IL MONDO MULTIPOLARE CHE VERRÀ da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
18069
post-template-default,single,single-post,postid-18069,single-format-standard,cookies-not-set,stockholm-core-2.4.5,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.12,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-7.9,vc_responsive

IL MONDO MULTIPOLARE CHE VERRÀ da IL MANIFESTO

Il mondo multipolare che verrà

I Brics La foto di gruppo dei Capi di Stato a Kazan, ospite Putin, assieme al segretario Onu è sicuramente un coreografico messaggio forte che la dice lunga sui nuovi equilibri che vanno delineandosi.

Pier Giorgio Ardeni  03/11/2024

Quando la sigla “Brics” venne coniata più di vent’anni fa, voleva solo sottolineare quanto quei cinque paesi “emergenti” – Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa – avessero il potenziale di correre. Non un’unione, né un’alleanza, era solo un acronimo buono per economisti e analisti finanziari. Un ventennio dopo, una nuova realtà geo-politica va formandosi, e i “mattoni” pare vadano costruendo un muro attorno all’Occidente. La foto di gruppo dei Capi di Stato a Kazan, ospite Putin, assieme al segretario Onu è sicuramente un coreografico messaggio forte che la dice lunga sui nuovi equilibri che vanno delineandosi.

Del resto, i dati della stessa Banca Mondiale confermano che l’economia mondiale, un tempo dominata dagli Stati Uniti, è ormai decisamente multipolare: una realtà, questa, che gli strateghi americani non riescono né a riconoscere, ad accettare o finanche ad ammettere. Nel 1994 dai Paesi del G7 veniva il 45,3% del prodotto mondiale, laddove i Brics+, che oggi includono Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi, non arrivavano al 19%. Oggi, questi hanno il 35,2%, contro il 29,3% dei G7.

L’economia cinese è già di un quarto più grande di quella USA – con un prodotto pro-capite del 30%, però – e tre delle cinque economie maggiori sono Brics e solo due nei G7. Anche il potere globale, poi, si sta spostando. Gli USA e i suoi alleati, che avevano il 56% del Pil mondiale nel 1994, hanno oggi meno del 40%, e l’influenza globale degli Stati Uniti non fa che diminuire di giorno in giorno. Prova ne è, ad esempio, l’esito delle sanzioni applicate alla Russia nel 2022, cui nessuno dei Paesi non alleati ha aderito.

Come ha sottolineato Jeffrey Sachs, gli Stati Uniti stanno usando il sistema monetario internazionale – imperniato sul dollaro – come un’arma, per sanzionare gli avversari, «confiscando le riserve di Iran, Venezuela, Corea del Nord e Afghanistan e ora Russia. Perché gli altri Paesi dovrebbero ricorrere alle banche americane? È chiaro che, così facendo si mina il sistema internazionale». «Le sanzioni Usa violano il diritto internazionale, non essendo sancite per decisione dell’Onu.

L’allargamento dei Brics non farà che porre fine all’egemonia del dollaro». Non dovrebbe sorprendere, quindi, se ora Algeria, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Indonesia, Kazakistan, Malesia, Nigeria, Thailandia, Turchia, Uganda, Uzbekistan e Vietnam vogliano entrare nel nuovo club.

Ora pare che i Brics vogliano fare sul serio. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Vedant Patel ha criticato i progetti annunciati a Kazan di creare una valuta globale alternativa al dollaro e al sistema di transazioni Swift: «Minare il ruolo del dollaro e sviluppare alternative allo Swift è una minaccia diretta alla democrazia nel mondo. Gli Stati Uniti, ovviamente, non possono permettere che ciò accada».

A parte il “non sequitur” dell’affermazione di Patel – che c’entra l’alternativa al dollaro con la minaccia alla democrazia? – il nervosismo americano è evidente. Gli Usa continuano a perseguire una strategia di “primazia” in ogni regione del mondo – militare, oltreché economica – ma questa appare sempre più “fuori dalla storia”.

Economicamente, gli USA sono sempre più “piccoli”, mentre l’Occidente, sotto la loro guida, appare sempre più isolato. Anche perché la convergenza economica globale implica che l’egemonia Usa non sarà sostituita da un’egemonia cinese. La Cina raggiungerà un picco, dopodiché sarà seguita dall’India e da altri Paesi: andiamo verso un mondo multipolare, in cui i pesi geopolitici saranno distribuiti. Perché ostinarsi a volerlo dominare? Se si vuole davvero “esportare la democrazia” non lo si può fare a suon di bombe, né si può pensare di controllare il sistema Swift usando il dollaro come unica moneta di scambio: sul palco dell’economia ci sono altri attori oggi, che saranno protagonisti, e il potere di Washington non potrà più estendersi come un mantello sul resto del mondo.

Che gli Usa arrivino a minacciare apertamente i Brics+, il consorzio di paesi che progetta di sottrarsi al potere egoista e sanzionatorio del dollaro, è cosa nuova e molto pericolosa perché l’approdo non potrà che essere, ancora una volta, la guerra, quella cosa che piace tanto a Washington come mezzo per regolare le controversie fastidiose e intervenire in Paesi dove ci sono autocrati che non sono amici.

Stiamo entrando in un mondo post-egemonico, multipolare. Che, certo, può essere fragile, dando luogo a una nuova “tragedia delle grandi potenze”, in cui le potenze nucleari competono, invano, per l’egemonia. Ma potrebbe anche portare a un mondo in cui i grandi agiscono con mutua tolleranza, o anche in cooperazione, perché riconoscono che solo così si può rendere il mondo sicuro nell’era nucleare. Bisogna volerlo, però, e spingere perché si realizzi.

No Comments

Post a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.