GAZA, ANCHE L’EUROPA È COMPLICE DEL MASSACRO da IL FATTO e IL MANIFESTO
Gaza, anche L’Europa è complice del massacro
Elena Basile 1 Aprile 2025
La stampa ci distrae con i finti problemi creati alla pace in Ucraina da dirigenti europei poco credibili. La difesa comune europea costruita con il Regno Unito che è fuori dall’Ue, l’ombrello nucleare europeo di 250 testate contro le 6000 russe, la vittoria dell’Ucraina sulla Russia, di fatto negata da tutti gli strateghi militari, l’invio di truppe europee di peacekeeping in Ucraina da tempo rifiutate dalla Russia, una assurdità dietro l’altra che vengono strombazzate sui giornali più letti a dispetto di ogni informazione realistica sul conflitto e sulle dinamiche internazionali. Come ripetiamo, la guerra è senza obiettivi strategici, è pura tattica per aumentare i profitti delle lobby delle armi e per risollevare le sorti di una Europa in stagnazione economica a vantaggio della grande industria e della finanza, di una élite transnazionale contro precari, immigrati, artigianato, piccola agricoltura e piccola impresa, operai, dipendenti pubblici, ceto medio impoverito insomma contro la gran parte delle classi lavoratrici. L’1%, o il 5%, contro il resto della popolazione che o non vota oppure in maggioranza vota per gli stessi governanti che tradiscono gli interessi dei popoli. Le cause di questa deriva sono molteplici e non analizzabili in questa sede. Partono dal liberismo degli anni Ottanta, dalla vittoria dei ceti capitalisti sul lavoro, dagli interventi pubblici a favore delle imprese ma non dello Stato sociale, dalla crisi del debito, dalla fine dell’Unione sovietica e di ogni freno all’arroganza dei neoconservatori statunitensi, dalla concentrazione dei media, dalla progressiva trasformazione delle democrazie nelle odierne oligarchie illiberali.
Intanto in Medio Oriente Israele ha violato unilateralmente il cessate il fuoco e ripreso i bombardamenti seminando 750 morti tra i civili. I ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito hanno piagnucolato pubblicamente affermando che le stragi sono condannabili anche se Israele ha il diritto di difendersi da Hamas. Il ministro Tajani non si è neanche unito agli interventi dei colleghi che salvano i buoni sentimenti. Tanti giornalisti hanno imitato i politici. Nessuno tuttavia ha chiamato Israele uno Stato canaglia che dal 1967 viola le risoluzioni Onu occupando territori non propri. Dal 2005 attua un assedio illegale e contro l’umanità a Gaza, realizzando in modo ricorrente (e prima delle atrocità di massa seguite all’attacco del 7 ottobre) spedizioni punitive collettive, condannate dal diritto onusiano. Realizza forme di apartheid in Cisgiordania, crimini di guerra sebbene la regione sia gestita insieme ad Abu Mazen e non vi sia presenza dell’organizzazione terroristica Hamas. Attacca Stati sovrani come Siria e Libano, spinge da un decennio almeno per l’attacco all’Iran e condiziona pesantemente la politica statunitense e quella europea in virtù dell’influenza e del potere esercitato dalla lobby di Israele. Nessuno ha domandato ai governi europei di applicare sanzioni a Israele come le applichiamo alla Russia. Nessuno ha chiesto il riconoscimento simbolico e politico dello Stato di Palestina e il voto unanime di tutti i governi europei all’Onu per il mantenimento del cessate il fuoco. La presidente del Consiglio Meloni, sebbene l’Italia sia membro della Cpi, ha dichiarato di non voler eseguire il mandato di arresto contro il primo ministro israeliano qualora fosse in territorio italiano, rendendosi pubblicamente colpevole di violazione del diritto internazionale.
Israele si autodefinisce Stato ebraico, malgrado il 20% della popolazione sia costituito da arabi musulmani. Chiama quindi in causa implicitamente la diaspora ebraica, che invece nulla ha a che vedere con i crimini commessi. Molti illustri esponenti delle comunità ebraiche hanno infatti firmato una petizione, ferocemente criticata da altri, contro la pulizia etnica di Gaza. Le manifestazioni degli studenti nelle università statunitensi sono state represse da Trump, imitato in Europa. Il senso di colpa tedesco ed europeo verso l’olocausto sta divenendo la base della complicità con altri crimini, con la disumanizzazione dei palestinesi, i veri paria del mondo odierno come lo sono stati ieri gli ebrei, i rom e le vittime dei genocidi. Le speranze che il cessate il fuoco aveva fatto nascere sono già morte. Trump accontenta i sionisti cristiani, evangelici ed ebrei con i cui fondi ha potuto vincere le elezioni nella plutocrazia statunitense. Autorizza Netanyahu a terminare il lavoro sporco in Palestina. Un massacro in diretta di cui l’Europa della democrazia e della libertà, mitizzata da Serra, Scurati, Benigni e i tanti intellettuali organici ai profitti delle lobby, è complice. Non abbiamo più parole di fronte alla mistificazione perenne che celebra, mentre li cancella, i valori umanistici della costruzione europea alla quale abbiamo creduto.
Trattative per la Grosse Koalition. Via libera a Netanyahu e alle colonie
Germania Germania, la bozza di accordo Spd Cdu ignora il diritto internazionale
Sebastiano Canetta 01/04/2025
Il tappeto rosso per Bibi Netanyahu a Berlino sarebbe stato srotolato ben prima di Budapest, se solo il cancelliere in pectore Friedrich Merz avesse formato il suo governo che invece non sarà pronto prima di Pasqua. Il segretario della Cdu è stato il primo leader democratico a sdoganare il premier israeliano su cui pende il mandato di cattura per crimini di guerra invitandolo a una visita di stato in Germania; nonostante il primato nell’Ue spetti ufficialmente al primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis: nel fine settimana è volato a Gerusalemme per stringere la mano a Netanyahu a favore di telecamera, esattamente nelle stesse ore del raid aereo delle Idf che ha massacrato 64 palestinesi.
In questo contesto «il Consiglio europeo invita tutti i Paesi Ue a garantire la piena cooperazione con la Corte penale internazionale dando rapida esecuzione ai mandati di arresto attualmente pendenti e anche stipulando accordi volontari» riassume il portavoce della Commissione europea, ricordando l’obbligo ineludibile per tutti gli Stati firmatari dello Statuto di Roma.
VALE CERTAMENTE nella pratica per Viktor Orbán, dittatore amico di Putin e nemico dei diritti civili e umani nonché faro dell’ultradestra a cui guarda in primis Afd, primo partito dell’internazionale nera e seconda forza politica nel nuovo Bundestag insediatosi la settimana scorsa. Ma riguarda solo teoria chi governa la Germania, la prima azionista dell’Ue e ora la migliore della classe anche nello svolgimento del compito del riarmo.
La ragione di stato che impone (moralmente) a Berlino di difendere senza se e senza ma Israele «per via del peculiare rapporto storico fra i due paesi» conta assai più della legge internazionale ed è immune a qualunque monito, con buona pace di Bruxelles. Anche se non è una posizione statica, dato che i negoziati della nascente coalizione tra Cdu e Spd stanno spostando il punto fermo perfino più a destra.
«Il ritiro dalla posizione consolidata della Germania sull’illegalità degli insediamenti contraddice la sua speciale responsabilità ai sensi del diritto internazionale» è la dura nota dell’ambasciatore palestinese a Berlino, Laith Arafeh, informato degli ultimi leaks sulle trattative per il governo Merz.
Nella bozza di accordo fra socialisti e democristiani il rispetto del diritto internazionale non compare mai, sostituito in toto dalla ragione di stato.
Sebbene Spd e Cdu non abbiano ancora trovato il compromesso accettabile su Israele, con i primi che chiedono di condannare almeno la sua politica coloniale ed espansionistica e i secondi che hanno già posto il loro sintomatico «Nein». Ma la nuova Grosse Koalition quasi certamente darà il via libera all’«export illimitato verso Israele di sistemi d’arma made in Germany».
PESA PIÙ DELL’ENDORSEMENT di Orbán a Benjamin Netanyahu ed è una diretta conseguenza dell’invito-sfida in Germania da parte di Merz, secondo cui è «completamente assurdo» che il premier israeliano non possa varcare il confine tedesco. Forse per questo a Berlino gli sherpa della GroKo lavorano a testa bassa per riformare il criterio di «aggressione» internazionale, come rivela la stampa locale.
In attesa di capire in quale direzione, la capitale tedesca ha deciso di gemellarsi con Tel Aviv. Sarà la 19 esima città imparentata con Berlino con cui condivide la «vita sociale ed economica e la vibrante scena culturale soprattutto musicale», almeno a leggere le motivazioni. Anche qui decisione senza se e senza più che trasversale. Tutti i partiti, senza eccezione, hanno votato a favore della mozione presentata dal borgomastro della Cdu e dalla vice-sindaca della Spd: dai fascio-populisti di Afd che denunciano il ritardo nella scelta da fare già all’indomani del 7 ottobre, alla Linke incarnata dal deputato del Landtag di Berlino, Carsten Schatz.
TUTTO MENTRE passano in silenzio i continui inciampi di Felix Klein, commissario tedesco responsabile della lotta contro l’antisemitismo. Dopo aver tessuto sui social gli elogi del piano-Trump su Gaza ha dovuto ritirare in fretta e furia la propria adesione al summit organizzato a Gerusalemme dal ministero della Diaspora di Tel Aviv dopo aver “scoperto” che sarebbe stato sul palco insieme ai leader dell’ultradestra, anche ungherese.
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