto con l’orientamento politico del governo.
Pressioni dirette sono fortissime in Polonia, che dalla controversa riforma del 2019 imposta dal governo nazionalista di Mateusz Morawiecki è osservato speciale dell’Ue per la rapida corrosione dell’indipendenza dei magistrati, sempre più assoggettati al controllo del partito di governo. A giugno scorso la Corte Europea di Giustizia ha sostenuto che molti aspetti di quella riforma rappresentino ‘una chiara violazione dei trattati europei” e a luglio ha deliberato illegittima la sospensione di un magistrato polacco. Situazione simile nell’Ungheria dell’alleato di Giorgia Meloni Viktor Orban: lo scorso anno Csaba Vasvari, magistrato al tribunale di Budapest, ha dichiarato all’Observer di aver assistito “ad anni di tentativi di condizionamento politico”. Nel 2022 la Commissione Internazionale dei giuristi ICJ si è unita al coro che denuncia il governo ungherese per la degenerazione dello stato di diritto, la pressione politica sui giudici e la corrosione della loro indipendenza. In Russia i magistrati conducono processi farsa che si concludono immancabilmente con lunghe condanne agli oppositori di Putin. Ma anche in Ucraina il sistema giudiziario è sempre più allineato con il governo, e a capo delle istituzioni vengono nominati solo fedelissimi di Zelensky. È il caso del Procuratore generale, Andriy Kostin, della giudice della Corte costituzionale Olga Sovgyria, e del Procuratore capo anticorruzione, Oleksandr Klymenko, subentrati ai loro predecessori con modalità controverse.
In Turchia il regime di Erdogan ha scarnificato i tribunali arrestando o licenziando i magistrati indipendenti, imponendone il ricambio nel corso dei processi più delicati e sostituendoli con altri inesperti o allineati. Israele è da mesi dilaniato dagli scontri fra opinione pubblica e governo per la decisione di portare avanti una riforma giudiziaria che limiterebbe di molto la possibilità per la Corte Suprema di respingere decisioni dell’esecutivo considerate “completamente irragionevoli”. Negli Stati Uniti, dove i giudici sono di nomina politica, alcuni avevano deliberato contro le politiche migratorie di Donald Trump, che per questo li aveva gettati in pasto ai suoi seguaci sulla piattaforma social Truth.
Non si salva nemmeno la destra del Regno Unito: dal 2019 al 2022, quando era ancora primo ministro, Boris Johnson aveva minacciato la Corte Suprema di pesanti “conseguenze” se avesse, come ha poi fatto, ribaltato la sua decisione di sospendere il Parlamento.
Catania, Santalucia (Anm): “Meloni danneggia le toghe: il suo post non è accettabile”
IL PRESIDENTE – “Campagna mediatica in stile B. Così la premier disorienta i cittadini”
VALERIA PACELLI 3 OTTOBRE 2023
Sembra il 2009, quando il giudice Raimondo Mesiano – che condannò Fininvest e Silvio Berlusconi a risarcire la Cir di Carlo De Benedetti per la vicenda Mondadori – viene pedinato da una troupe Mediaset, che irride i suoi calzini turchesi. Stavolta però la protagonista è Iolanda Apostolico, la giudice di Catania finita in prima pagina per aver condiviso su Facebook la petizione di una “mozione di sfiducia” nei confronti di Matteo Salvini. Quel post e i like sono bastati a descrivere il curriculum di una giudice rea di aver emesso un’ordinanza che mette in discussione il sistema di respingimento del governo Meloni. Un comportamento “intollerabile” per Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, che definisce questi attacchi “inammissibili”.
Santalucia, attacchi che arrivano persino dalla premier Meloni che ieri ha accusato la giudice di scagliarsi “contro provvedimenti di un governo democraticamente eletto”.
La critica dei provvedimenti è legittima. Diversa è la critica della funzione giudiziaria. Con il suo post Meloni fa intendere che la giurisdizione lavora contro il Paese: ciò non è accettabile. È un danno all’immagine del Paese e alla categoria dei magistrati. Certo un’ordinanza la si può criticare, esistono poi strumenti di impugnazione, ma ci deve essere rispetto reciproco. Dare la rappresentazione di un potere che danneggia la funzione di governo è un fatto semplicistico. Non è accettabile che la premier dia una rappresentazione fuorviante del rapporto con la magistratura, peraltro disorientando l’opinione pubblica. È un grande equivoco che fa male ai cittadini. Per questo auspico che le forze politiche ritornino a utilizzare toni, anche critici, ma di rispetto.
Quel post del 2018, insieme a una serie di altri like, è costato alla giudice Apostolico una campagna mediatica. Un magistrato può esprimere la propria opinione anche politica sui propri social? Qual è il limite?
I magistrati, come tutti gli uomini, hanno proprie convinzioni politiche. Che però devono essere usate con cautela, specie in un momento come questo. Stavolta è stato pubblicato da certa stampa un identikit basato su due o tre like, arrivando così a una conclusione semplicistica. Non è corretto. Tutti i magistrati devono usare cautela comunicativa, bisogna apparire oltre che essere imparziali. Ma nel caso specifico siamo ben oltre: siamo nel tentativo di attaccare una persona nella sua libertà. È un danno enorme: chi legge può convincersi che un magistrato decide in un certo modo perché politicamente orientato.
Siamo di fronte a una campagna mediatica degna dei migliori tempi berlusconiani?
C’è stata un’operazione dei giornali di attacco alla persona. Per un provvedimento non gradito ci si scaglia contro la giurisdizione o contro la figura del giudice. Sono due modi che vanno contrastati. Penso che anche la stampa debba ritornare a una maggiore attenzione dei diritti della persona.
Un esponente della Lega ha invocato l’ispezione. Non è una novità. Sempre più spesso la politica minaccia di mandare i commissari a seguito di atti giudiziari non graditi. L’ispezione come una sorta di manganello contro i pm?
L’ispezione viene evocata per dare l’idea che il magistrato venga punito. Ancora una volta mi sento di invocare sobrietà rispetto a queste reazioni scomposte. L’interpretazione delle norme non può essere oggetto di azione disciplinare tranne se c’è un enorme errore. E non mi sembra questo il caso.
Sono tempi duri per la magistratura. A parte gli attacchi, in ballo ci sono riforme molte criticate dalla categoria. Da ultimo è emersa l’intenzione della maggioranza di intervenire sulla prescrizione, partendo dal testo base della ex Cirielli. Cosa ne pensa?
Bisognerà capire a che tipo di riforma si arriva. Penso però che siamo di fronte a guazzabuglio: gli uffici delle procure devono districarsi per capire quale normativa applicare tra le varie riforme in vigore. Pagheremo un costo enorme di tutto questo.
Come Anm ha incontrato il capo di gabinetto del ministro Nordio prima dell’estate per parlare del processo penale telematico. Che previsione dà?
I problemi sono tanti e complessi. C’è forte inadeguatezza delle strutture telematiche. Anche stavolta gli uffici giudiziari pagheranno gli effetti della scarsa preparazione.
Trent’anni di guerra al potere giudiziario
GIANNI BARBACETTO 3 OTTOBRE 2023 Chi sperava che Giorgia Meloni portasse aria nuova nei rapporti tra politica e magistratura ora deve proprio ricredersi. Anche Giorgia entra nella lunga storia italiana dei politici di governo che additano i magistrati come nemici della politica, anzi della democrazia. La giudice di Catania che interpretando le leggi rimette in libertà un immigrato diventa un eversore che “si scaglia contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto”. A luglio, appena nascosta dietro il fragile schermo delle “fonti Chigi”, aveva attaccato le toghe colpevoli di indagare due membri del suo governo, Daniela Santanché e Andrea Delmastro. Mancano solo i servizi dei Tg melonizzati sul colore dei calzini di qualche giudice e poi saremo ripiombati in pieno clima berlusconiano. Certo, per ora Silvio Berlusconi è ancora ineguagliato. I pm milanesi che lo indagavano erano “un’associazione a delinquere”. Quelli che lo mettevano sotto inchiesta erano “un cancro della democrazia che va estirpato”. Silvio ha fatto scuola. Anche a sinistra, o da quelle parti. Matteo Renzi ha attaccato con nomi e cognomi i magistrati colpevoli di aver aperto inchieste su di lui e sui suoi canali di finanziamento: autori di condotte “eversive” e “scandalose”, creatori di tesi accusatorie “farneticanti” e “strampalate”. L’altro Matteo, Salvini, per non essere da meno, da ministro aveva messo nel mirino le toghe che osavano indagare su esponenti della
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