IL SONNO DELLA GIUSTIZIA GENERA MOSTRI OVUNQUE da IL FATTO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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IL SONNO DELLA GIUSTIZIA GENERA MOSTRI OVUNQUE da IL FATTO e IL MANIFESTO

Il sonno della Giustizia genera mostri ovunque

DOMENICO GALLO  17 OTTOBRE 2023

Nel campo desolato delle crudeltà e dei lutti seminati da un conflitto che dura, senza soluzione, da oltre 75 anni, le stragi indiscriminate compiute nel sud di Israele dai miliziani di Hamas, possono trovare un precedente di pari barbarie solo nel massacro nel campo profughi di Sabra e Chatila eseguito il 16 settembre 1982 dalle falangi libanesi al soldo in cui furono trucidate 3.500 persone innocenti, comprese donne e bambini.

Questo per dire che il metodo terroristico elevato alla sua massima potenza, non è l’elemento discriminante per qualificare i soggetti che lo praticano. In Medio Oriente il terrorismo non è appannaggio esclusivo di bande che si dedicano al terrore ispirate da fanatismi politici o religiosi, ma è praticato anche dagli Stati. Del resto è arduo distinguere fra la guerra e il terrorismo poiché in guerra si tende a terrorizzare l’avversario utilizzando la morte e la minaccia della morte. Non a caso gli Usa hanno denominato l’operazione di attacco all’Iraq nel marzo del 2003 Shock and awe (“colpisci e terrorizza”). In realtà la guerra (che secondo Kelsen consiste in un omicidio di massa) è una forma di terrorismo su vasta scala. L’unica cosa che potrebbe distinguere la guerra dal terrorismo è il diritto umanitario (lo ius in bello), se venisse rispettato dai belligeranti. Se il diritto internazionale non gode di buona salute, specialmente in Medio Oriente, tantomeno il diritto umanitario, ciò non autorizza a buttarlo a mare perché l’alternativa sarebbe rassegnarsi al dilagare della barbarie, come a Kfar Azza il 7 ottobre 2023 o a Sabra e Chatila il 16 settembre 1982.

Il diritto umanitario ci insegna che “in ogni conflitto armato, il diritto delle Parti in conflitto di scegliere metodi e mezzi di guerra non è illimitato” (I Protocollo di Ginevra, art. 35). La regola fondamentale è che “le Parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile ed i combattenti (…) e di conseguenza dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari” (art. 48). Di conseguenza sono vietati “gli attacchi indiscriminati” e “gli atti o minacce di violenza, il cui scopo principale sia di diffondere il terrore fra la popolazione civile” (art. 51). In particolare “è vietato, come metodo di guerra, far soffrire la fame alle persone civili. È vietato attaccare, distruggere, asportare, o mettere fuori uso beni indispensabili alla popolazione civile (…) quale che sia lo scopo perseguito, si tratti di far soffrire la fame alle persone civili, di provocarne il loro spostamento o di qualunque altro scopo”.

La Comunità internazionale ha inteso rendere meno evanescente il diritto umanitario, qualificando come delitti internazionali (crimini di guerra) le violazioni del diritto umanitario e istituendo una Corte penale internazionale. Il premier Netanyahu, che si è ben guardato dall’aderirvi, ha mostrato al Segretario di Stato americano, Antony Blinken, delle fotografie di tre bambini orribilmente sfigurati nella morte. Si può capire la collera di Israele per la ferita subita, che oltraggia l’umanità in quanto tale, ma quando le foto dei bambini morti vengono utilizzate da un politico per giustificare un massacro che, finora, ha provocato a Gaza la morte di 700 fanciulli (numero che è destinato a crescere), rimane un’impressione orribile. La vita dei bambini della popolazione “nemica” non conta nulla.

I Paesi del Sud del mondo rimproverano all’Occidente l’uso di un doppio standard, due pesi e due misure per cui gli Stati Uniti e Israele possono violare impunemente quelle regole di cui pretendono il rispetto dagli altri Paesi. L’impunità che la Comunità internazionale ha assicurato alle politiche israeliane di oppressione dei palestinesi, si è ritorta contro lo stesso Israele. Gli attacchi criminali compiuti contro cittadini israeliani non sono determinati dal fondamentalismo religioso, ma dall’odio generato da una situazione senza sbocco. Proprio per questo la spada di ferro sollevata contro Gaza non può risolvere, ma può solo incancrenire il conflitto.

In questo conflitto vi sono due popoli che convivono nello stesso territorio e dovranno continuare a convivere qualunque sviluppo politico dovesse esserci in futuro (due Stati, uno Stato federale, un solo Stato binazionale). Il ricorso alla violenza si risolve in una serie di atrocità che rende impossibile la convivenza. Israele ha vinto tutte le sue guerre, ma non è riuscita a vivere un giorno in pace, anzi ha costruito con le sue mani quell’odio implacabile che adesso gli fa piangere le sue vittime innocenti. Questa spirale di violenza è distruttiva per entrambi i popoli. Si dice che il sonno della ragione genera mostri. Nel Medio Oriente il sonno della giustizia e del diritto non poteva che generare mostri.

Gaza e il diritto internazionale violato

DOPO IL 7 OTTOBRE. «Israele ha diritto a difendersi» è un mantra che per molti commentatori sembra implicare la legittimità di qualsiasi azione militare per cancellare Hamas

Luca Baccelli*  17/10/2023

«Israele ha diritto a difendersi» è un mantra, ripetuto dal 7 ottobre, che per molti commentatori sembra implicare la legittimità di qualsiasi azione militare per cancellare Hamas. Si arriva a stigmatizzare qualsiasi voce critica come alleata del terrorismo. In qualche talk show forse verrebbe zittito persino Blinken quando invita lo Stato ebraico a una certa moderazione.

Il diritto all’autodifesa è un pilastro del diritto internazionale. La stessa Carta delle Nazioni Unite, all’articolo 51, lo definisce «diritto intrinseco», o «diritto naturale» (aggiungendo però che si può esercitare solo finché non interverrà il Consiglio di Sicurezza).

Ma il diritto internazionale vieta l’uccisione intenzionale dei civili, l’utilizzazione di determinate armi (come il fosforo bianco), le violazioni dei diritti umani, come «l’imposizione di assedi che mettono in pericolo la vita dei civili privandoli di beni essenziali per la loro sopravvivenza» (nelle parole di Volker Türk, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani).

Non c’è dubbio che nell’attacco delle milizie di Hamas e di altri gruppi palestinesi si siano commessi crimini atroci – l’uccisione e la cattura di civili in primo luogo – che violano il diritto internazionale.

Così come non c’è dubbio che Israele, nella sua risposta militare, stia compiendo crimini di guerra: dai bombardamenti sulla popolazione civile all’inaudito ordine di sgombero dell’area settentrionale di Gaza con «corridoi umanitari» da cui avrebbero dovuto passare più di un milione di persone in sei, o in tre ore.

La legittimità dello Stato di Israele riposa su un atto del diritto internazionale: la risoluzione 181 del 1947, che assegnava agli ebrei il 56% della Palestina mandataria. Da Israele furono cacciati gran parte degli arabi (la Nakba) e il suo territorio si è esteso ulteriormente.

Da allora Israele ha ignorato o violato decine di risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale. In particolare la 242 del 1967 che ordina lo sgombero di Cisgiordania e Gaza, occupate con la Guerra dei Sei giorni (una guerra di aggressione, «crimine internazionale supremo»). La storia successiva è nota: le altre guerre, l’annessione di Gerusalemme Est e del Golan, la proliferazione degli insediamenti, gli accordi di Oslo e il loro fallimento, il ritiro da Gaza e il blocco.

Oggi, dopo le elezioni vinte da Hamas nel 2006, il fallimento del governo di unità nazionale e la guerra civile fra Hamas e Fatah, dal 2007 la Palestina è divisa in due entità. La Cisgiordania, ridotta a un territorio privo di continuità dagli insediamenti, dai muri e dai check-point israeliani, sempre più soggetta alle provocazioni e ai crimini dei coloni più che tollerati dall’esercito, è governata dall’ANP che non tiene elezioni generali da 17 anni. Gaza, ridotta a una prigione dal blocco, afflitta da povertà e disoccupazione, è governata da Hamas. Certo, come giustamente ripetiamo, i palestinesi non sono Hamas. C’è da chiedersi però se identificare Hamas con le sue azioni terroristiche, cui rispondere con «azioni di polizia, attuate naturalmente con mezzi militari adeguati» come ha fatto su queste pagine Luigi Ferrajoli(https://www.officinadeisaperi.it/agora/il-senso-delle-parole/terrorismo-non-guerra-lerrore-che-condiziona-la-risposta-da-il-manifesto/, ci offra categorie adeguate a comprendere l’orrore contemporaneo.

Non è realistico riconoscere che Gaza costituisca di fatto un’entità statale? Che cosa conferisce la sovranità se non il fatto di esercitarla per un periodo prolungato? D’altra parte, in che modo Israele potrebbe esercitare azioni di polizia in un territorio densamente popolato come quello di Gaza? I «mezzi militari adeguati» non rischierebbero di fatto di risolversi in quello che stiamo vedendo e che ci aspettiamo?

È comunque in questa situazione, esito di una serie di violazioni del diritto internazionale, che Israele rivendica il suo diritto all’autodifesa e lo esercita senza limiti.

Nei secoli il diritto internazionale ha mostrato i suoi tragici limiti. Creato dagli Stati «cristiani» europei, ha spesso contribuito a legittimare la guerra ed è stato applicato in modo selettivo e asimmetrico. Ma se è diritto, vale per gli uni e per gli altri.
E ci aiuta, se non altro, a contrastare l’antica tendenza alla ferinizzazione del nemico: secondo il ministro della difesa israeliano Gallant si ha a che fare con «animali umani» e questo legittimerebbe la riduzione di Gaza alla fame e alla sete e la condanna a morte degli infermi.

* Docente di Filosofia del diritto Università di Camerino – Presidente di Jura Gentium

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