LA SOGLIA MINIMA DEI DIRITTI NON LA DECIDONO GOVERNO E REGIONI da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA SOGLIA MINIMA DEI DIRITTI NON LA DECIDONO GOVERNO E REGIONI da IL MANIFESTO

La soglia minima dei diritti non la decidono governo e regioni

Autonomia Nella sentenza con cui ha fatto a pezzi l’autonomia di Calderoli, la Consulta dice che i «Livelli essenziali delle prestazioni» non possono scendere fino negare di fatto il godimento di un diritto. E poi la Corte ha subito applicato questa regola, annullando i troppi tagli alla sanità nella legge di bilancio per il 2024. Perché le spese pubbliche non sono tutte uguali

Francesco Pallante  10/12/2024

Nel non facile tentativo di ricondurre il regionalismo differenziato, introdotto con la riforma costituzionale voluta dall’Ulivo nel 2001, ai principi di solidarietà, uguaglianza e unità della Repubblica, la sentenza della Corte costituzionale sulla legge Calderoli opera una ricostruzione che va oltre la devoluzione dei poteri alle regioni.

Centrale è l’insistenza sulla necessità che qualsiasi decisione in tema di ripartizione territoriale delle funzioni risponda non a interessi particolari, siano essi ascrivibili a partiti o a enti territoriali, ma «al modo migliore per realizzare i principi costituzionali». Con la conseguenza – mortale per la bulimia di potere dei fautori del regionalismo differenziato – che saranno ammissibili solo richieste regionali «giustificate e motivate con precipuo riferimento alle caratteristiche della funzione e al contesto (sociale, amministrativo, geografico, economico, demografico, finanziario, geopolitico ed altro) in cui avviene la devoluzione, in modo da evidenziare i vantaggi – in termini di efficacia e di efficienza, di equità e di responsabilità – della soluzione prescelta». Forse ancora più rilevante è, però, il passaggio della sentenza in cui la Corte costituzionale sottolinea la differenza tra i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) concernenti i diritti costituzionali, da un lato, e il nucleo minimo dei diritti costituzionali, dall’altro.

SPIEGA LA CORTE: «In sintesi, il nucleo minimo del diritto è un limite derivante dalla Costituzione e va garantito da questa Corte, anche nei confronti della legge statale, a prescindere da considerazioni di ordine finanziario: “a garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione” (sentenza 275 del 2016). Invece, i Lep sono un vincolo posto dal legislatore statale, tenendo conto delle risorse disponibili, e rivolto essenzialmente al legislatore regionale e alla pubblica amministrazione; la loro determinazione origina, poi, il dovere dello stesso Stato di garantirne il finanziamento». Significa che il nucleo minimo di un diritto costituzionale è un dato oggettivo, ancorché mutevole nel tempo, ricavabile dalla Costituzione; mentre il livello essenziale delle prestazioni concernenti lo stesso diritto è un dato soggettivo fissato dal legislatore. Tale Lep può essere corrispondente o anche superiore al nucleo minimo del diritto, a seconda di quel che discrezionalmente deciderà il legislatore; non può invece mai essere inferiore, perché in tal caso si verrebbe a verificare la violazione del diritto costituzionale.

Il punto decisivo è che, una volta sancito un diritto nella Costituzione, l’attuazione quantomeno del suo nucleo minimo non è rimessa alla buona volontà delle autorità competenti, ma si pone come un vero e proprio vincolo giuridico.

A ESSERNE GRAVATO è specialmente il legislatore, che risulta tenuto tanto alla predisposizione della normativa di attuazione (dalla cui esecuzione per mano della pubblica amministrazione deriverà, poi, la concreta “messa in atto” del diritto), quanto all’allocazione nella legge di bilancio delle risorse economiche necessarie (dal momento che, come scrive la Corte costituzionale ancora nella sentenza 275 del 2016, l’effettività di un diritto «non può che derivare dalla certezza delle disponibilità finanziarie per il soddisfacimento del medesimo»). Alla Corte costituzionale spetterà, quindi, controllare che le leggi, inclusa quella di bilancio, siano effettivamente rispettose del vincolo giuridico volto a dare effettiva attuazione ai diritti. È quello che ha fatto, a pochi giorni dalla “pronuncia Calderoli”, con la sentenza 195 del 2024, che ha annullato la legge di bilancio per il 2024 nella parte in cui procede a una riduzione generalizzata «delle risorse a qualsiasi titolo spettanti a ciascuna regione». La legge, sancisce la Corte, avrebbe dovuto distinguere tra risorse destinate ad alimentare la «spesa costituzionalmente necessaria» – quella, cioè, rivolta al «finanziamento dei diritti sociali, delle politiche sociali e della famiglia, nonché della tutela della salute» – e risorse finalizzate a sostenere spese «che non rivestono la medesima priorità», concentrando i tagli solo su queste ultime.

Se ne ricava che le spese pubbliche non sono tutte uguali. Alcune sono necessarie e non possono essere ridotte al di sotto della soglia necessaria a erogare i Lep (o, se non individuati, il contenuto minimo del diritto). Altre sono facoltative, in quanto discrezionalmente decise dal legislatore: sono queste ultime a dover essere ridotte in caso di necessità, pena la violazione dei diritti costituzionali.

Coerenza vorrebbe che la Corte costituzionale giungesse a dichiarare incostituzionali le spese facoltative decise dal legislatore nonostante l’insufficienza delle spese necessarie. Per esempio nel caso dei finanziamenti alla scuola privata, stante il disastroso sottofinanziamento della scuola pubblica. Ma, come si suol dire, un passo alla volta

Il comitato Cassese passa nelle mani di Calderoli

Autonomia differenziata Aggirata la Consulta. Salvato il lavoro istruttorio svolto fino al 5 dicembre sulla base di norme illegittime

Kaspar Hauser  10/12/2024

Il governo dà una prima risposta alla sentenza della Corte costituzionale che ha demolito la legge sull’autonomia differenziata, e lo fa con una nuova “calderolata”, una furbizia normativa pensata dal ministro Roberto Calderoli. Nel decreto Milleproroghe approvato ieri sera dal consiglio dei ministri, un articolo mira a salvare il lavoro del Comitato Cassese per la definizione dei Lep, con un nuovo trucco puramente normativo, dopo che la Corte lo aveva privato delle sue basi legali.

La sentenza della Consulta aveva dichiarato illegittime le procedure legislative alla base della macchina voluta dalle destre per definire i Livelli essenziali delle prestazioni. Per aggirare il parlamento, il governo Meloni aveva inserito nella legge di bilancio del 2023 una serie di commi con i quali si attribuiva a una Cabina di regia istituita presso la Presidenza del consiglio il compito di definire i Lep. Questi poi sarebbero stati promulgati attraverso una serie di decreti del presidente del consiglio (Dpcm), vale a dire puri atti amministrativi, sui quali il parlamento non può nemmeno dare un parere. Nel marzo 2023 il governo, sempre con un Dpcm, aveva istituito un Comitato di 61 esperti, guidato dal professore Sabino Cassese: il suo incarico era di fornire una relazione sui Lep sulla base della quale il governo avrebbe emanato i Dpcm. Quindi non solo per la definizione dei livelli che qualificano i diritti sociali, veniva espropriato il parlamento, ma addirittura ci si affidava ai tecnici, con una delegittimazione della politica stessa: anzi una autodelegittimazione del governo delle destre.

Il Comitato Cassese (Clep), come il nostro giornale ha puntualmente raccontato, è stato attraversato da numerose polemiche, cominciate dalle dimissioni di autorevoli membri, fino alle critiche a Cassese allorché nell’autunno dello scorso anno rifiutò di presentarsi in Senato in audizione per riferire il lavoro del Clep. Dulcis in fundo, l’accelerazione per concludere i lavori entro l’anno, nonostante il 14 novembre la Consulta avesse preannunciato la sentenza di bocciatura della legge Calderoli in un comunicato molto chiaro.

Il 5 dicembre è arrivato il dispositivo della sentenza della Corte costituzionale, che ha sbianchettato la maggior parte della legge Calderoli. Tra le parti dichiarate illegittime vi erano tutti i riferimenti normativi che riguardavano la definizione dei Lep, necessari per la devoluzione di una serie di materie e funzioni delicate, come scuola, sanità, ecc. L’illegittimità, spiegavano i giudici della Consulta, dipendevano esattamente dal fatto che il parlamento veniva esautorato su una materia centrale come i diritti sociali, e i relativi Livelli essenziali delle prestazioni. Insomma il lavoro del Clep da quella sentenza non ha più le basi normative per andare avanti. È solo un club di illustri studiosi che fanno accademia.

La “calderolata” del Milleproroghe è allora una “sanatoria” normativa che dà una base giuridica al lavoro del Comitato Cassese a partire dal 5 dicembre, giorno della sentenza della Consulta.

L’articolo del decreto prevede che sia «fatto salvo il lavoro istruttorio e ricognitivo» svolto sulla base delle norme dichiarate illegittime dalla Corte; inoltre «l’attività istruttoria per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e dei relativi costi e fabbisogni standard, a decorrere dal 5 dicembre 2024 e fino al 31 dicembre 2025, è svolta presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie». Insomma Il Comitato potrà concludere i propri lavori, sotto l’ala protettiva di Calderoli. Viene ridata una legittimità normativa, ma quella politica è impossibile.

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