LA SPESA SOCIALE ALLE ARMI. NIENTE ASILI MA CANNONI da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA SPESA SOCIALE ALLE ARMI. NIENTE ASILI MA CANNONI da IL MANIFESTO e IL FATTO

Le spese sociali alle armi. Strasburgo vota a favore

UCRAINA. Maggioranza schiacciante al Parlamento Ue. Tra i contrari le sinistre del Gue, gli indipendenti Pd e il M5S. Il 31 maggio la sessione plenaria ha l’ultima parola

Giuliano Santoro  10/05/2023

Mentre la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, si presenta a Kiev per celebrare con il presidente Volodymyr Zelensky la Giornata dell’Europa, il parlamento Ue riunito a Strasburgo in sessione plenaria approvato a larghissima maggioranza la procedura d’urgenza avanzata dal gruppo dei Conservatori e quello dei Popolari sul sostegno militare all’Ucraina.

Il testo, tra le altre cose, consente agli stati membri di impiegare le risorse del Fondo di coesione sociale e del Pnrr per sostenere l’industria militare. Hanno votato a favore anche i parlamentari europei del gruppo dei Socialisti e Democratici, cui aderiscono gli eletti del Pd. Gli unici a distinguersi, tra gli eletti nelle liste dem, sono stati l’indipendente Massimiliano Smeriglio, che ha espresso la propria contrarietà, e Pietro Bartolo, che non ha partecipato al voto. Contrari anche i parlamentari delle sinistre riuniti nel Gue e quelli del Movimento 5 Stelle, che ancora non fanno parte di nessun gruppo (sono in attesa che i Verdi europei vaglino la loro richiesta di adesione).
Il voto di ieri riguardava la procedura: l’aula potrà esprimersi sul merito il prossimo mese. Ma il fatto che sia passata la questione d’urgenza esclude che l’atto verrà messo ai voti con emendamenti che non siano espressamente accolti dalla Commissione. Il che fa pensare che proprio la posizione della delegazione del Pd, che ieri ha votato a favore ma dicendosi contraria «all’utilizzo di qualunque fonte di finanziamento proveniente dalle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza e dei fondi di coesione, che rappresentano risorse essenziali per la ricostruzione post pandemica e per il raggiungimento degli obiettivi del bilancio dell’Unione e dei fondi strutturali» rischi di apparire poco più che simbolica: ci sarà poco spazio per queste eccezioni. « Ci opporremo alla richiesta di procedura accelerata per ridurre i tempi di approvazione del piano che prevede il dirottamento dei fondi dal sociale – annuncia l’eurodeputata M5S Sabrina Pignedoli – Tolgono trasparenza e legittimità democratica dal momento in cui eliminano ogni tipo di confronto sul provvedimento». Il segretario di Rifondazione comunista Maurizio Acerbo osserva che «l’articolo 41.2 del Trattato Ue vieta di usare fondi dal bilancio per spese derivanti da operazioni aventi implicazioni militari o di difesa».

Per Smeriglio, la sessione plenaria di ieri disegna il campo di battaglia dei prossimi mesi. «Questo voto certifica l’egemonia delle destre sul parlamento, purtroppo con il concorso della gran parte dei progressisti – sostiene – Tra un mese voteremo l’atto definitivo. La procedura d’ urgenza inaugurata per salvare vite durante il Covid è stata utilizzata per produzioni di morte. Bisogna avere chiaro che non è un atto facilmente emendabile, tutt’altro. E in queste condizioni stiamo per ratificare la possibilità di utilizzare i fondi di coesione il fondo sociale europeo e il Pnrr per produrre missili e munizioni. Altro che transizione ecologica e equità sociale». Tutto ciò avrà effetti diretti sul quadro nazionale. «Quando Meloni cambierà a suo piacimento il Pnrr potrà dire che lo può fare grazie al voto del parlamento compresi quelli dei parlamentari del Pd. Ecco il punto doloroso di questa vicenda. Spero si possano cambiare diverse opinioni nel tempo che ci separa dal voto finale. Si danno soldi ai singoli stati per fare armi, altro che Europa dei popoli e agenda di pace».

Pnrr e armi: la resilienza è una grande fregatura

 

DANIELA RANIERI  5 MAGGIO 2023

Ecco cos’era la resilienza! Erano anni che la sentivamo in bocca a tutti, dagli psicanalisti di grido alle signore in fila al banco del norcino, e quando nel 2020 l’Europa ha promosso questa rucola concettuale a piatto forte del piano di ripresa economica post-pandemia credevamo di averlo quasi capito (qualcosa come “resistere alle avversità come un materiale inerte”, cioè fuffa); ieri finalmente ogni dubbio è stato fugato. L’Europa, leggiamo sui giornali padronali (quelli che tifano per il proseguimento della guerra fino all’ultimo ucraino così Putin impara), ha “sbloccato” l’acquisto di armi a favore dell’Ucraina per un miliardo di euro e contestualmente “aiuterà le industrie europee” che le fabbricano, e lo farà attingendo proprio al tesoretto del Pnrr destinato alla resilienza. Siamo andati a controllare: tra gli obiettivi del Pnrr ci sono riforma della Pa, giustizia, digitalizzazione, transizione ecologica, cultura, turismo, agricoltura sostenibile, politiche per il lavoro e persino asili nido (anche se questo, come ci ha informato affranto il ministro Fitto, è “un obiettivo da rimodulare”, cioè se ne riparla a babbo morto; intanto il governo chiede di sfornare figli per la Patria). Nessuna traccia della voce “armi”, e del resto anche “resilienza” è solo nel titolo, non significando niente. Ecco allora la furbata – seguiteci perché il contorsionismo semantico dell’élite bellicista è davvero spassoso.

Dice Repubblica: “Il provvedimento, denominato Asap (Act in Support of Ammunition Production), punta ad aumentare la capacità produttiva dell’Ue e ad affrontare l’attuale carenza di munizioni e missili nonché dei loro componenti”, il che fa trasparire un po’ troppo brutalmente che siamo di fatto in guerra contro la Russia. Il lessico è in effetti futurista interventista: l’Ue “mobilita”, “sblocca”, “accelera”, “spinge” “lancia”: è tutto uno scattare sull’attenti e un marciare nel clangore di armi (c’entrerà il fatto che l’editore di Rep ha interessi nel settore militare?). A quanto pare, stante la risoluzione di portare le spese militari al 2% del Pil, ci costa rimpinzare di armi un Paese non Ue e non Nato, senza passare dal Parlamento e sputando sulla Costituzione, con l’ovvia conseguenza che le nostre scorte diminuiscono e dobbiamo ricomprarle per noi. Per inciso, Meloni si arrabbiò molto per l’accusa di stare a togliere il pane di bocca agli italiani per mandare armi all’Ucraina, ribattendo che mandiamo armi “già in nostro possesso”, ferri vecchi praticamente a costo zero; ebbene, mentiva, se ora dobbiamo provvedere alla nostra Difesa (come peraltro confermano il suo ministro delle Armi Crosetto e i vertici militari).

Beninteso: per volere di Parigi, dare soldi alle industrie belliche europee serve anche a non avvantaggiare la concorrenza straniera (vogliamo che il nemico crepi made in Ue). Ma come dirottare i miliardi del Pnrr, facendo digerire ai popoli la sottrazione di risorse in teoria pubbliche per una guerra che non si sa quando finirà?

Ed ecco il colpo di genio: il Commissario francese per il Mercato Interno, tale Thierry Breton, si è ricordato che “il Recovery fund è stato specificatamente costruito per tre principali azioni: la transizione verde (ed è difficile far passare i missili come pannelli solari, ndr), la transizione digitale (le munizioni sono semmai di uranio impoverito, non di silicio, ndr) e la resilienza”. Eureka! “Intervenire puntualmente per sostenere progetti industriali che vanno verso la resilienza, compresa la Difesa, fa parte di questo terzo pilastro”. Ma tu pensa. Ed è tutto a fin di bene: la apposita Ursula von der Leyen ha detto che sottrarre questi soldini al Pnrr per darli all’industria della morte serve a “mantenere la pace”. E “il contesto in cui l’Ue agisce è quello della ‘difesa della democrazia’. Kiev viene considerata un baluardo dei principi democratici” (Rep). Infatti Zelensky ha messo fuori legge gli 11 partiti d’opposizione, oscurato 3 reti televisive, istituito la legge marziale, il governo controlla la magistratura, l’esercito nazionale ingloba milizie naziste, il Paese ha l’indice di corruzione più elevato d’Europa (Transparency International) ed è al 79° posto su 108 per libertà di stampa (Index RSF). Un concentrato di “nostri valori”.

La soluzione (sovranazionale: ma Meloni non era sovranista?) mette tutti d’accordo: dacché l’insipiente Conte ci ha fatto dare troppi soldi dall’Europa, il capo di Confindustria Bonomi, che molto ha gradito il taglio del Reddito di cittadinanza (“Sussidistan”), ha un’idea sbarazzina: se proprio non si riesce a spenderli, diamo i soldi alle imprese – giammai alla Sanità, al welfare, ai morti di fame – che poi è il preciso motivo per cui fu fatto fuori Conte e venne chiamato Draghi. E quelle belliche sono pur sempre imprese. Il sospetto lo avevamo da un po’, ma ora è certo: la resilienza è una delle più grandi inculate degli ultimi cinquant’anni.

Pnrr e armi. Cari italiani, volevate soldi per gli asili e avrete i cannoni

  Alessandro Robecchi  10 MAGGIO 2023

Forse andrebbe studiata per bene – suggerisco corsi di psichiatria – la parabola ardita dell’informazione italiana su quella benedetta pioggia di manna dal cielo comunemente chiamata Pnrr. Se uno avesse la pazienza di andare un po’ indietro negli archivi, scoprirebbe che le speranze, le aspettative, le ambizioni che quella cornucopia di miliardi generò sulle prime pagine e negli osanna dei commentatori hanno oggi un sapore assai diverso. In poche parole: profumavano di progresso e ora puzzano di guerra. È sembrato, per un lungo momento magico, che saremmo stati sommersi di soldi. Soldi, finalmente! Era ora! Dopo gli anni dell’austerità e quelli della pandemia, ecco l’Enalotto europeo che ci avrebbe permesso, se non i rubinetti d’oro, almeno strutture e infrastrutture per una vita decente. Traduco in italiano: sanità, scuole, asili, riconversioni industriali in chiave ecologica e tanto altro ben di Dio per cui si aprì il libro dei sogni.

Oggi – passati pochissimi anni – la riconversione c’è stata, ma non quella che ci avevano fatto credere con il famoso gioco del portafoglio col filo attaccato, quello che tu allunghi la mano e lui scappa via. No, no. Oggi un po’ di fondi del Pnrr scappano verso un mercato particolarmente fiorente, che è quello delle armi, dell’apparato industrial-militare, il cui potenziamento serve a sostenere un’escalation militare alle porte dell’Europa. Insomma, si scommette su una guerra lunga anziché su una pace veloce. Conviene di più, soprattutto al di là dell’Oceano.

E, sempre a proposito di neolingua, è bene ricordare che molti soldi (un miliardo di euro, ma previsto in aumento) vengono da un portafoglio comunitario che si chiama Fondo Europeo per la Pace. Nemmeno Orwell sarebbe stato così vergognosamente orwelliano.

Sono passati appena un paio di mesi da quando il/la presidente del Consiglio Meloni andò in tivù, dal fido Vespa, a dire che “Noi non spendiamo soldi per mandare armi agli ucraini”. Testuale: “Noi abbiamo delle armi che riteniamo oggi fortunatamente di non dover utilizzare e quindi non c’è niente che stiamo togliendo agli italiani”. E sono passate soltanto un paio di settimane da quando il suo ministro Fitto ha candidamente dichiarato che i soldi del Pnrr per gli asili (“Fate più figli!”, ndr) non riusciremo a utilizzarli.

E così arriviamo a oggi: la Ue decide che parte dei famosi fondi, la manna di cui sopra, andranno a produrre munizioni, che ci servono – scusate la metafora – come il pane. Gli Stati potranno decidere il come e il quanto, e già sembra l’asso di briscola per un governo che non riesce a fare asili ma è perfettamente in grado di fare missili. Si aggiungono i tristi lamenti della nostra Difesa, per cui bisogna usare un po’ di Pnrr anche per l’esercito, sia per l’addestramento sia per i poligoni che sono “troppo piccoli” (sic). Il tutto sostenuto dalla nota richiesta Nato di arrivare al due per cento del Pil per la spesa militare. Il tutto chiosato amabilmente dall’affabile Guido Crosetto – ieri presidente della Federazione dei produttori di armi e oggi ministro della Difesa, a proposito di lobby – che dice che bisogna ripristinare le nostre scorte, sistemando con poche parole le menzogne della sua premier (“Non togliamo niente agi italiani”, buona, questa). Tecnicismi? Soldi che cambiano destinazione? Capitoli di spesa nuovi a causa della nuova emergenza? La vendono così, certo, ma il risultato non cambia: volevate asili e avrete cannoni, riempire gli arsenali e svuotare i granai: masters of war.

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