GAZA, L’EX MEDIATORE BASKIN: ” BIBI SABOTA I NEGOZIATI, DAGLI USA PROPAGANDA” da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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GAZA, L’EX MEDIATORE BASKIN: ” BIBI SABOTA I NEGOZIATI, DAGLI USA PROPAGANDA” da IL FATTO

Gaza, l’ex mediatore Baskin: “Bibi sabota i negoziati, dagli Usa propaganda”

Direttore per il Medio Oriente dell’International Communities Organization – “Il piano di Biden è pieno di falle: estende la guerra e non porta a casa tutti i rapiti subito. Invece il conflitto potrebbe finire in tre settimane”

Sabrina Provenzani  5 Settembre 2024

Gershon Baskin è il direttore per il Medio Oriente dell’International Communities Organization (Ico), e l’uomo che, nel 2011, dopo una lunga trattativa con Hamas, e in cambio di 1027 palestinesi detenuti nelle carcere israeliane, riuscì a portare a casa il soldato israeliano Gilad Shalit dopo 5 anni di prigionia. Alcune dei familiari degli ostaggi ancora a Gaza, disillusi dal governo Netanyahu, hanno chiesto la sue mediazione per riportarli a casa, e Baskin dice di avere in corso una trattativa parallela e non ufficiale con Hamas.

Anche ieri la stampa americana insisteva sul fatto che un accordo per la fine della guerra fosse cosa fatta e comprendesse il ritiro dell’IDF dal corridoio Filadelfia, fino a poche ore prima della marcia indietro di Netanyahu nella conferenza stampa di lunedì sera.

Che l’accordo sia così vicino, alle condizioni attuali, è una invenzione americana: le fonti sul campo mi dicono che la distanza fra le parti è ancora sostanziale. Ma il corridoio Filadelfia è un falso problema inventato da Netanyahu. Non era sul tavolo dei negoziati prima e non dovrebbe esserlo ora. Martedì sera Alon Ben David, uno dei principali corrispondenti militari di Channel 13, ha detto che l’esercito israeliano non ha trovato un solo tunnel che porti sotto il corridoio di Filadelfia: gli egiziani hanno chiuso tutti i tunnel durante il regime di Abdu Fattah al-Sisi. Sono sei mesi che ne parlo con fonti sul campo: la soluzione per il corridoio di Filadelfia è sigillarlo in territorio sovrano egiziano. E sono sicurissimo che gli Stati Uniti e i qatarioti fornirebbero fondi, gli americani fornirebbero tecnologia e, se venisse richiesto, anche truppe per garantire e monitorare che quel confine sia effettivamente sigillato. Quindi è un problema inventato da Netanyahu per evitare di avere un accordo che non gli interessa. Perché, come mi ha detto uno dei principali negoziatori israeliani sabato scorso, in realtà non gli interessa semplicemente finire la guerra.

Perché significherebbe la fine del suo potere.

Sicuro. Ma c’è una spiegazione ancora più ampia. Non voglio entrare nella psicosi di Benjamin Netanyahu, ma l’uomo è scollegato dalla realtà e si percepisce ancora come il più grande leader che il popolo ebraico abbia avuto dai tempi di Mosè. Non si assume alcuna responsabilità per i fallimenti del suo governo negli ultimi undici mesi o per ciò che è accaduto il 7 ottobre. La sua carriera politica è legata alla continuazione di questa guerra. Ha questa convinzione mistica che se solo troviamo Yahya Sinwar [il capo di Hamas a Gaza, ndr] e lo uccidiamo, tutto si risolverà. Ma se abbiamo imparato qualcosa nel fine settimana, è che le possibilità che una volta ucciso Sinwar, tutti gli ostaggi vengano uccisi è una valutazione molto più reale di ciò che sta accadendo sul campo.

Dopo il raid a Nuseirat Hamas ha reso noto pubblicamente il cambio di strategia sugli ostaggi: appena IDF si avvicina li uccidono, come nell’ultimo caso. Perché questo cambio di strategia? E come può Netanyahu ignorarlo?

Non credo che Netanyahu possa ignorarlo. So che l’esercito israeliano non lo ignora. Infatti, ci sono state discussioni all’interno dell’esercito, e se ne è parlato pubblicamente, che cesseranno le operazioni localizzazione degli ostaggi, e quando operano in aree dove potrebbero esserci gli ostaggi non si avvicineranno. E non credo che l’esercito eseguirà, se Netanyahu ordina di continuare a fare ciò che facevano prima.

Perché Hamas ha cambiato la strategia?

Perché Israele sta stringendo la morsa. Gaza non è un territorio così grande, e la rete sotterranea, sebbene massiccia, non è infinita. Israele ne ha già distrutto una buona parte. E alla fine troveranno più ostaggi, vivi o morti. Troveranno più combattenti di Hamas e probabilmente troveranno anche Sinwar.

Un documento apparso su un sito israeliano sembra provare che Netanyahu abbia sabotato qualsiasi negoziato e accordo per lungo tempo. Ci sono vie legali per forzarlo a dimettersi come traditore, se si dimostra il sabotaggio?

Ci potrebbe essere un meccanismo legale in Israele per farlo, ma non credo che possa essere fatto senza creare una guerra civile in Israele, né per il momento ci sono i numeri in Israele per sfiduciarlo.

Lei è stato molto critico della proposta di pace di Biden. Perché?

Perché è una proposta terribile, che estende la guerra, non porta a casa tutti gli ostaggi e ha moltissimi punti deboli. Nella prima parte dell’accordo, che dura 42 giorni, si parla di liberare 32 ostaggi. E gli altri? Israele ha detto che dopo 42 giorni avrà il diritto di prendere la guerra. Non c’è alcuna garanzia che il cessate il fuoco continuerà, e non c’è alcun meccanismo per garantire che gli altri ostaggi verranno liberati o che verranno riportati a casa o che la guerra finirà. Qualsiasi accordo che non ponga fine alla guerra rapidamente e non riporti tutti gli ostaggi tutti insieme è un cattivo accordo.

Lei ha dichiarato di aver lavorato a un piano alternativo, che Hamas avrebbe approvato. In cosa consiste?

È molto semplice. Non entro nei dettagli ma, fondamentalmente, in tre settimane, la guerra finisce. Israele si ritira da Gaza, Hamas rilascia tutti gli ostaggi, e c’è un accordo sul numero e i nomi dei prigionieri palestinesi. Ho ricevuto da un capo di Hamas la conferma che l’intera leadership concorda, ma non vuole farlo ufficialmente. E questo è parte del problema. Se solo lo annunciassero e lo rendessero ufficiale, aumenterebbe significativamente la pressione pubblica israeliana sul governo per accettarlo.

Se Hamas rilascia gli ostaggi, cosa impedisce a Netanyahu di radere al suolo Gaza ancora di più e semplicemente non rispettare l’accordo?

Niente, ma c’è la possibilità che Israele vada alle elezioni. Che avremo una commissione nazionale di inchiesta in Israele che metterà Netanyahu sotto accusa per crimini contro il Paese. È già sotto inchiesta per altri crimini e già sotto processo. Quindi continuare la guerra non aiuta affatto Hamas. Ecco perché Hamas vuole che la guerra finisca. Non c’è nessuno che possa garantire che Israele non attaccherà di nuovo a meno che gli Stati Uniti non siano disposti a dire “non ti forniremo più armi”, cosa che non faranno.

Ma chi è che davvero decide dentro Hamas?

Hanno una struttura di leadership complessa composta dal Politburo e dall’ala militare di Hamas. Prendono decisioni attraverso consultazioni, e cercano di raggiungere un consenso, ma non sempre ci riescono. E oggi, per come stanno le cose, da quello che mi hanno detto, Sinwar non ha l’unica parola, ma ha l’ultima parola.

Quale altra pressione pubblica serve? La gente marcia da mesi.

Ci sono 200.000 persone là fuori. La maggioranza degli israeliani non esce di casa e sostiene ciò che fa il governo. Quelli che marciano contro il governo non hanno una posizione chiara, l’opposizione è disorganizzata e disunita. Questa settimana, dopo l’omicidio degli ultimi ostaggi, hanno marciato in 700mila, ed è significativo. Se ci fosse la convinzione che Sinwar fosse pronto a rilasciare tutti gli ostaggi, avremmo un milione o più di un milione, e sarebbe sostenibile, sarebbe duraturo, e la gente uscirebbe in massa. Ma al pubblico israeliano è stato fatto credere che Sinwar non rilascerà mai tutti gli ostaggi. Le persone favorevoli a un accordo sono considerate di sinistra e traditori. E Netanyahu sta proteggendo il Paese contro il male di Hamas. Abbiamo il Bibiismo proprio come gli americani hanno il Trumpismo, e la leadership palestinese, vecchia e stanca, non è un interlocutrice.

Perché gli altri membri dell’esecutivo non si ribellano contro Netanyahu?

Non lo so. Non lo capisco. E molte persone con cui parlo non lo capiscono. I tre capi della squadra di negoziazione sono persone di integrità e semplicemente non mi è chiaro perché abbiano paura di Netanyahu.

Chi altro può mettere pressione su Netanyahu e come?

Nessuno. Ha una solida coalizione che lo sostiene, e proteggono i loro posti di lavoro nel governo. Lui è ostaggio, in una certa misura, degli estremisti di estrema destra. Ma Netanyahu li ha potenziati. Li ha messi al potere, li ha legittimati, e ora dipende anche da loro.

Cosa potrebbe sbloccare la situazione? Washington?

Sì. Gli americani dicono di essere buoni amici di Israele, ma hanno un detto: “Un buon amico non lascia un amico guidare ubriaco”. Netanyahu sta guidando ubriaco. Se gli Stati Uniti sono davvero amici, dovrebbero farlo scendere.

Gaza, ai bambini vaccinati si potrà sparare ancora

Eugenio Mazzarella  5 Settembre 2024

Dopo settimane di pressioni, Israele ha consentito la campagna di vaccinazione a Gaza per scongiurare un’epidemia di polio che potrebbe coinvolgere 640 mila bambini. Neanche di tregua si può parlare, perché Netanyahu è stato attentissimo a evitare la parola. Non ci si illudesse su una finestra di sospensione delle operazioni militari, a rischio di perdere l’assuefazione dell’opinione pubblica internazionale alla mattanza quotidiana. Una “concessione” umanitaria, che peraltro offre un diversivo comunicativo per operazioni di sicurezza “preventiva” in larga scala in Cisgiordania per continuare l’espansione “coloniale”.

A Gaza tra una o due settimane i bambini si tornerà ad ammazzarli vaccinati. Un domani, sarebbe più scabroso sparare a un ragazzino paralitico che non può neanche fuggire dopo aver lanciato una pietra. È inutile girarci attorno. Siamo alla débâcle morale, prima ancora che politica, dell’Occidente. Fino a quando potremo tollerare la franchigia morale, politica, umanitaria che tra connivenze aperte, ipocrisie, reticenze siamo costretti a dare a Israele per la sua “sicurezza”? Siamo ormai al plateau, che non accenna a decrescere, di un approccio in parte genocidario, in parte di pulizia etnica nei confronti di un intero popolo.

La narrativa smerciata in Occidente è che i palestinesi sognano una Palestina dal fiume al mare. Appunto, sognano. Quest’unità territoriale del Grande Israele dal Giordano al mare lo sta attuando da decenni Israele, con il beneplacito sostanziale dei suoi Lord protettori, che nutrono qualche perplessità solo quando il costo di immagine comincia a essere difficile da gestire.

Assistiamo da mesi a reprimende, inviti alla moderazione, giaculatorie, attenti però a far capire che se lo scenario bellico cessasse di essere il tirassegno dell’Idf sulla popolazione palestinese per colpire a strascico i capi e i miliziani di Hamas e diventasse una vera guerra in cui si muore in modo un po’ più equilibrato tra le parti, noi saremo lì a fare la nostra parte con portaerei, missili e quant’altro. Siamo in una tragedia senza vie d’uscite.

È inutile raccontarsi menzogne. La terra per due popoli, due Stati non c’è più da decenni, e quella che si è preso, Israele, e non solo Netanyahu, non ha nessuna intenzione di restituirla. Netanyahu per non essere travolto accenderà ogni guerra possibile nella regione, ed è forse solo la scelta strategica dell’Iran che non gli conviene cadere nella trappola di un conflitto generale aperto, che ci lascia qualche margine di illusione che un conflitto generale nella regione si possa evitare.

Israele è un paese in preda ai propri demoni, a un’angoscia esistenziale che si avverte senza futuro di pace, di possibilità di convivenza pacifica nella regione: ha deciso da decenni che può sopravvivere solo in armi, e chi lo tocca deve morire, meglio se preventivamente. La sua politica estera nella regione è, al dunque, nient’altro che la sua politica militare.

La domanda che non vediamo porsi in Israele, se non in modo minoritario, altrimenti Netanyahu non sarebbe ancora al comando, è se l’esistenza di Israele può essere affidata a questa disperazione esistenziale, che si fa rovina politica e morale. Se non sia venuto il momento di porsi la domanda se la sicurezza di Israele non passi piuttosto per la soluzione della questione palestinese, cioè della fine della “cattività” cui questo popolo è costretto da decenni, della vita “concentrazionaria” che subisce.

Qui delle due l’una.

O si continua a garantire a Israele l’avallo a tutto quello che si è visto in questi decenni, o si garantisce Israele addossandosi la sua sicurezza non con le portaerei, ma con la gestione diretta da parte della comunità internazionale dei territori palestinesi, garantendo a Israele la sua sicurezza militare, ma anche ai palestinesi di essere padroni in casa propria senza essere ostaggio di milizie o di gestioni corrotte.

Una gestione che faccia dei territori palestinesi territori “aperti” a una cittadinanza con standard europei. Una soluzione del genere è certo che sarebbe invisa a Netanyahu e ad Hamas. Ma questo è un argomento a suo favore. L’alternativa sono altri decenni di bradisismo terroristico di milizie e di Stato, in attesa della scossa che butta giù tutto.

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