“GRAMSCI, ORMAI IGNORATO A SINISTRA, SEDUCE LA DESTRA” da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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“GRAMSCI, ORMAI IGNORATO A SINISTRA, SEDUCE LA DESTRA” da IL FATTO

“Gramsci, ormai ignorato a sinistra, seduce la destra”

Angelo d’Orsi – La nuova biografia del filosofo, rivoluzionario e, prima di tutto, “grande educatore”

Silvia Truzzi  7 Agosto 2024

Il più noto è il teorico dell’egemonia culturale e l’inventore della filosofia della prassi; il più citato, quello della Città futura, il numero unico in cui il giovane Antonio, a 26 anni, ragiona sugli indifferenti: il peggior torto che si poteva fare ad Antonio Gramsci era ridurlo a un aforisma. Eppure è successo, soprattutto nella sua patria – geografica e politica: è forse più studiato all’estero che in Italia, certamente più amato a destra che a sinistra. Dei molti cortocircuiti gramsciani parliamo con Angelo d’Orsi, storico e autore di una poderosa biografia, recentemente ripubblicata da Feltrinelli. In pratica, ci spiega, un nuovo libro rispetto alle edizioni del 2017 e 2018: “Nuove fonti – a cui ho avuto accesso nell’ambito dell’Edizione Nazionale degli Scritti, a cui lavora la Fondazione Gramsci – hanno consentito di illuminare nuovi aspetti, dalle relazioni familiari ai rapporti con il partito e un generale approfondimento specie degli elementi teorici” .

Professore, il più importante intellettuale del Novecento italiano ha ancora qualcosa da dire oggi?

Ho spesso parlato di un Gramsci “inattuale ma necessario”. Il suo pensiero, trasposto nel nostro tempo, appare fuori luogo. Per esempio l’idea che la politica debba avere un fondamento etico: cercare la verità, sempre, nei rapporti pubblici e privati, era quasi un’ossessione per lui: un modo di fare politica oggi impensabile. Questa sua lontananza ce lo rende necessario: quanto avremmo bisogno di far ripartire la politica da questo imperativo etico!

Qual è la sua forza?

Essere stato sconfitto: in fondo i Quaderni e le Lettere sono una lunga riflessione sulla sconfitta. Gramsci, oltre a chiedersi “perché abbiamo perso”, si chiede “perché loro hanno vinto”. Perciò è un così attento osservatore degli Stati Uniti. “Americanismo e fordismo” suscitò nel partito reazioni avverse: tanti pensarono che si fosse smarrito nell’analisi del mondo nemico. Ma proprio nello studio del capitalismo americano si trova forse la chiave di volta del suo pensiero. Mentre il Comintern interpreta la crisi del ’29 come la campana a morto del sistema, Gramsci capisce che è vero il contrario: la crisi rafforza il sistema. E questo perché loro hanno saputo essere prima che classe dominante, classe dirigente.

Così arriviamo all’egemonia. Dal ministro Sangiuliano, promotore di mostre e convegni, ad Alessandro Giuli, che recentemente ha intitolato un suo pamphlet “Gramsci è vivo”, il mondo della destra è sedotto da lui: perché?

Costruire un’egemonia è una garanzia di stabilità: il potere si fonda proprio sulla capacità egemonica. Da qui l’ossessione di impadronirsi delle casematte della cultura per produrre egemonia. La tesi di Giuli è che “Antonio Gramsci” sia morto, ma “Gramsci è vivo”, appunto: il suo pensiero rimane essenza della costruzione egemonica che fornisce gli strumenti per conquistare e restare al potere.

Invece a sinistra Gramsci non è nemmeno più un santino…

È così vero che, alla fondazione del Pd, all’inizio non compariva nemmeno nel Pantheon, poi ci fu una protesta e fu recuperato. E prima ancora, quando la Fondazione Gramsci celebrò nel 2000 i suoi cinquant’anni, Veltroni affermò: ‘Siamo oltre Gramsci, non ci appartiene più’.

Essere stato tra i fondatori del Partito comunista è la causa del “sinistro” imbarazzo?

Certamente, anche se il vero fondatore del Pci fu Bordiga. Gramsci, che al Congresso di Livorno non prese mai la parola, era lacerato dall’idea della scissione: inevitabile, ma dubitava sui tempi e i modi. Anche per ciò che sappiamo dal colloquio con Lenin – nell’ottobre del ’22, tre giorni prima della marcia su Roma – era per un’unione delle forze antifasciste. L’etichetta di Gramsci fondatore del partito pesa sui sedicenti eredi, che vogliono buttare a mare tutto. Sono rimasti all’immagine di Gramsci costruita da Togliatti, ma non lo hanno studiato, non sanno nulla.

È vero che ha più fortuna all’estero?

Gli studi gramsciani in Italia ci sono, e di altissimo livello, ma sono prevalentemente filologici ed ermeneutici: si scrive di Gramsci per chi già lo conosce. Altrove non è così: in Brasile e in generale America Latina è studiato politicamente, non accademicamente. Il Brasile è l’unico Paese al mondo dove esistono due traduzioni, una recentissima, dei Quaderni.

Che uomo era Antonio?

Una persona segnata dalle sofferenze. La malattia che lo rende disabile, le difficoltà relazionali con la famiglia, sia quella sarda di origine, sia quella russa della moglie, la povertà, il carcere: tutte queste sciagure incidono molto sul suo essere e sul suo pensiero. Ma tutto questo gli dà una marcia in più. In una lettera al fratello Carlo, un tipo piuttosto lamentoso, Antonio fa un elenco delle proprie disavventure, concludendo con la famosa frase: ‘Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio’. E lo scrive dalla galera fascista, dove soffre terribilmente anche per l’impossibilità di educare i suoi figli. Filosofo, rivoluzionario, scienziato sociale, ma prima di tutto credo che Gramsci sia un educatore.

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