“GLI ISRAELIANI AVRANNO SICUREZZA QUANDO I PALESTINESI POTRANNO PROVARE SPERANZA, CIOÈ GIUSTIZIA” da IL FATTO
Quella scomoda compagnia dei ‘cani sciolti’ e il caso Gaza
Il libro di Franco Marcoaldi – Contro gli schemi binari. Le mute di quelli al guinzaglio seguono la logica tribale della guerra e delle opinioni senza dubbi. Ecco invece alcune istruzioni per dissentire
Tomaso Montanari 7 Ottobre 2024
Vorrà dire qualcosa se Cani sciolti, l’ultimo libro di Franco Marcoaldi, arriva in libreria proprio il 7 ottobre. Oggi i cani al guinzaglio di un’idea suprematista e colonialista dell’Occidente ci diranno, ancora, che “le migliaia di morti civili a Gaza sono una tragedia che scuote le coscienze solo in Occidente, dove esiste una civiltà giuridica e un senso di umanità” (lo si è letto su Repubblica, non sulla Difesa della razza…). Certo con voce meno udibile, i cani al guinzaglio della logica binaria e tribale della guerra ci diranno che l’eccidio di israeliani del 7 ottobre 2023 è stato un atto eroico della resistenza palestinese. Quelli che non ascolteremo sono proprio i cani sciolti: chi, spiega Marcoaldi, “si ritrova nei panni del renitente, dell’apostata, del disertore. O, più semplicemente, del battitore libero. Di chi non riconosce più un legame forte con i valori predominanti della società in cui vive”.
Non li si scambi con gli indifferenti, con gli avari che provano a salvarsi da soli: tutto il contrario. Persone libere: “Chi non fa banda”. Chi, “spesso e volentieri, non ha un’opinione precisa sugli avvenimenti di giornata, e se ne rallegra. Perché è proprio tale ontologica incertezza che lo aiuta a non coltivare pregiudizi, e lo spinge a raspare su da terra quanto vi trova di buono, di interessante, indipendentemente da chi glielo offre. Come accade a ogni cane randagio che si rispetti. Al quale basta utilizzare il proprio tartufo per capire se ci si può fidare, o meno”. Prendere atto della sparizione dei corpi collettivi, di comunità coese su base ideologiche, del ridursi delle appartenenze a pure logiche di scambio: questa consapevolezza non è a buon mercato, per chi la raggiunge, perché “il disertore, chiamandosi fuori dalla logica delle appartenenze, andrà inevitabilmente incontro non solo a una salutare e proficua solitude, ma fors’anche a una ben più dolente loneliness, saprà per contro che molti altri si trovano nella sua medesima condizione, perché hanno compiuto più o meno consapevolmente la medesima scelta”. Per la felicità del lettore, il colloquio interiore del disertore Marcoaldi è mirabilmente fitto, e coinvolge interlocutrici e interlocutori di prim’ordine: da Virginia Woolf a Simone Weil a María Zambrano, da Enea a Thoreau, da Gianni Celati a Nicola Chiaromonte, in un prodigioso canone di cagne e cani sciolti che fa ben capire come l’esito della diserzione non sia il disinteresse, ma “un più giusto amore per il mondo”, per dirla con Eric Auerbach. Accanto ai libri, le persone che Marcoaldi ha ‘annusato’ in carne ed ossa: come Amos Oz, cui sono dedicate alcune delle pagine più ispirate del libro. E poi Aldo Marcoaldi: il padre di Franco, cui apparteneva la copia di Addio alle armi di Hemingway la cui rilettura apre il libro. Aldo aveva letto quel testo chiave nello stesso periodo in cui scriveva un quaderno di memorie sul suo internamento in un campo di concentramento nazista, in quanto militare italiano che scelse di non passare alla Repubblica Sociale. Franco intreccia un dialogo commovente col padre, cui il libro è dedicato: un uomo “che conobbe e patì, in condizioni eccezionali, il lato rovescio della ribellione. Ritrovandosi, da militare onesto e retto, per quanto refrattario agli eccessi delle sirene militariste, nei panni di ‘un combattente senz’armi’, come scrisse Guareschi. Sorretto soltanto, nella sua solitaria battaglia, dalle proprie convinzioni: genuine, istintive. Ma ferme, irremovibili. Mosso dall’unica cosa che conta: preservare la propria dignità”.
Proprio la dignità che fiorisce negli sguardi liberi, non inquadrati. Come – per chiudere su ciò a cui tutti oggi inevitabilmente pensiamo – quello di Daniel Barenboim, che un anno fa scrisse: “L’umanità è universale e il riconoscimento, da entrambe le parti, è l’unica via. La sofferenza di persone innocenti da entrambe le parti è assolutamente insopportabile. Le immagini dei devastanti attacchi terroristici di Hamas ci spezzano il cuore. E la nostra reazione dimostra chiaramente una cosa: che la volontà di empatia con l’altro è assolutamente essenziale. Naturalmente, e in particolare in questo momento, non si può che accettare la nostra paura, disperazione e rabbia; ma nel momento in cui identificarci con l’uno ci porta a negare all’altro l’umanità, siamo perduti. Ogni singola persona può fare la differenza e trasmettere qualcosa… Ne sono convinto: gli israeliani avranno sicurezza quando i palestinesi potranno provare speranza, cioè giustizia”. Commenta Marcoaldi: “Il testo di Barenboim è il più limpido e lucido e onesto che io abbia letto in quelle terribili settimane. A ennesima dimostrazione che gli artisti, veri outsider della politica, possiedono una parola infinitamente più potente e vera dei facondi analisti, giornalisti e politici che ci ammorbano da mane a sera”. Ecco perché leggere Cani sciolti fa bene: perché fa venire voglia di strappare i guinzagli, di uscire dal branco. Di ricominciare a pensare.
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