IL GOVERNO SENZA RETE E SENZA VERGOGNA da IL MANIFESTO
Il governo senza rete e senza vergogna
COMMENTI. Il lascito nefasto è aver fatto credere agli avversari e al Pd che la politica fosse solo comunicazione. Non organizzazione, strategia elaborazione e presidio di luoghi e interessi oggettivi
Filippo Barbera 21/06/2023
C’è un sottile ma evidente filo rosso che unisce l’eredità del berlusconismo, le dichiarazioni di Beppe Grillo sulle «brigate di cittadinanza», la partecipazione di Elly Schlein alla manifestazione dei Cinque Stelle e le successive reazioni di alcuni membri del Partito democratico. Alessio D’Amato – con un tweet – scrive: «Ho comunicato a Stefano Bonaccini le mie dimissioni dall’Assemblea Nazionale del Pd. Brigate e passamontagna anche No.
È stato un errore politico partecipare alla manifestazione dei 5S. Vi voglio bene, ma non mi ritrovo in questa linea politica». Segue poi Pina Picerno, sempre su Twitter: «Unire le opposizioni è fondamentale. Ma intorno a cosa ci uniamo? Alle parole aberranti di Moni Ovadia sull’Ucraina o alle farneticazioni di Beppe Grillo sui passamontagna?». Si sprecano poi le dichiarazioni degli avversari storici dell’alleanza Pd-Cinque Stelle, tanto da parte degli ex fuori dal Pd, che dagli ex dentro il Pd.
Il filo rosso è l’eredità più nefasta del berlusconismo, cioè l’illusione – alla quale hanno creduto soprattutto i suoi avversari – che la politica si possa costruire solo nella sfera mediale, con dichiarazioni pubbliche e messa-in-scena. Potremmo sostenere che è stata questa la più grande astuzia di Berlusconi che, come Kaiser Soze ne “I soliti sospetti”, convince il mondo che lui non esiste e come niente poi… sparisce. L’eredità più perniciosa del berlusconismo è aver fatto credere ai suoi avversari che la politica fosse solo comunicazione. Non, quindi, organizzazione e selezione della classe dirigente, non strategia ed elaborazione, non presidio dei luoghi e degli spazi, non rappresentanza di interessi oggettivi. Solo comunicazione: «Fate come me e vincerete».
In tanti, forse tutti, ci hanno provato. Alcuni, per poco tempo, ci sono riusciti. Senza però capire la portata della «trappola». Berlusconi sapeva benissimo che la comunicazione, da sola, non era sufficiente. Non per nulla, la dimensione organizzativa del partito, la selezione della classe dirigente e il riferimento agli interessi sociali ed economici da difendere, gli sono sempre stati molto chiari. La comunicazione «popolare» è certamente dirimente e, come mostra la ricerca di Jacobin:
gli elettori con titoli di studio più deboli sono fortemente attratti dai candidati che si concentrano su questioni importanti per la vita quotidiana, ricorrono a un linguaggio «populista» noi/loro e promuovono una netta e audace agenda politica progressista. Al contrario, la sinistra politica ha creduto, sbagliando, di saper gestire la comunicazione di massa perché la sinistra intellettuale sapeva (e sa) fare Blob.
La comunicazione, poi, è la condizione necessaria, non quella sufficiente. Berlusconi non solo sapeva comunicare, ma metteva in filiera la comunicazione con l’organizzazione politica e i suoi spazi.
Una politica di sinistra, capace cioè di lavorare per l’emancipazione dei subalterni e di chi «non ha voce», deve ripartire dai luoghi fisico-spaziali dell’elaborazione politica. Partiti, corpi intermedi, organizzazioni degli interessi, parti sociali, autonomie funzionali, associazioni della cittadinanza attiva, riviste, gruppi per l’elaborazione intellettuale, reti e alleanze di scopo costituiscono spazi fisici e organizzativi intermedi a livello della classe dirigente e della sua capacità di elaborazione del futuro. La nota crisi dei corpi intermedi e della rappresentanza politico-sociale è stata accompagnata anche dalla contrazione degli spazi intermedi della classe dirigente. Un «corpo politico» importante come quello del Segretario del Partito deve servire per presidiare gli spazi intermedi dell’elaborazione politica e, se questi non ci sono, deve essere l’elemento che li crea. Il grimaldello che apre i circoli, il magnete che polarizza il campo politico, il totem intorno al quale si sviluppa, in situazione di compresenza fisica, l’elaborazione politica. Dove il Segretario cerca la sintesi e solo a valle di questa si presenta sulla scena pubblica e promuove alleanze.
Oggi, invece, i luoghi e gli spazi intermedi dell’elaborazione si sono disciolti nell’opinione pubblica smaterializzata e la sintesi, se c’è, viene dopo. Si solleva il tema nella scena pubblica mediatizzata, si osserva il posizionamento di altre componenti del proprio partito, delle forze sociali, degli opinion-maker e degli avversari esterni e, alla fine, si decide se e come proseguire. La dialettica politico-progettuale si è sciolta nella comunicazione politica: è nella messa in scena mediatizzata che si cerca la sintesi.
La minoranza Pd risponde a Schlein, come Giorgetti risponde a Salvini, o come il Presidente del Consiglio risponde al segretario di un partito di maggioranza, in un dialogo ormai disciolto nella comunicazione pubblica, a volte a colpi di tweet, altre volte dai salotti dei talk-show o tramite articoli sui giornali, cercando di massimizzare il «capitale mediatico» come primario strumento del consenso. Chi perde, sempre e comunque, sono i tempi lunghi dell’elaborazione progettuale e gli spazi dell’organizzazione politica.
Oltre l’«unto nazionale» una alternativa politica
COMMENTI. Le esequie di Berlusconi non sono riabilitano il passato ma guardano al futuro. Come fa la discepola Giorgia Meloni. Invece le opposizioni aspettano il voto europeo
Alfiero Grandi 20/06/2023
Almeno metà degli elettori ha assistito attonita alla spudorata beatificazione – l’unto nazionale, ha titolato il manifesto -di un condannato in via definitiva per reati fiscali, in fuga più volte da processi, enumerati con protervia come prova di persecuzione, che ha portato un colpo mortale al ruolo del parlamento, e delle istituzioni della Repubblica, facendo approvare dalle Camere il documento che affermava che Ruby era la nipote di Mubarak. Una menzogna, poi derubricata a goliardata a fronte della verità. Ridurre il voto dei parlamentari ad un pronunciamento dei capigruppo ne era la conseguenza, puntando ad un Presidente del Consiglio capo sia del governo che del parlamento. È stato ritrasmesso il discorso in cui Berlusconi afferma che la maggioranza del 1994 doveva fermare i comunisti, il cui partito era sciolto da anni, e imbarcava i fascisti (sic). Non i post, proprio i fascisti.
Fini in seguito capì che doveva guidare un’evoluzione costituzionale del MSI perché chi l’aveva portato al governo esercitava il ricatto della legittimazione e pretendeva totale subalternità. Il governo Meloni ha forzato le norme per le esequie istituzionali facendone un beato laico, in spregio alla parte del paese che lo considera una iattura storica perchè ha stravolto lo spirito pubblico, ridotto a servizio di interessi privati, per la giustizia, per le televisioni (la roba) e per i costumi privati legittimando comportamenti individuali reazionari e sessisti.
Le leggi in vigore hanno consentito a Berlusconi di tornare (eletto) in parlamento, aiutando la concezione che il voto sana tutto, supera le regole.
Le esequie e il lutto decisi con protervia dal governo Meloni confermano che prevale la concezione che al potere tutto è lecito. È stato organizzato uno show a reti unificate che ha abbassato la capacità critica, testimoniata dai tanti che, senza esaltarla hanno descritto una personalità con chiari e scuri.
Gli scuri, perfino neri, sono noti, ricordati ora dalle norme sulla giustizia alla memoria. I chiari deriverebbero da un consenso elettorale che ha convinto troppi che dovevano cambiare loro e non lui.
Stupore e amarezza non bastano perché la sostanza è politica, parla di una destra che arrivata al potere lo vive come rivalsa e assenza di limiti, anche costituzionali. Non c’è tempo da perdere.
L’opposizione, finora divisa, ha reagito alla sconfitta elettorale incapace di una risposta alternativa. Le esequie di Berlusconi non sono solo la riabilitazione del passato ma guardano al futuro. Certamente guarda al futuro Giorgia Meloni che da lui ha imparato molto.
Le opposizioni, parte delle quali si sono sbracciate per essere prese in considerazione dalla maggioranza, sono di fronte al bisogno di parlare chiaro, coordinato, costruendo ora un’alternativa alla destra. Attendere le europee non ha senso.
L’inflazione (da profitti) non trova contrasto, anzi il governo sembra cavalcarla malgrado corroda retribuzioni, pensioni, redditi, risparmi in modo impressionante. A fine biennio arriveremo al 20 %. È un problema che parla dei rapporti di forza e di poteri. È grave, per l’opposizione anzitutto, che parte degli interessati si astenga o voti per la destra.
L’autocritica dovrebbe partire dal mettere in campo obiettivi e perseguirli puntando al ribaltamento dei rapporti di forza, aiutando il ritorno di milioni di voti finiti nell’astensione. E’ indispensabile che al di là di come si è arrivati a parlare solo di sostegno in armi all’Ucraina emerga in modo chiaro e visibile la scelta di una trattativa per la pace. “Deve decidere l’Ucraina” è propaganda per glissare il bisogno di tregua e pace. Ora basta. La tregua e la pace sono i punti su cui occorre puntare e se occorre dire viva Francesco da non credente sono pronto a gridarlo.
C’è una questione sociale enorme che rischia di creare una frattura, una diseguaglianza nel paese di dimensioni epocali, formando una dura gerarchia economica e sociale, di cui fa parte la chiusura verso i migranti e i più poveri.
Le trattative per la pace debbono contribuire a rimettere in sicurezza e ridurre le armi nucleari, con garanzie internazionali per tutti i soggetti coinvolti nelle guerre, riaffidando all’Onu la sede di regolazione e la garanzia di soluzioni pacifiche dei conflitti, a partire dal già dimenticato Sudan.
Attuazione e difesa della Costituzione respingendo l’autonomia differenziata come avvio della secessione dei ricchi e il presidenzialismo o premierato che sia. È urgente una nuova legge elettorale per dare agli elettori la decisione diretta sui loro rappresentanti, vera alternativa al presidenzialismo comunque camuffato.
Non è vero che senza un nuovo parlamento non è possibile, ci può essere una via referendaria per chiarire agli elettori che dare loro il potere di scegliere i parlamentari è una valida alternativa alla delega ad un capo/a per 5 anni.
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